di
Elisabeth Zoja
20-10-2010
È iniziata lunedì e andrà avanti fino al 29 ottobre prossimo. La decima conferenza dell'Onu sulla biodiversità si svolge a Nagoya, in Giappone, dove in questo momento i rappresentanti dei 192 stati che aderiscono alla Convention on Biologica Diversity si stanno confrontando. Vediamo quali sono in dettaglio gli obiettivi del vertice in corso.
Il 2010, l’anno internazionale della biodiversità, sta giungendo al termine. Un passo decisivo in questo processo è costituito dalla decima Conferenza ONU sulla biodiversità, iniziata lunedì e che proseguirà fino al 29 ottobre a Nagoya, in Giappone. Proprio nella città portuale si incontrano infatti i rappresentanti dei 192 stati membri della CBD (Convention on Biological Diversity).
Gli obiettivi della conferenza sono principalmente tre:
1. Determinare un piano d’azione per i prossimi 10 anni (la prossima conferenza sul tema ci sarà nel 2020)
2. Stabilire le fonti e gli importi dei finanziamenti
3. Realizzare un protocollo per un’equa spartizione delle risorse naturali (soprattutto nei paesi in via di sviluppo).
Il piano strategico per il 2020 è ancora molto discusso: alcune associazioni ambientaliste richiedono innanzitutto che la riduzione della biodiversità venga arrestata entro il 2020. Esse reclamano inoltre che la pesca diventi da eccessiva a sostenibile e che venga annullato qualsiasi tipo di sovvenzione a industrie che danneggiano il pianeta. Infine il 20% della superficie terrestre totale dovrà essere protetto, dichiara la CBD.
Un tale progetto richiederebbe però una somma di circa 34,5 miliardi di euro all’anno. Attualmente la CBD ne riceve 766 milioni l’anno, ma le associazioni si aspettano che ciascuno degli stati membri del G8 metta a disposizione annualmente 2 miliardi di euro.
Ecco quindi presentarsi il secondo tema della conferenza: la provenienza dei fondi. I paesi in via di sviluppo si dichiarano pronti ad appoggiare la CBD se i finanziamenti dei paesi industrializzati si moltiplicano per cento. Questi ultimi dichiarano a loro volta di essere al verde a causa della recessione. Eppure il consenso senza impegno dei principali paesi ONU a partecipare a REDDplus (Reducing Emissions from Deforestation and Degradation in Developing Countries) viene considerato uno dei pochi esiti positivi di Copenhagen.
Positivo, però, principalmente da un punto di vista economico: i ricercatori della biodiversità avvertono, infatti, che se si misura il valore di un bosco unicamente in base alla sua capacità di ridurre CO2, si dimentica la sua importanza per l’ecosistema. Utilizzando questo criterio anche una piantagione, addirittura una monocultura, può essere considerata un 'bosco'. Ma a differenza di una piantagione o di un bosco artificialmente coltivato, una foresta ricca di biodiversità offre un habitat a centinaia di organismi diversi.
Attualmente il 30% del terreno mondiale è coperto da boschi, ma neanche il 10% sono foreste primarie. Questo perché ogni anno vengono deforestati 13 milioni di ettari (ovvero 10km quadrati) di bosco primario, mentre i 6 milioni di ettari di rimboschimento sono privi di biodiversità (come rileva l’UFZ, Centro di ricerca ambientale Lipsia).
Gran parte della biodiversità si trova nei Paesi in via di sviluppo, ma questi si trovano paradossalmente impossibilitati a proteggerla e a giovarsene proprio perché sono principalmente i paesi industrializzati ad approfittarne, poiché dispongono dei finanziamenti necessari. Per invertire questa tendenza, la CBD ha posto come obiettivo la realizzazione di un protocollo per la giusta ripartizione dei vantaggi tratti da risorse biologiche e dal sapere tradizionale. Tale documento dovrà essere vincolante e garantire i diritti di popolazioni locali in concordanza con la dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni.
Alcune associazioni ambientaliste richiedono che il protocollo contenga un sistema di accertamento giuridico, che permetta l’attuazione di eventuali sanzioni, ad esempio nel caso di errata dichiarazione sulla provenienza di un prodotto.
In questi giorni circa 200 capi di stato determineranno il futuro della biodiversità del nostro pianeta. I lettori critici però li giudicheranno non per quel che i politici sosterranno a Nagoya, ma per le loro opere nei prossimi dieci anni.