Francesco Grandis, classe 1977, nato in Veneto, studia ingegneria elettronica a Padova e dopo la laurea inizia a lavorare come ingegnere nel settore della robotica industriale. Una vita “normale”, fino all’agosto del 2009, quando Francesco decide di dimettersi e spendere tutti i suoi risparmi per fare un giro del mondo di sei mesi, "alla ricerca di qualcosa che ancora non conosce" e la trova. Durante questo viaggio, infatti, Francesco ne inizia un altro ancora più importante, dentro sé stesso. E "in una sorta di illuminazione" si convince a cercare una Felicità più autentica, abbandonando il sentiero comune. Oggi, sei anni dopo quel viaggio, Francesco è ancora più che mai in cammino, sempre lontano da strade battute e trafficate, convinto che questa sia la direzione giusta. Non solo metaforicamente. Grandis ha, infatti appena concluso un tour in giro per l’Italia in camper per promuovere il suo libro “Sulla strada giusta”, l’autobriografia del suo cambiamento di vita.
Ma cos’è successo alla vita di Francesco da quel 2009 ad oggi? Come è passato dall’ingegnere elettronico allo scrittore nomade? Cos’ha portato Francesco Grandis a diventare “Wandering Wil”? Ce lo siamo fatti raccontare da lui e ne è uscita un’intervista da assaporare passo dopo passo, perché senza dubbio Francesco Wandering Wil oggi è sulla strada giusta.
Francesco quando hai deciso di cambiare vita?
Le cose sono peggiorate gradualmente. Prima è arrivata la noia, poi lo stress, poi la salute ha perso colpi. Le solite cose. Questo mi ha portato a farmi domande -domande pericolose- come “ne vale la pena?” o “è davvero questa la vita che voglio fare?”. Un giorno, mentre guidavo da solo, sono scoppiato a piangere senza ragione. Quello è stato il momento preciso in cui ho toccato il fondo. Il giorno dopo ho consegnato le dimissioni.
Cosa ti mancava e cosa andavi cercando?
Non ero sereno. Prima della laurea ero convinto che il lavoro mi avrebbe permesso di seguire le mie passioni, ma era vero il contrario. Il lavoro mi ha impedito di seguire le mie passioni. Guadagnavo soldi ma non avevo il tempo di spenderli. Non avevo il tempo di fare niente. Le giornate passavano senza lasciare ricordi, solo tracce sul mio viso. Mi sembrava di invecchiare senza crescere. Come un criceto nella sua rotella, che corre, corre e corre ma non va da nessuna parte. Mi mancava uno scopo. All’apparenza era tutto perfetto, certamente, ma nel buio della notte sapevo benissimo che quella strada non mi avrebbe portato da nessuna parte. Ero in un vicolo cieco.
Cos’è successo da lì in poi?
Tantissime cose. Meno di tre mesi dopo dalle dimissioni ero in aeroporto, solo, zaino in spalla. Ho preso tutti i miei risparmi e sei mesi di tempo e ci ho fatto un giro del mondo. Mi sono ripreso la vita che avevo perduto. Ho compreso cose fondamentali su di me, e ho capito cosa volevo fare del resto della mia vita: io volevo essere felice. Al ritorno dal viaggio ho iniziato la mia ricerca della felicità. Per prima cosa ho trovato un lavoro come programmatore freelancer. Lavoravo solo part time, ma era sufficiente a mantenermi e soprattutto mi lasciava anche il tempo e la libertà di “fare altro”. Ho viaggiato molto: Sudamerica, India, Scandinavia. Me ne stavo via mesi, portandomi il lavoro appresso. Non era semplice turismo: volevo crescere, imparare, sperimentare.
Come hanno reagito amici e conoscenti alla tua decisione? Cosa pensano delle tue scelte?
Quasi tutti mi hanno considerato un folle. Mi sono licenziato nel 2009, più o meno all’inizio della crisi economica. Perdere un lavoro sicuro in quegli anni era considerata una disgrazia, ma rinunciarci era da deficienti. Non ho avuto il supporto di quasi nessuno, ma anche i pochi che erano dalla mia parte non mi avrebbero mai seguito. A distanza di anni la situazione si è invertita: quasi tutti, a posteriori, riconoscono le mie ragioni, ma rimane una buona sacca di persone che continuano a considerarmi un folle. Ci ho fatto l’abitudine.
Poi hai lasciato anche il lavoro di programmatore nomade, perché?
Dopo quattro anni di questa vita mi sono sentito pronto per il passo successivo. Ho mollato anche quel lavoro e mi sono dedicato solo ed esclusivamente alla scrittura. Nel 2013 ho aperto un blog che si chiama Wandering Wil in cui condivido le mie esperienze e le mie riflessioni, lo stesso anno è nato anche Michele, mio figlio.
Di cosa vivi oggi?
Sono in un periodo di transizione. Da una parte ho ancora i risparmi del mio lavoro come freelancer, ma stanno arrivando anche le prime entrate per l’uscita del mio libro “Sulla strada giusta” che ho pubblicato a marzo e sto tuttora promuovendo. Non sono ancora sufficienti a mantenermi, ma non c’è fretta. Per fortuna e per scelta la mia vita non costa molto, e mi bastano pochi soldi. Non ho un affitto da pagare, non seguo mode, riparo le cose se posso, non faccio spese inutili, etc.
Come si svolgono adesso le tue giornate?
Difficile dirlo, non ho molte abitudini. Normalmente, quando ero a casa, in periodi tranquilli, stavo molto al computer: scrivevo, rispondevo a chi mi mandava lettere, leggevo. Poi lunghe passeggiate creative, in cui riflettere e immaginare la prossima storia. Amo anche cucinare. Ma la nascita di mio figlio prima e l’uscita del mio libro poco dopo sono state due piccole rivoluzioni nella mia vita. Devo ancora trovare un abitudine giornaliera.
Ti sembra di rinunciare a qualcosa?
A niente di necessario. Ma ho lasciato indietro molto superfluo, e non mi riferisco solo a oggetti materiali.
Cosa hai provato quando è nato tuo figlio?
È stata una bella botta. Quando ho saputo che stava per arrivare ho avuto paura, non lo nego. Temevo che una famiglia non fosse del tutto compatibile con il mio stile di vita e la mia ricerca, ma mi sbagliavo. Cambiano solo i modi, forse i tempi, ma la sostanza rimane immutata. E ora posso gioire di un piccolo scricciolo che gattona per casa e guarda il mondo con occhi curiosi, gli stessi che vorrei avere io. Ha un sorriso contagioso. Certo, gestire tutto è diventato un po’ più duro, ma si può fare.
Si può vivere (e viaggiare e crescere un figlio e mangiare eccetera) senza lavorare?
Proprio “senza lavorare” non saprei. Se il sistema c’è non l’ho ancora trovato. L’ho immaginato, ma niente che possa realizzare a breve. Però dipende da cosa si intende per lavoro. Se intendiamo “8-9-10 ore fuori casa a svolgere attività noiose e che non ci danno niente tranne un assegno a fine mese”, allora sicuramente è possibile. Io scrivo ora, era un sogno che avevo fin da piccolo. Come ho detto, non so ancora se riuscirò a mantenermi in questo modo, ma intendo fare tutto quello che è in mio potere per riuscirci. È lavoro anche questo? Certo, ma direi che appartiene a un pianeta differente.
La tua non è stata solo una scelta personale, hai anche una famiglia, una compagna e un figlio con cui hai condiviso questo percorso. Com’è stato per loro?
La famiglia è arrivata abbastanza tardi, quando il mio percorso era già avviato da molto tempo. Quindi la mia compagna sapeva già a cosa andava incontro! Credo che da una parte ne abbia timore, ma dall’altra ne sia affascinata. Sto cercando non tanto di imporre la mia scelta di vita, ma di trovare la strada giusta per tutti e tre. Non è facile, ma si può fare. Soprattutto voglio che mio figlio cresca senza paura.
Continui a non programmare nulla oltre i tre mesi anche ora che hai un figlio?
Assolutamente, anche meno. Come diceva il mio ex-capo: “ogni previsione oltre ai tre mesi è oroscopo”. Questo non significa che non tenga d’occhio la “bussola”. Ho delle idee in mente. Non pianifico le cose in modo esatto, segnando date e appuntamenti sull’agenda, ma mantengo un minimo di controllo su quello che sto facendo oggi, per assicurarmi di procedere sempre nella direzione giusta.
A chi pensa che lasciare il certo per l’incerto sia un azzardo, cosa rispondi?
Che è vero, lo è. Ma anche restare lo è. Lavorare quarant’anni per arrivare a prendere una pensione è certamente possibile, ma bisogna arrivarci vivi, in salute e sereni. È una bella scommessa anche questa.
Qual è stato il tuo più grande successo?
Capire come prendere il controllo della mia vita e come ascoltare la mia vera voce, distinguendola nella marea di voci altrui. Voci che mi dicono cosa dovrei fare, quando, dove, come, di cosa dovrei aver paura e perché. Rumore che ho zittito. Il mio più grande successo personale è stato trovare il silenzio interiore. Tutto il resto è stata una conseguenza.
Come è andato il tour? Come l’hai organizzato?
E’ stato bellissimo, ben oltre le mie aspettative. Organizzarlo è stato relativamente semplice, considerando il risultato ottenuto. Ho chiesto online ai miei follower chi aveva intenzione di aiutarmi a trovare un posto dove fare una presentazione nella sua città, a titolo assolutamente gratuito. I volontari sono stati tantissimi, e così le proposte. Considerando che è stato tutto senza l'aiuto di nessun esperto di organizzazione eventi, la cosa ha del prodigioso. Senza considerare quanto per me e la mia famiglia sia stata soprattutto una preziosa esperienza umana. Io come viaggiatore, avevo sempre privilegiato luoghi naturali e solitari, e invece in questo tour mi sono trovato a contatto con centinaia di persone. Questo mi ha permesso di esplorare lati del carattere che raramente metto alla prova. Sono tornato "più grande".
Qual è la strada giusta?
Non esiste una sola strada giusta. Ogni persona ha la sua, e sa da solo se vuole cercarla, se l’ha già trovata, se la sta percorrendo o se si è perso. Per quanto mi riguarda, la MIA strada giusta è cercare la felicità, eliminando dalla mia vita tutto quello che mi è superfluo, e scoprendo man mano tutto quello che mi è necessario. È una ricerca, da fare un passo dopo l’altro.