di
Francesco Bevilacqua
13-12-2012
È uscito “L’impero invisibile”, l’ultima opera di Daniel Estulin, già autore di diversi libri riguardanti il Club Bilderberg ed i suoi membri. Russia, Kosovo, traffico di stupefacenti, mercanti d’armi internazionali, attentati nucleari. Il giornalista russo cerca di mettere in relazioni tutte queste tematiche, accomunate da un aspetto: la manipolazione della verità.
A circa tre anni di distanza dalla pubblicazione in Italia del suo libro “Il Club Bilderberg” (Arianna Editrice, 2009), il giornalista investigativo Daniel Estulin torna nel nostro paese con una seconda opera, “L’impero invisibile”, edito da Castelvecchi.
Il sottotitolo della pubblicazione – “La vera cospirazione di chi governa il mondo” – comunica con immediata chiarezza al lettore l’intento dell’autore: denunciare la trama dei “grandi burattinai” che da anni, lontano dalle luci della ribalta, influenzano in maniera decisiva le politiche dei governi e degli organismi sopranazionali di tutto il pianeta.
Il compito tuttavia è molto rischioso: l’autore si deve muovere mantenendo un delicato equilibrio, in bilico fra una denuncia credibile e documentata dell’operato di questi “governanti ombra” e lo sconfinamento nel territorio dei “teorici della cospirazione”, visionari interessati più al sensazionalismo gratuito che alla ricerca della verità, inevitabilmente funzionali ai poteri forti.
Estulin in realtà ha sempre arricchito in suo lavoro editoriale con una robusta mole di documenti comprovanti le sue teorie: inviti e verbali dei meeting bilderberghiani, ordinanze e mandati d’arresto, comunicati, rassegne stampa e fotografie da lui stesso scattate. Così come “Il Club Bilderberg” infatti, anche “L’impero invisibile” può contare su un’ampia appendice con la documentazione da lui raccolta in merito agli argomenti trattati.
Entrando nel merito però, rispetto al suo lavoro precedente e all’incessante opera di sensibilizzazione e divulgazione da lui portata avanti nel corso degli ultimi anni, si nota una variazione sul tema, che rende il percorso del lettore più tortuoso e bisognoso di un attento lavoro di approfondimento e analisi, anche dopo la conclusione del libro. Questo è forse dovuto alla volontà, da parte di Estulin, di ampliare il raggio d’azione della sua ricerca.
Dopo aver seguito le mosse degli organizzatori e dei frequentatori del Club Bilderberg per diversi anni, infiltrandosi ai meeting, raccogliendo materiale documentale e scattando fotografie, il giornalista di origini russe ha ritenuto opportuno arricchire la sua attività investigativa con un’analisi che sconfina nella geopolitica, nello spionaggio e nel terrorismo internazionali, nella storia politica e addirittura nelle tecniche di guerra di massa. Naturalmente il terreno da esplorare è vastissimo e insidioso: grazie anche alle premesse, appare chiaro a tutti come le vicende della storia moderna che sono state influenzate – se non indotte o provocate – da questo gruppo paragovernativo sono innumerevoli.
La difficoltà sta proprio nel provare a tracciare un filo logico che le unisca, costruendo un quadro coerente dal punto di vista storico, politico, militare e giudiziario. Per fare questo, Estulin individua alcuni temi chiave, ai quali dedica i diversi capitoli del suo libro: si va quindi dalla transizione dal comunismo al capitalismo della Russia alla guerra in Kosovo, dalle vicende del presunto trafficante di armi Viktor Bout alle tecniche di guerra nucleare. Minimo comune denominatore è la verità dietro la verità, ciò che non è mai stato detto riguardante gli scopi, le modalità d’azione, le persone e i governi coinvolti, a volte addirittura le conseguenze in termini di vite umane, di questa politica parallela e occulta.
A dirla tutta, l’analisi si apre con alcune affermazioni non propriamente condivisibili. Mentre è da sposare in toto la posizione di Estulin in merito alla sovranità monetaria – “qualunque nazione incapace di controllare la propria moneta non può essere sovrana e qualunque nazione che non sia sovrana è vulnerabile agli assalti e ai sovvertimenti messi in atto da questa oligarchia”, osserva nell’introduzione –, non convince l’ostilità nei confronti dell’idea di decrescita e della necessità di porre un limite allo sviluppo, così come sembra riduttiva l’etichetta attribuita a tematiche quali scarsità delle risorse, inquinamento, surriscaldamento globale, visti come specchietti per le allodole utilizzati per frenare il progresso tecnologico e controllare le popolazioni.
È forse anche sottovalutato il ruolo di paesi come la Russia o l’Iran che, pur caratterizzati da grandi contraddizioni interne, rappresentano un argine fondamentale al dilagare degli interessi delle elite globali, quantomeno dal punto di vista geopolitico e militare.
Sarebbe coerente con questa visione anche l’analisi proposta da Estulin in merito alla trasformazione dell’ex Unione Sovietica in un polo capitalistico. È interessante l’accento posto sulle storture che caratterizzano gli apparati interni della nomenklatura russa, corrotta e spesso funzionale agli interessi occidentali.
Si tratta di un aspetto che è molto utile soprattutto nel chiarire al lettore che i vari attori in gioco – i governi occidentali, gli organismi sopranazionali, le elite finanziarie, i cosiddetti “stati canaglia”, i terroristi buoni e cattivi, le opposizioni e i regimi – non rappresentano due schieramenti contrapposti e ben distinti, ma spesso si mescolano, anche in maniera trasversale. Interpretare la situazione in bianco e nero, senza saperne cogliere le sfumature, sarebbe riduttivo e fuorviante. Al tempo stesso, è sempre più difficile raccapezzarsi e individuare i reali interessi in gioco e chi li rappresenta.
Nel capitolo successivo, l’obiettivo si sposta sul Kosovo, località di fondamentale importanza strategica per via del suo posizionamento. Crocevia del passaggio dei flussi di risorse naturali, elemento potenzialmente destabilizzante in una zona dalle forti tensioni etniche e culturali, rifugio per ricchi e influenti delinquenti internazionali, negli anni novanta questo paese è stato al centro di una sanguinosa guerra, che rappresenta anche una delle operazioni mediatiche meglio riuscite mai attuate dalle potenze occidentali. Estulin è abile nell’evidenziare le contraddizioni che spesso smentiscono le versioni ufficiali, proposte dai media del mainstream e finalizzate a strumentalizzare avvenimenti comunque tragici dal punto di vista umano e civile.
Grande attenzione, nel prosieguo del libro, viene rivolta a Viktor Bout, presunto trafficante di armi internazionale, accusato dagli Stati Uniti di essere coinvolto nell’organizzazione di un attentato nucleare pianificato dalle FARC. Oltre che sulla sua vita, l’analisi dell’autore si concentra sulla ricostruzione della vicenda giudiziaria di Bout, la cui posizione sembra chiarita da un suo vecchio compagno nei servizi segreti sovietici al quale Estulin rivolge un’ampia intervista. In realtà, al di là della denuncia dell’ennesimo episodio al limite della legittimità e della legalità internazionali, che vede coinvolti gli Stati Uniti, non viene fornita una chiave di lettura chiara della vicenda Bout e il lettore viene come lasciato in sospeso, con il compito di collocare lui stesso questo episodio nel contesto storico e politico globale.
Molto più interessante è la parte conclusiva, dedicata alle tecniche di guerra nucleare. Estulin ricorre opportunamente a spiegazioni tecniche il più precise possibile, analizzando cinque grossi attentati della storia recente: quello del 1995 a Oklahoma City, quello alla discoteca di Bali del 2002, quello del 2005 di Beirut, quando venne assassinato l’ex Primo Ministro libanese Rafiq Hariri, quello di Dharhan, Arabia Saudita, del 1996, e infine quello del 2006 al parcheggio dell’aeroporto di Madrid.
Sulla base dei danni causati alle cose e alle persone, dei segni lasciati sul terreno, delle dinamiche dell’azione e confrontando i dati disponibili con le versioni fornite dai media e dalle istituzioni, Estulin conclude che in nessuno di questi episodi la verità ufficiale corrisponde a quella effettiva. Infatti, i danni provocati non sono attribuibili agli esplosivi che – è stato stabilito – sono stati utilizzati, ma secondo l’autore sono compatibili solo con ordigni atomici, per la precisione mini bombe nucleari.
Ancora una volta dunque, viene svelata una versione dei fatti che non corrisponde a quella contrabbandata come veritiera. E ancora una volta, tocca al lettore il compito di collocare queste nuove informazioni nello scenario storico e politico e fornire loro una chiave di lettura.