Intervista a Dom Williams, volontario in America Latina

'Storie invisibili' racconta lo straordinario percorso di vita di Dom Williams, un ex banchiere della City di Londra che ha mollato tutto per cambiare totalmente il suo modo di vivere andando ad abitare in America Latina con l’obiettivo di 'donarsi' agli altri. Negli ultimi dieci anni Dom si è investito in prima persona presso le comunità indigene al fine di alleviare il loro livello di povertà, alfabetizzarle e contribuire al riconoscimento e alla salvaguardia dei diritti umani e della dignità della persona.

Intervista a Dom Williams, volontario in America Latina
Just take a moment and look outside your everyday life, see everything you have, physical and mental, and take a second to think that 75% of the world's population doesn't have any of this (Dom Williams) Con le tue idee e la tua energia ma anche con il sostegno di persone solidali hai 'dato e creato' realizzando qualcosa di incredibile in America Latina, raccontaci chi è oggi Dom. Sono il fondatore ed il direttore dei progetti Phoenix in America Latina. Si tratta di progetti 'sociali ed umanitari' per i quali da alcuni anni riceviamo il supporto di Global Vision International (GVI). GVI è un’organizzazione non politica e non religiosa costituitasi nel Regno Unito nel 1998 presente oggi in circa 40 paesi. Il suo scopo è quello di offrire sostegno e servizi sia a volontari che a partner o altre organizzazioni che ruotano intorno al mondo della ricerca, della conservazione e del rispetto ambientale, dello sviluppo di comunità e dell’educazione. Proprio in questi ultimi 2 ambiti si inquadrano i progetti Phoenix condotti in America Latina, ideati e creati da me e Doreen, mia moglie. La nostra convinzione è che l’educazione, primaria e secondaria, così come la garanzia di un pasto al giorno per ogni singola persona rappresentano e devono rappresentare diritti umani base. E questi principi primordiali ci hanno spinto ad agire per realizzare il nostro 'sogno concreto'. A beneficio dei lettori, prima di parlare di ciò che avete creato praticamente dal nulla, facciamo un passo indietro e raccontiamo sinteticamente del tuo passato. Sono nato a Cambridge. Sin dall’età di 18 anni cominciai a viaggiare in lungo e largo per l’America Latina. Terminati gli studi sbarcai alla City di Londra dove ho lavorato presso una banca come analista nel settore dei mercati emergenti. Avvertivo che quello non era il lavoro della mia vita, ma, onestamente, quel lavoro era una strada per fare soldi rapidamente e cominciare a costruire il mio sogno. L’esperienza bancaria mi dette la consapevolezza di avere coraggio dentro di me; quel mondo paradossalmente mi diede la spinta definitiva al cambiamento. Fu così infatti che nel 2000 decisi di trasferirmi in Guatemala perché quel paese mi dava l’impressione di essere totalmente inesplorato. E cosa successe dopo l’abbandono del vecchio continente e la decisione di vivere in quel mondo sconosciuto? Nel frattempo conobbi Doreen e con lei iniziò la fase dei sogni che però volevamo assolutamente tramutare in realtà. L’educazione è un diritto umano così come avere almeno un pasto al giorno di cui nutrirsi. Quelli sono stati i nostri valori base e da quelle fondamenta, partendo da zero, abbiamo poi creato i nostri progetti. Parliamo dunque di questi progetti. Ci siamo impegnati molto per trovare il cammino più appropriato per la realizzazione delle nostre idee; nel 2003 infine abbiamo lanciato il primo progetto per gli indigeni di San Andrès Itzapa in Guatemala, solo ed esclusivamente con i nostri risparmi. Così abbiamo messo in piedi una scuola in seno alla comunità che potesse garantire ai bimbi un’educazione e allo stesso tempo un cibo al giorno. Ma occorreva agire anche per le famiglie della comunità e non solo per i bambini e così abbiamo anche avviato un progetto di costruzione di camini-stufe. Tutto partì da riflessioni molto semplici che vengono fuori dall’osservazione della realtà, ahimè cosa che spesso si dimentica di fare nel mondo occidentale. Le famiglie non possono permettersi di inviare i bimbi a scuola, semplicemente perché non hanno i soldi. Difatti occorrono i soldi per le tasse scolastiche, per comprare le uniformi ed i libri. Risultato, i bimbi non vanno a scuola. Piuttosto si preferisce dirottarli nei campi a lavorare duro per poter portare qualche soldo alla famiglia. In tale parte del mondo tra l’altro non c’è la certezza di mangiare nell’arco della giornata e per quello a scuola offriamo anche un pasto, spesso l’unico per i bimbi. Relativamente alla decisione di avviare dei progetti di costruzione di camini-stufa, è importante sapere che presso le comunità indigene c’è un elevato tasso di mortalità, infantile e non solo, a causa di malattie respiratorie provocate dalla continua presenza di rudimentali bracieri ardenti all’interno delle case. Servono per riscaldare ma anche per cucinare. Da lì l’idea di costruire dei veri camini-stufa che permettono la fuoriuscita dal tetto del fumo in maniera da ridurre il rischio di malattia e spesso di morte prematura. Oltre a ciò, sono tante le iniziative portate avanti e siete divenuti un concreto riferimento per gli indigeni. Vi siete mossi per lo sviluppo dell’agricoltura con la distribuzione gratuita di semi, avete creato un piano anziani, avete istruito gli adulti, avete creato gruppi di donne, lottato la malnutrizione e offerto assistenza medica. Mi preme sottolineare che successivamente sul nostro cammino abbiamo incrociato GVI che ci ha aiutato non poco mettendo a disposizione i volontari. Oggi chiunque può darci una mano, a distanza ma anche qui, fisicamente. I progetti vivono grazie alle donazioni ed al turn-over di numerosi volontari provenienti da ogni parte del mondo. È un volontariato particolare, chi viene qui è davvero molto motivato perché resta sui progetti per lunghi periodi versando una quota prestabilita e impegnandosi in prima persona nell’insegnamento o nella costruzione. Si tratta di una sorta di donazione che permette al donatore di essere anche volontario e poter vedere come viene concretamente utilizzato il denaro. È un solidarizzarsi ed un unirsi a livello internazionale per dare un vero aiuto alle popolazioni indigene. Per noi è un ulteriore motivo di felicità vedere la gioia negli occhi dei volontari durante il corso dei progetti. È uno straordinario esempio di integrazione tra popoli. Sei una persona molto concreta e predichi concretezza, diamo qualche dato sulle realizzazioni di questi ultimi 7 anni. Siamo riusciti a portare le nostre idee e ad estendere il nostro intervento anche in Honduras, Nicaragua, Perù e Ecuador. Siamo arrivati ad assicurare l’educazione primaria ad oltre 1500 bambini indigeni. Oltre 180 hanno ricevuto anche il secondo livello educativo. Sono state realizzate dai volontari circa 80.000 ore di insegnamento. Sono stati forniti migliaia di penne, colori, matite, gomme e libri scolastici. Sono stati forniti oltre 300.000 pasti a base di grano e distribuiti 400.000 frutti. Oltre 75 indigeni delle nostre comunità hanno un impiego permanente. Sono stati realizzati 140 camini-stufa e sono stati piantati 10.000 alberi. Ad oggi esistono ben 16 comunità attive e grazie a queste comunità oltre 500 famiglie beneficiano direttamente del nostro lavoro e della nostra assistenza. Nel giro di pochi anni vi siete integrati totalmente presso le comunità indigene in diversi stati e tutti vi apprezzano e sono riconoscenti per il vostro costante impegno sociale. Sì, e questo è ciò che ci rinnova e ci carica di energie supplementari per andare avanti. Vivere qui è già meraviglioso ma vivere nella consapevolezza di poter dedicare le nostre vite all’aiuto degli altri è un bonus. Abbiamo regalato il sorriso a questa gente, ma ci è toccato anche di dovere condividere il loro dolore. Lo scorso maggio, per esempio, la tempesta tropicale Agata ha colpito proprio alcune delle nostre comunità in Guatemala e si sono vissuti momenti drammatici e difficili. Nel nostro piccolo e con le nostre limitate possibilità siamo stati sempre presenti e siamo riusciti a dare una mano. Non ci fermiamo. Vorremmo lanciare nuovi progetti nel 2011 anche se dietro queste nuove iniziative ci sono dei timori legati ai disordini politici che potrebbero bloccare il nostro lavoro. Se potessi tornare indietro, nel passato cosa cambieresti ? E cosa faresti nuovamente? Non cambierei assolutamente nulla e non farei nulla di diverso perché ciò che ho fatto nel passato mi ha condotto a ciò che sono adesso che è quello che voglio essere. Le esperienze personali vissute negli ultimi dieci anni hanno solo schiarito e fatto emergere quello che avevo già dentro me stesso. Non bisogna complicarsi la vita, prendo ogni cosa per come viene. Si possono fare tante cose, anche apparentemente impossibili, occorre pazienza, tanta perseveranza ed impegno. Dom, suggeriresti ad altri di vivere un’esperienza come la tua? Sono percorsi individuali, però credo che chiunque possa dovrebbe provare. Si deve uscire dalla bolla costruita e vedere e conoscere il mondo reale che di certo non è quello vissuto dal 5% della popolazione mondiale. Nei nostri paesi si vive bene, ma è negli altri che occorre il nostro aiuto. Non si possono accettare gli squilibri di questo mondo. In conclusione, che messaggio ti andrebbe di passare ai lettori de Il Cambiamento? Cogliete ogni momento e osservate la vostra vita quotidiana, guardate ogni cosa che avete, fisica e mentale, e poi fermatevi per un secondo a pensare che il 75% della popolazione del mondo non possiede nulla di tutto questo.

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