In questo sito utilizziamo cookies propri e di terze parti per migliorare la navigazione e poter offrire contenuti e messaggi pubblicitari personalizzati. Continuando la navigazione accetti l'utilizzo dei cookies da parte nostra. Nelle impostazioni del tuo browser puoi modificare le opzioni di utilizzo dei cookie. (Informativa)
L'eredità di Steve Jobs: vendere la propria storia nel mercato dei sogni
di
Andrea Degl'Innocenti 07-10-2011
Steve Jobs era un grande narratore e un sognatore, ma era anche - soprattutto ? - un abile uomo d'affari che aveva capito l'importanza di raccontare una storia. "L'insegnamento, un po' cinico, che ci lascia è quello non solo di seguire i nostri sogni, ma di renderli una merce e provare a venderli".
Quando muore un uomo che ha contribuito a cambiare il mondo, è giusto che il mondo ne parli. Così oggi le parole di Steve Jobs riempiono la rete, scritte sui muri di Facebook, cinguettate su Twitter, in testa ad ogni homepage di giornale o blog. “Siate affamati, siate folli”, “abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione”.
Continuo a guardare e riguardare su Youtube il celebre discorso di Jobs ai neolaureati di Stanford del 2005.
Commovente, profondo, geniale, incoraggiante: normale che faccia presa su tutti noi, soprattutto sui più giovani, che vengono spinti a seguire i propri sogni, a non accontentarsi del lavoro che hanno, a cambiare il mondo in cui vivono piuttosto che rinunciare a quello in cui credono.
Lo guardo e lo riguardo, dicevo. Ma non perché sia caduto in adorazione mistica del guru della Apple. Piuttosto perché c'è qualcosa che non mi quadra, una leggera nota stonata di fondo che in qualche misura bilancia o persino ribalta il significato profondo dei concetti espressi. E che inizialmente non riuscivo del tutto ad afferrare. Proverò a spiegarmi. Partendo da due concetti fondamentali: quello di storia – intesa come racconto, favola – e quello di sogno.
La storia è un elemento fondamentale della nostra vita. Passiamo buona parte delle nostre giornate a raccontare storie. Raccontare una storia significa far emergere una serie finita di punti fra gli infiniti che compongono un'esperienza e poi collegarli con un tratto di penna.
Che l'esperienza sia vera o inventata non fa alcuna differenza; il processo di “estrazione” della storia resta comunque del tutto discrezionale sia nell'elezione dei punti che ne fanno parte, sia nel determinare i nessi logici che uniscono tali punti. Ecco Steve Jobs era sicuramente un maestro nel raccontare storie, e attribuiva ad esse un valore quasi mistico. Il valore che tramite la narrazione attribuiamo all'esperienza contava per lui più dell'esperienza stessa.
Lo lasciava intendere, neanche troppo fra le righe, nel discorso ai neolaureati. Egli esordisce dicendo “oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita”, e chiosa “tutto qui, niente di eccezionale, solo tre storie”, sminuendone il valore col reale intento di rimarcarne l'importanza. E la prima storia, guarda un po', si chiama proprio “Unire i punti”. In essa Jobs racconta di come una serie di esperienze negative abbiano contribuito in maniera fondamentale alla sua riuscita personale. La mancata adozione da parte di una famiglia ricca, l'abbandono prematuro degli studi universitari, il fatto che sia stato licenziato dalla Apple, che egli stesso aveva creato. Sono tutti punti che egli fa emergere dal passato del proprio vissuto e collega fra loro fino a giungere al presente, a dimostrare che col senno di poi ogni evento che consideriamo sul momento negativo può avere ripercussioni positive.
Ma a ben guardare, ciò che egli vuole trasmettere con il breve racconto è proprio l'importanza di raccontare storie. Non per forza agli altri, anche a se stessi: unire i punti, decidere ciò che fa parte e ciò che non fa parte della nostra storia, stabilire i nessi logici. Non può esservi comprensione senza narrazione.
Al tempo stesso, Jobs, proprio grazie alla storia che racconta, la sua, sta offrendo alla platea un sogno. Ed eccoci al secondo concetto. Il sogno è nell'immaginario collettivo, un'aspirazione futura verso la quale tendere, un obiettivo astratto da rincorrere con infantile entusiasmo. Un sogno ci permette di non vedere gli argini in cui la nostra esistenza è costretta dalle convenzioni sociali, dalle regole scritte e non scritte che limitano la nostra libertà di azione e di movimento.
“Non fatevi intrappolare dai dogmi […] – continua Jobs – abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario”. Egli stava in pratica dicendo alla platea di avere dei sogni (e gliene forniva uno, rappresentato dalla sua storia), e dava loro anche la chiave d'accesso per realizzare il proprio sogno: costruire una propria storia. “Dovete aver fiducia che in futuro i vostri puntini si uniranno”. Trattare la propria esistenza come una storia, in cui ogni puntino ha un significato in quanto funzionale alla realizzazione del successivo – e al progredire della storia – è per Jobs il segreto per realizzare i propri sogni.
Ora, stacchiamoci un attimo dal discorso, e analizziamo – solo un accenno – l'evoluzione del significato dei termini “sogno” e “storia” nella società. Essi vengono alla ribalta con la rivoluzione culturale del '68, grazie al movimento hippie. Non a caso si è soliti riferirci a quel periodo come al “grande sogno”, e uno degli slogan più in voga era “immaginazione al potere”.
Il mondo occidentale stava allora uscendo da un periodo storico piuttosto opprimente – che il sociologo polacco Bauman chiama modernità solida – caratterizzato da griglie sociali molto rigide, dall'autoritarismo politico, da un modello di produzione il cui emblema era la fabbrica fordista. Era perciò opinione diffusa che una società più giusta dovesse passare attraverso l'affrancamento dell'uomo dal peso opprimente della società. La liberazione di ciascun individuo dalle soffocanti norme sociali sarebbe stata la chiave della felicità collettiva.
Purtroppo non è andata così. La rivoluzione del '68 ha contribuito in maniera fondamentale a svecchiare una società obsoleta: la gioia distruttiva che animava i “sognatori” ha sgretolato gran parte degli apparati del potere tradizionale: confini fra nazioni, schemi sociali, burocrazia. Ma nell'attesa che una società più giusta prendesse il posto di quella gettata al macero, un altro potere, stavolta più sottile e sfuggente, ha approfittato del varco appena aperto.
Un potere liquido, privo di roccaforti da espugnare, che traeva la sua forza dall'idea che ogni tipo di relazione doveva essere basata su flussi di denaro e regolata dai principi del mercato. La politica aveva così il compito di trovare il metodo migliore per applicare questo modello (da qui l'espressione “pensiero unico”), ma era privata della facoltà di metterlo in discussione.
Inoltre, per creare un substrato economico su cui poggiare ogni costrutto sociale, andava conclusa l'opera distruttrice fino a giungere ad intaccare i legami più profondi fra individui; causare così la scomparsa di intere categorie sociologiche basate sulla presenza di legami sociali normati: la comunità, il vicinato, persino – sostiene Richard Sennet – la famiglia. Ogni sorta di antico legame, nell'ottica di questo tipo di potere, deve essere annullato per lasciare spazio al libero scambio di denaro, per il quale avrebbe rappresentato un freno.
E i sogni e le storie che funzione hanno in questa nuova configurazione? Strano a dirsi, ma hanno un ruolo di prim'ordine. Anzi in un certo senso sono il motore dell'intero sistema. Pensiamo alle pubblicità: difficile trovarne una che parli veramente del prodotto venduto; più comune che si parli di valori astratti: libertà, bellezza, successo. Sogni, in altre parole, ai quali il prodotto si associa in una sorta di riflesso condizionato, e nei confronti dei quali esso si pone come medium.
Insomma, la fantasia è finalmente giunta al potere, ma non nel senso sperato dagli ideatori dello slogan. Oggi la merce migliore (e per merce s'intenda qualsiasi cosa, persino gli esseri umani) è quella che meglio delle altre, con più fantasia, riesce a rompere gli schemi, essere innovativa, creare un nuovo sogno da realizzare. Come scriveva Pasolini nelle sue Lettere luterane, nella socetà dei consumi l'anticonformismo è stato eletto a paradigma ed è diventato il vero conformismo. Così i migliori uomini d'affari e imprenditori d'oggi sono dei creativi, gente che sa unire i puntini e vedere un po' più in là, gente che crede nei sogni.
Solo, sono cambiati i sogni. I sogni individuali, all'interno di una società collettiva come era quella degli anni Sessanta, erano sogni di realizzazione comune, di giustizia sociale. I sogni individuali nell'odierna società individualista e mercatista, in cui poco di collettivo ancora sopravvive, non possono che avere come unico obiettivo la realizzazione personale. E nel coltivare un sogno personale, non v'è spazio per gli altri. La vita è una folle corsa alla realizzazione del proprio sogno in cui è fondamentale arrivare primi - per ogni sogno realizzato ce ne sono migliaia miseramente falliti, è la dura legge dei sogni – ma è ancora più importante continuare a sognare, e correre.
L'intuizione di Jobs è stata forse proprio questa: comprendere la duplice natura del sogno. Qualcosa in cui credere, per cui lottare, ma anche una merce vendibile, la migliore in assoluto. Gran parte dell'economia del consumo si muove attorno al mercato dei sogni, venduti e consumati.
Ecco cosa c'è di non detto nel suo discorso. Che un sogno ed una storia, sono soprattutto una merce vendibile, il vero valore aggiunto di qualsiasi oggetto. Che poi l'oggetto da acquistare assuma la forma di un pc, di uno smartphone o di un lettore mp3 poco importa: quello è solo il mezzo.
E nel caso della Apple è proprio lui, Steve Jobs, ad impersonare il grande sogno. Un sogno che egli perpetua nel tempo raccontando una storia. La storia di un orfano, dall'infanzia e l'adolescenza difficile che infine riesce a realizzarsi, una storia sulla rivincita, sul destino. Per questo la sua figura è avvolta da un'aura quasi mistica; per questo molti analisti si domandano adesso se la società potrà sopravvivere anche senza il suo fondatore. Era lui il valore aggiunto della mela.
Nel dire ai ragazzi che i sogni saranno la chiave del loro successo, dunque, Jobs sta dicendo loro non solo di avere il proprio sogno come fine, ma anche – soprattutto – di usarlo come mezzo per raggiungere il successo. Di gettarsi nel mercato dei sogni, ciascuno col proprio e iniziare a correre. Volendo rileggere, un po' cinicamente il suo celebre incitamento, potremmo dire “siate spietati, siate soli”.
Leggi anche L'eredità di Steve Jobs: guardarsi dentro, sapersi ascoltare
Commenti
Dopo due giorni di articoli che lo santificano, finalmente ne trovo uno scritto in modo obiettivo.
È sorprendente come tante persone lo identifichino come un'icona esclusivamente positiva, dimenticandosi che la sua più grande abilità (sua e del team di pubblicitari) è stata di creare in modo efficacissimo sempre nuovi bisogni artificiali dai quali i suoi stessi adoratori diventavano dipendenti. Una sorta di guru egoista. La maggior responsabilità di tutto questo però, è dei seguaci accaniti, che non sono in grado di dubitare del proprio idolo.
Masque, 07-10-2011 02:07
Finalmente una valutazione interessante sull'argomento, complimenti veramente
Francesco Cremisini, 07-10-2011 02:07
bello, bellissimo articolo. finalmente qualcuno che vede oltre lo steve jabs che in questi giorni tutti disegnano. carismatico, affascinante, creativo..ma soprattutto imprenditore e commerciante..ha saputo vendere, non solo i prodotti della apple ma anche la coscienza del raggiungere il successo. ottimo articolo.
mattia, 07-10-2011 04:07
D'accordo con Masque, penso che questa sua 'beatificazione' sia dovuta al fatto che sia stato spesso presentato a torto come una sorta di anti-Bill Gates. Rispetto a Gates Jobs semplicemente era più creativo e un po' meno cinico e avido.
Igor Giussani, 07-10-2011 09:07
Ciao Andrea,
d'accordo con te. Grazie per questa tua riflessione che mi ha permesso di capire più a fondo quella che ho fatto io in questo mio post sulla morte di Steve Jobs, http://jetztindeutschland.com/2011/10/07/si-lo-so-steve-jobs-e-morto. Se ti darai la pena di leggere ciò che ho scritto (ma non è necessario che tu lo faccia), vedrai che anche io ho posto l'accento più che sull'uomo sui prodotti venduti dalla Apple. A mio modo di vedere simbolo di omologazione e di quella società che, come dici te, doveva essere aperta a tutti e rompere i conformismi che invece è miseramente naufragata nella sua caricatura.
Michele, 08-10-2011 08:08
The most interesting points of your article are the reflection about the socio-economic system today. Your observations of the over-individualism that have been promoted and allowed by the goverments that were supposed to look after the 'collectivity' and the respect of human rights, which are foreign to the current profit-as-the-single-objective economic system. Also the historical perspective in which you put them, makes it much nicer to read. However, your 'liquid-power' metaphor has limits: the rules, by which the market (and marketing) are regulated, are precisely the means to put a hand on the system.
On the other hand, I find your critic of the story-telling abilities and the dream-seeking drive of entepreneurs that play by the rules, such as Jobs, rather unfunded. Perhaps a litle reflection of what it takes to create and raise a company under the savage rules of the market today may let you better appreciate the contribution of these people. This does not mean that everything they do is 'good' from every standpoint, but if we want them to act acording to other values, different from the profit-only one, we (or the people who represents us) should change the rules of the game.
Another thing a disagree with you is the following. Telling lots of nice stories and have influential marketing is not enough to drive Microsoft and other powerful oganizations out of your way. If the computers and other tech-artifacts they sell were bad or useless, not so many people would buy them. Plus, saying what is 'really useful' its a very subjective question. One may argue electric power is not really useful, since we use to live without it some time ago... I guess finding a good compromise between fredom of choice (for people not for companies) and social balance is what we should look for (but we're very far from it today as you point out).
Thanks for your article.
Daniel, 08-10-2011 03:08
va bhe, che scoperta: steave jobs non è che guevara :)
chiaro che il suo sogno è il sogno americano. non capisco che male c'è a spingere le persone a realizzarsi. la politica è un'altra cosa.
(e te lo dice uno che ha tatuato che guevara sulla slalla destra e una stella rossa sul cuore)
federico, 08-10-2011 03:08
Lascia un commento
Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.
Commenti