Recentemente, il quotidiano «Il Sole 24 Ore» ha pubblicato un articolo (qui leggibile in versione integrale) in cui si piange per il calo dei consumi elettrici lamentando “[...] il dramma del termoelettrico”. Ovvia questa posizione di Confindustria, preoccupata per gli industriali delle centrali termoelettriche, per contro non condivisibile da tutti gli italiani.
Il cosiddetto “dramma” significa infatti anche meno consumi di materie prime provenienti dall'estero e quindi una bilancia dei pagamenti con l'estero più sostenibile. Ma soprattutto significa anche meno inquinanti immessi nell'aria e meno scorie da smaltire.
Se vogliamo cercare di invertire il trend di gravi impatti ambientali ormai evidenti e non più contestabili la strada è anche questa, per la salute nostra e delle generazioni a venire. I dati riportati dimostrano l'erosione del mercato da parte delle rinnovabili, in particolare del fotovoltaico, a fronte di uno stremato eolico. Siamo quasi al 30% della produzione dall'insieme di queste tecnologie alternative al termoelettrico. È evidente come il processo richieda almeno un decennio prima di poter avere la maggioranza di produzione da rinnovabili, ma prima o poi il termoelettrico diventerà solo un triste ricordo, con buona pace di Confindustria e dei suoi aderenti.
Se veramente si comincerà a installare pannelli sui tetti dei capannoni industriali, invece di consumare terreni agricoli, ci saranno rilevanti superfici disponibili, e in gran parte si avrà
autoconsumo con ulteriori benefici derivanti dalla mancata esigenza di realizzare nuovi elettrodotti, cabine di trasformazione ecc.
Questa è la “generazione distribuita” auspicata da economisti e tecnici illuminati che vedono in ciò i benefici di una “smart grid” - rete intelligente - sempre più riduttrice dell'architettura centralizzata attuale e svincolata anche dai monopoli di cartello dei produttori di elettricità.
Comunque questo calo e questo trend era stato previsto dai più concreti e seri studiosi del settore, ed erano stati lanciati allarmi sia per i nuovi impianti programmati, che per i Piani di vario livello che irrealisticamente persistevano a prevedere sviluppi dei consumi e nuova impiantistica, spesso critica e impattante.
Per contro, il presidente dei petrolieri italiani, pur di non chiudere gli impianti, propone di trasformare l'Italia in un hub di produzione elettrica da vendere al resto dell'Europa! Una strategia
mai concordata con il popolo italiano e per ora fuori mercato, tenuto conto dei prezzi decisamente più alti dell'elettricità qui prodotta rispetto al resto dei paesi europei.
Certamente, non appena cominceranno a chiudere gli impianti termoelettrici in numero significativo, il problema andrà discusso in parlamento e lì si scontreranno numerosi interessi di ben
note lobby economiche.
Peraltro la strategia di fare dell’Italia un vero e proprio “hub elettrico” del Mediterraneo è dichiarata anche da Luigi De Francisci di Terna (grande operatore di reti per la trasmissione dell'energia elettrica), ma una cosa è aumentare il numero delle interconnessioni transfrontaliere per maggiore sicurezza per il sistema elettrico nazionale e internazionale (e per minore dipendenza del Paese da un ristretto numero di fornitori di energia), e altra cosa è diventare produttori ben oltre il fabbisogno nazionale per il mercato estero, come vorrebbero i petrolieri e i gestori di centrali termoelettriche.
Gli interessi in gioco sono enormi e ci vorrà un governo forte e veramente attrezzato per poter resistere democraticamente a certe pressioni. A mio avviso quello attuale non lo è.
Speriamo bene!
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