di
Elisa Magrì
16-08-2013
In una raccolta di saggi e interventi curati da Chiara D’Ottavi, il precursore del bioregionalismo e Premio Pulitzer, Gary Snyder, spiega come la tutela del territorio passi attraverso una conoscenza profonda delle sue dinamiche evolutive e come la poesia giapponese possa racchiudere la complessità del nostro ecosistema.
La storia umana, con i suoi linguaggi e le sue migrazioni, è come un’antica foresta di detriti, vecchi e nuovi, mescolati insieme, di vecchi risentimenti riciclati, di vecchie ricette riscoperte e di mitologie perenni che si mostrano, trionfanti, e impudenti, sul palcoscenico. L’'imperativo ecologico' dev’essere provare a vedere, quale che sia la crisi attuale di cui siamo parte, come questa stessa crisi appartenga a dei meccanismi più ampi e più antichi. Si tratta altresì di un imperativo che onora la diversità della specie, dei linguaggi e delle tradizioni.
Così Gary Snyder, poeta ispiratore della Beat Generation e Premio Pulitzer nel 1975, rilancia l’impegno alla protezione del pianeta attingendo direttamente all’energia interna dell’ecosistema. L’invito è contenuto nella raccolta di saggi e interventi dal titolo Ritorno al Fuoco: Ecologia profonda per il nuovo millennio (Coniglio Editore, 2008), curato e tradotto in modo pregevole da Chiara D’Ottavi, la quale ha intervistato personalmente Snyder nella sua casa alle pendici della Sierra Nevada californiana (l’intervista è acclusa in appendice al libro ed è apparsa in versione ridotta all’interno del mensile La Nuova Ecologia, gennaio 2007).
La proposta del poeta americano, nato a San Francisco, classe 1930, consiste nel riscoprire la specificità del territorio che abitiamo unitamente alle antiche maniere 'selvatiche', che insegnano a vivere in equilibrio con l’ambiente e soprattutto con la sua spontanea, spesso imprevedibile, storia naturale. La straordinaria rilevanza del fuoco nella storia delle foreste della California mostra bene come la sostenibilità debba essere valutata anche in termini di intatta qualità delle terre e di varietà biologica.
In passato gli ecosistemi riuscivano ad adattarsi completamente e a recuperare qualsiasi condizione, malgrado invasioni di insetti, incendi e raffiche di vento. Anzi, le culture native della California apprezzavano il fuoco come strumento ed amico e ogni anno bruciavano la boscaglia per tenere i boschi e le gole puliti e curati.
Per questo, oggi, insistere nel rimboschimento o sul taglio degli alberi commerciabili è una scelta dettata da criteri di produttività economica, piuttosto che dalla comprensione del ciclo delle foreste selvagge: “Fa star male vedere come le varie amministrazioni senza cognizione abbiano usato la paura del fuoco per distorcere le politiche pubbliche promuovendo più sfruttamento, più industria e più leggi restrittive. È l’esatto parallelo dell’uso del 'terrorismo' al fine di alterare i valori americani e aggirare la nostra Costituzione, giustificando così una politica estera aggressiva e il continuare a proporre quella fantasia malata che è l’impero globale americano”.
La proposta di Snyder è, invece, quella di imparare a rispettare la vita di una foresta e quindi di apprendere l’uso del fuoco praticando incendi moderati con le condizioni propizie e i tempi opportuni. In questo modo si tornerebbe ad avere foreste che siano un mix di alberi maturi e di tutte le età, puliti e al sicuro dal pericolo di incendi gravi.
Si tratta di coltivare una forma selvatica di nonviolenza e di rispetto per la natura intera, due precetti silenziosamente presenti nella tradizione giapponese dell’haiku, di cui Snyder si è reso erede negli anni trascorsi in Giappone per approfondire la filosofia buddhista.
Rivendicatore appassionato, con Ginsberg e Kerouac, della libertà di espressione, Snyder sostiene l’importanza di “manifestare in noi stessi e nel nostro lavoro l’integrità del selvatico”. In questo la poesia può essere di grande aiuto, poiché dischiude nuove visioni del mondo e dà voce alla complessità degli ecosistemi, compresi quelli urbani e contemporanei. Basta saperli interpretare, conoscere e amare. Perciò i saggi che compongono il volume intrecciano costantemente percorso autobiografico, suggestioni poetiche e passione per il territorio.
Solo attraverso una combinazione sapiente e coraggiosa di tali elementi possiamo apprezzare a fondo il significato del messaggio di Snyder, per nulla riducibile alla retorica del buon selvaggio. Il poeta non auspica, infatti, nessun regresso, né si lascia andare a nostalgiche rievocazioni; piuttosto ribadisce la necessità, sempre più attuale, di “una nuova religiosità che abbracci la natura e che non abbia paura della scienza; di leader economici che conoscano e accettino i limiti ecologici e spirituali, di leader politici che passino parte del loro tempo a lavorare nelle scuole, nelle fabbriche o nelle fattorie agricole e che magari (almeno alcuni di loro) scrivano ancora poesie”.
Ma attenzione a riconoscere un buon haiku dalla misura e dalla qualità dell’espressione.