di
Giovanna Pinca
11-08-2011
Prima che coltivatori siamo stati - e per molto più tempo - un popolo di raccoglitori. Per qualcuno resta una scelta di vita e di professione, oltre che un modo divertente di stare all'aperto e di variare la propria tavola. Ce lo raccontano le storie che Elisa Nicoli ha raccolto insieme alle schede complete di 36 piante selvatiche e ad una miniera di informazioni su sagre, luoghi e realtà fisiche e virtuali nella guida "L'erba del vicino. Manuale per la raccolta e l'uso conviviale di erbe e frutti selvatici" (Altreconomia 2010). L'abbiamo intervistata.
Elisa è esperta di autoproduzione, giornalista e viaggiatrice, collaboratrice - oltre che dell’associazione PAEA - di AAM Terra Nuova ed Altreconomia. Le abbiamo fatto qualche domanda ed anche chiesto di regalarci a sua scelta una delle tante ricette che ha sperimentato (la trovate a fondo pagina).
La guida che hai scritto non è un ‘tomone’, ma contiene un sacco di informazioni che vanno ben oltre le schede dedicate alle piante “commestibili”. Quanto di questo ha a che fare con i tuoi percorsi personali di raccolta e sperimentazione?
Tutto parte da quando ero bambina e mia mamma mi insegnava a riconoscere le piante. Una passione che mi è tornata viva qualche anno fa quando ho cominciato a cimentarmi anche io, come lei, nella raccolta e trasformazione delle piante spontanee. È una delle attività che compone la mia predisposizione all'autarchia e al farmi da me più cose possibile.
Oltre alle schede sulle piante, racconti anche diverse storie di persone che in qualche modo hanno fatto dell’esperienza di raccolta o uso elle erbe selvatiche un lavoro. Non si tratta quindi solo di un hobby che si rifà alla memoria del sapere passato?
Ho scelto di parlare solo di una persona che non c'è più, che raccoglieva piante spontanee per sopravvivere, tanti anni fa. Le altre storie invece sono tutte attuali, per dimostrare come questa attività non sia una cosa relegata al passato o un semplice hobby, ma come possa fare parte integrante della nostra vita, se non proprio quotidiana almeno dei nostri fine settimana fuori porta.
Quali sono i passi che consigli a chi ha voglia di andare a fare un primo giro di raccolta? Si può cominciare con il fai-da-te o meglio andare prima almeno una volta con un esperto?
Il mio consiglio è innanzitutto la convivialità. Come si può intuire già nel titolo, l'idea del libro non è tanto di rendere le persone autonome e capaci ciascuna di riconoscere tutte le piante che vede, ma di stimolare la condivisione di saperi e competenze, per andare assieme in prati e boschi a cercare piante commestibili. Un amico un po' più esperto potrebbe essere già un ottimo inizio. Improvvisarsi raccoglitori lo sconsiglio invece vivamente, è davvero rischioso (i centri antiveleni indicano come il numero delle intossicazioni da erbe spontanee sia statisticamente pari a quello da funghi).
Oltre al COSA, è importante anche COME si raccoglie. Tanto per capirci, non sarebbe un buon segno dover fare il patentino per raccogliere radicchio selvatico come per funghi e asparagi. Che si deve fare per evitare di fare danni?
Per evitare di fare danni basta avere interiorizzato l'idea che siamo parte della Natura e non che la Natura sia al nostro servizio. Non siamo dei rapinatori o dei predatori, ci dovremmo avvicinare alla raccolta con il massimo rispetto di ogni forma vivente. Con questo spirito è più difficile fare danni. È comunque sempre bene raccogliere solo piante presenti sul territorio in abbondanza. Inoltre non bisognerebbe mai estirpare le piante e preferire la raccolta di fiori e frutti alle radici. Le foglie andrebbero staccate ricordando che servono alla pianta per la fotosintesi clorofilliana e sarebbe quindi meglio non togliergliele tutte.
Giochiamo: ti dico delle aree bioclimatiche, semplifico indicandoti le città: mi associ la prima pianta mangereccia che ti viene in mente?
• Bolzano - mirtilli rossi
• Bologna - asparagi selvatici
• Arezzo - corbezzoli
• Lecce - lampascioni
• Sassari - finocchio selvatico
• Ancona - borragine
• Trapani - capperi
• Roma - pino domestico
• Milano - germogli di luppolo
• Imperia - calendula
Tu viaggi parecchio, soprattutto a piedi. Ti capita di raccogliere piante in viaggio o all’estero?
Viaggiando un po’ per tutta Italia ho incontrato molte persone e ho scoperto piante nuove, diversi modi di nominarle e vari modi per impiegarle. Amo chiedere alle persone come chiamano nella loro lingua locale la tale pianta e se hanno degli usi tradizionali di piante che crescono soprattutto in quella zona. E ovviamente, non ho mancato di raccoglierle a mia volta e di sperimentarne l’uso. All’estero invece mi azzardo meno a raccogliere piante… nell’area mediterranea se ne possono trovare di molto simili a quelle italiane, ma altrove cambia tanto. Non raccolgo mai piante che non sono assolutamente sicura di riconoscere.
C’è una ricetta che ti piace e che hai voglia di regalarci?
Una recente, gustosissima scoperta sono i boccioli di tarassaco, che crescono a inizio primavera nascosti nella rosetta basale della pianta. È stata un'idea regalatami da Elena de La Giustrela (la sua storia la si può leggere nel librino). Possono essere conservati sott'olio.
I boccioli di tarassaco devono essere puliti e si deve controllare che non contengano insettini. Si prepara un liquido con una parte di vino bianco, mezza di aceto di mele e mezza di aceto bianco. Si aggiunge alloro e aglio e si porta ad ebollizione. Si sbollentano i boccioli per un paio di minuti. Si scolano e si lasciano asciugare per un giorno su dei canovacci puliti e privi di residui di detersivo.
Vanno sostituiti con altri asciutti dopo 12 ore. Si mettono in vasi sterili di vetro, si ricoprono d'olio extravergine d'oliva possibilmente biologico e li si sterilizza in acqua bollente, per poterli conservare per uno o due anni.