di
Luca Giunti
05-09-2013
Pubblichiamo l'amara riflessione di Luca Giunti sullo stato di tensione in val di Susa, in seguito alle prese di posizione di Erri De Luca e Giorgio Cremaschi che giustificano il ricorso all’illegalità nella protesta valsusina sostenendo che la giustizia viene prima della legalità. Naturalista guardiaparco, agente di polizia giudiziaria e consulente tecnico della Comunità Montana, Giunti è un autorevole esponente No-Tav attivamente impegnato nella diffusione democratica e nonviolenta delle ragioni contrarie alla maxi-opera.
(Mi vengono pensieri brutti e cattivi. Scrivo per esorcizzarli. E per la consapevolezza che annunciare un fatto grave forse aiuta a evitarlo). La Torino-Lione è ormai una religione, materia di fede incrollabile e indiscussa come ogni culto che si rispetti. Proprio indiscussa, nel senso che si fonda su dogmi dei quali non è ammesso dubitare, pena l’eresia o l’esorcismo: è strategica, la chiede l’Europa, non possiamo fermarci, porterà lavoro.
Insomma, Deus vult! O anche: vuolsi così colà dove si puote e più non dimandare. Come un culto barbaro e pagano, ha bisogno di sacrifici per alimentarsi. E di sacrifici umani, non solo economici, ambientali e sociali. Ne ha già pretesi in passato: nella migliore tradizione classica, ha immolato due giovani, un maschio e una femmina. Ma oggi li ha dimenticati e ne reclama altri. Sarà un carabiniere, un finanziere o un poliziotto, questa volta?
Sarebbe meglio, cinicamente. Un olocausto da quella parte ridurrebbe al silenzio gli eretici, i contestatori, gli amministratori locali, seppellendo per sempre ogni possibile ripensamento in nome del “non può essere morto invano”. Sarà un manifestante, come l’altra volta? Una giovane sorridente o un pensionato arrabbiato? C’é mancato poco, la scorsa estate: tra le migliaia di lacrimogeni sparati dai celerini molti sono stati scagliati contro i volti e alcuni li hanno colpiti.
Hanno lasciato cicatrici e occhi accecati, doverosa antifona al rito sacrificale. Ancor prima, una saetta moderna – non più Zeus ma Enel – ha folgorato un ragazzo temerario avvicinandolo alla morte, rinviata per caso o per destino. Ma quando accadrà, la rivoluzione che implacabilmente scaturirà dal rito finalmente compiuto avrà un nuovo martire cui inneggiare, dopo la Stella e il Fulmine.
O sarà un operaio al lavoro? Sepolto da una roccia lasciata cadere da una divinità più antica, Madre Terra, adirata con chi continua a lacerarla impunemente. Una vittima perfetta, più vittima di tutti gli altri perché portato lì sotto non da grandi ideali o interessi economici, ma dalla necessità basale di sopravvivere e di lavorare per poterlo fare. Un tributo cinicamente calcolato, perché deve verificarsi statisticamente un tanto a chilometro. E qui ce ne sono sessantacinque. Chi sarà il predestinato?
Lo stato delle cose rende uno di questi martiri necessario, presto o tardi. Per evitarlo servirebbe un altro tipo di sacrificio, personale e penitenziale: ingoiare l’orgoglio, umiliarsi, fermarsi. Ammettere le bugie, riflettere sugli errori, dubitare dei dogmi da qualsiasi parte si trovino. E andrebbe compiuto insieme, soldati, oppositori, lavoratori, politici, in un rito collettivo purificatore, finalmente salvifico e rigeneratore. Sapremo farlo? Altrimenti, come si dice, avremo – tutti – un morto sulla coscienza. E il suo nome, nuovamente dimenticato, fra vent’anni battezzerà il primo, inutile, convoglio.
Articolo tratto da LIBRE
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