di
Daniela Sciarra
21-10-2010
Frane, smottamenti, alluvioni e terremoti. 6 milioni di italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico, il 50% del nostro territorio è ad elevato rischio sismico, 1 milione e 260 mila sono gli edifici, tra cui scuole e ospedali, costruiti in zone non sicure. Dal Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi, in collaborazione con il Cresme, ecco il ritratto di un'Italia 'fragile'.
L’Italia è un territorio fragile. Sono 6 milioni le persone che vivono in zone ad alto rischio idrogeologico e 3 milioni in quelle ad alto rischio sismico. Arrivano a 22 milioni, invece, i cittadini che abitano in zone a rischio medio.
Sono questi i dati dello studio 'Terra e sviluppo, decalogo della terra 2010 – Rapporto sullo stato del territorio italiano', realizzato dal Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi in collaborazione con il Cresme.
Il 10% del territorio e l’89% dei comuni italiani sono colpiti da elevate criticità idrogeologiche. L’elevato rischio sismico, invece, interessa quasi il 50% dell’intero territorio nazionale e il 38% dei comuni.
La forza di questi numeri restituisce uno spaccato della fragilità ambientale e territoriale del Paese che non ha bisogno di metafore o giri di parole per essere spiegata in tutta la sua inequivocabile drammaticità, e anche per individuarne le azioni che possano arginare nuovi disastri.
"Nel nostro Paese – si legge nel Rapporto – vi sono 1 milione e 260 mila edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi oltre 6 mila sono scuole, mentre gli ospedali sono 531. Della popolazione a rischio il 19%, ovvero oltre un milione di persone, vivono in Campania, 825 mila in Emilia Romagna e oltre mezzo milione in ognuna delle tre grandi regioni del Nord, Piemonte, Lombardia e Veneto. È in queste Regioni, insieme alla Toscana, dove persone e cose sono maggiormente esposte a pericoli, per l’elevata densità abitativa e per l’ampiezza dei territori che si registrano situazioni di rischio".
Ad inquietare sono anche i dati sul rischio sismico. Basti considerare che ben il 40% dei cittadini vive in zone ad elevato rischio terremoti e che, come ricorda lo studio, gli edifici a prevalente uso residenziale sono stati realizzati prima dell’entrata in vigore della legge antisismica per le costruzioni.
Nella classifica delle regioni con le maggiori superfici a elevato rischio sismico, svetta la Sicilia con 22.874 kmq e quasi 1 milione e mezzo di edifici, di cui circa 5 mila scuole e 400 ospedali, segue la Calabria con 15 mila kmq e oltre 7 mila edifici, di cui 3.130 scuole e 189 ospedali, al terzo posto c’è la Toscana con quasi 14.500 kmq, oltre 560 mila edifici di cui quasi 3 mila scuole e 250 ospedali.
Sono proprio i numeri degli edifici in 'bilico', le scuole e gli ospedali, che fanno più paura, forse perché è ancora vivo il ricordo del terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise, dove un’intera scuola elementare si è ripiegata su se stessa provocando la morte di 27 bambini e di un’insegnante, ma anche l'immagine della casa dello studente dell'Aquila crollata con il sisma del 6 aprile 2009.
Si calcola che lungo le superfici ad alto rischio sismico (il 50% del territorio italiano) sono stati costruiti circa 6 milioni e 300 mila edifici, di cui 28 mila sono scuole e 2.188 gli ospedali. A vacillare sono anche 1 milione e 200 mila edifici, per uso residenziale e non, che sono stati costruiti lungo i 29.500 kmq di territorio a elevato rischio di frane, smottamenti, alluvioni, di cui oltre 6 mila sono scuole e 531 gli ospedali.
"I temi della manutenzione ordinaria del territorio, della prevenzione del rischio, della responsabilità dei sindaci nelle scelte di localizzazione degli edifici, del ruolo centrale di pianificazione territoriale di qualità, insieme a quello delle risorse emergono con forza dall’analisi". Così ha sottolineato Pietro Antonio De Paola, Presidente del Consiglio Nazionale dei geologi italiani, nel presentare questo studio.
"La messa in sicurezza del territorio è la vera grande opera pubblica del fare del Paese". Così Legambiente è intervenuta in occasione della presentazione di questi dati. "Da Giampilieri (Messina) alle alluvioni in Provincia di Savona e Genova del 4 ottobre scorso, passando per Atrani (Sa), basta un nubifragio per trasformare esondazioni in tragedie – ha ricordato Vittorio Cogliati Dezza Presidente di Legambiente – e dall’ottobre dello scorso anno ad oggi sono stati stanziati 237.570 milioni di euro. Si tratta di denaro che serve solo a tamponare il disastro, a riparare i danni, ma che mai migliora la situazione. Per mettere in sicurezza il territorio – ha sottolineato Legambiente – serve una grande opera di manutenzione pluriennale a partire dai piccoli corsi d’acqua, un piano di prevenzione, in grado di coniugare la sicurezza dei cittadini con il rilancio delle economie locali, che vada a contrastare l’abusivismo e l’urbanizzazione selvaggia".
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