di
Francesco Bevilacqua
10-12-2010
Il discusso sito di controinformazione Wikileaks ha pubblicato molte notizie riservate che hanno messo in imbarazzo rappresentanti di governi e multinazionali. Tuttavia, comincia a farsi strada l'impressione che in realtà si tratti di uno specchietto per le allodole. Anche a noi è venuto questo dubbio, soprattutto quando ci siamo chiesti quanto effettivamente Wikileaks sta facendo per cambiare il preoccupante corso degli eventi.
Da qualche tempo ha fatto irruzione sulla scena della informazione e della controinformazione internazionale Wikileaks, il sito fondato da Julian Assange, ex hacker australiano che nelle scorse settimane ha raggiunto un’incredibile notorietà. Il sito si basa sulla raccolta di documenti segreti e privati grazie all’aiuto di collaboratori che, coperti da anonimato, li inviano al sito il quale poi li pubblica proteggendoli con una particolare cifratura. Assange ha poi stretto degli accordi con cinque fra i più conosciuti quotidiani del mondo (New York Times, The Guardian, Der Spiegel, El Pais e Le Monde), i quali curano la diffusione di questi 'scoop' nel canale dell’informazione ufficiale.
Wikileaks è stato presentato come uno dei più potenti siti di controinformazione, quasi di spionaggio, mai esistiti. La sua azione viene considerata fortemente destabilizzante, poiché rivela al grande pubblico i misfatti di governi e multinazionali (in testa ci sono ovviamente gli Stati Uniti), svelando trame segrete e informazioni riservate.
Tuttavia, molti osservatori non sono troppo convinti e hanno cominciato a sollevare dei dubbi e porsi delle domande a cui effettivamente non sembra ci sia risposta. Per esempio, chi è che finanzia una struttura informatica che ha sicuramente dei costi molto ingenti? Com’è possibile che sevizi segreti, corpi di polizia postale e intelligence al servizio dei più importanti governi del mondo non riescano a ostacolare, se non con qualche blanda citazione legale, un’emorragia di notizie così scottanti e compromettenti?
E ancora, com’è possibile la fuga stessa di questi file, che dovrebbero invece essere protetti con grande scrupolosità? Inoltre, addentrandosi nell’archivio che Wikileaks mette a disposizione e esaminando attentamente le notizie – un lavoro certamente lungo e impegnativo –, si può notare molto spesso che quelle che vengono spacciate per scottanti rivelazioni carpite da qualche informatore segreto nascosto in un armadio o dietro una tenda e inviate criptata al sito, sono in realtà una sorta di conferma di qualcosa che si può desumere con facilità semplicemente leggendo i giornali. Spesso insomma non c’è niente di nuovo, nessuna clamorosa rivelazione, nessuno scoop.
I più diffidenti si sono subito lanciati in teorie complottiste che vedono la tal agenzia governativa o il tal servizio di controspionaggio approntare questa specie di specchietto per le allodole per confondere le acque o colpire trasversalmente i nemici politici. Senza sbilanciarci abbracciando qualche ipotesi in particolare, è comunque impossibile non rilevare che in Wikileaks c’è qualcosa che non quadra.
Tuttavia, lo scopo di questo articolo è un altro. Wikileaks si presenta o viene presentato come un elemento sovvertitore in grado di mettere in discussione le certezze più radicate e svelare i segreti più inconfessabili dei padroni del mondo. La curiosità ci ha quindi spinto ad analizzare brevemente quali sono i presupposti su cui si fonda questo dominio e di conseguenza a quali obiettivi punta Wikileaks per farlo crollare, ovvero su quali tematiche intende cogliere in fallo governi e aziende multinazionali.
In particolare, il nostro ragionamento è stato questo: l’instabilità che regna è chiaramente denunciata dalle grandi crisi che il mondo sta attraversando, non solo quella economica ma anche quella sociale, quella alimentare e quella energetica. Ciò che ha scatenato queste crisi è un sistema basato su presupposti inconciliabili con la vita sul pianeta: lo sfruttamento esagerato delle risorse, l’inquinamento indiscriminato, il rinfocolamento di guerre e conflitti sociali e, in senso più ampio, il degrado politico, il predominio dell’economia sulle altre sfere della società, la globalizzazione e uno stile di vita finalizzato alla crescita continua, alla creazione di nuove industrie per produrre merci e all’apertura di nuovi mercati per consumarle.
Dunque – ci siamo detti – chi volesse mettere in difficoltà questo sistema e le persone che lo sostengono dovrebbe avere le idee abbastanza chiare su quali tasti toccare: dimostrare che le politiche ambientaliste, i protocolli sulle emissioni e i vertici per il clima sono quasi sempre semplice propaganda, denunciare chi si arricchisce alle spalle dell’ecosistema – per esempio le grandi aziende petrolifere o quelle che sintetizzano e brevettano gli OGM –, rivelare l’instabilità e la corruzione che stanno dietro al sistema bancario internazionale, dimostrare che la fame del mondo è provocata fra le altre cose anche dalla scellerata condotta dei colossi dell’agribusiness. Insomma, i nervi scoperti da colpire sono tanti e un attacco ben assestato avrebbe la capacità di minare un sistema che ci sta lentamente portando al collasso.
Stranamente però, procedendo all’analisi dei documenti pubblicati da Wikileaks, ci siamo accorti che questo tipo di tematiche non viene quasi mai affrontato. La stragrande maggioranza delle notizie è relativa a questioni riguardanti la geopolitica, le strategie militari, i rapporti di forza fra eserciti e ministeri, la creazione di alleanze in zone strategiche, le operazioni di antiterrorismo. Non si parla quasi mai, se non incidentalmente, di tutela ambientale, di finanza internazionale, di politiche sociali, di cultura o del problema energetico.
Quelle che dovrebbero essere delle gerarchie naturali vengono stravolte e questioni di fondamentale importanza per la vita dell’uomo e del pianeta vengono ridotte a merce di scambio per alleanze politiche oppure a variabili secondarie per valutare l’appetibilità di un territorio.
Qualche esempio? In un cable di maggio del 2009 si parla di istituire un parco marino nell’Oceano Indiano, nei pressi delle isole Chagos; la discussione però non verte sulla necessità di tutelare il delicato ecosistema dell’area, fortemente minacciato dall’acidificazione degli oceani e dall’eccesso di attività di pesca, bensì sui possibili conflitti fra l’influenza politico-militare americana e quella britannica.
Qualche buona notizia sembrerebbe arrivare dal dialogo politico e commerciale fra Cina e Gran Bretagna, nell’ambito del quale si parla di sviluppo di fonti energetiche alternative, politiche sociali anche a sostegno dei paesi poveri e addirittura l’istituzione di un sistema di assicurazioni bancarie per tutelare i risparmiatori. Tuttavia il paradigma è sempre lo stesso, tanto che le due priorità individuate sono la crescita dei consumi e del tasso di urbanizzazione.
Particolarmente difficili da decifrare sono anche le notizie che riguardano le concessioni e le tariffe sulle attività petrolifere nell’Africa centro occidentale: le preoccupazioni non sembrano essere quelle riguardanti l’evidente insostenibilità di tali attività né tanto meno l’eccessivo affidamento che ancora si fa sui combustibili fossili, quanto piuttosto la descrizione di una rete di rapporti commerciali fra aziende petrolifere e governi locali mirata, ancora una volta, a stabilire dei rapporti di forza.
Insomma, il modo in cui è trattato questo tipo di notizie non mette in discussione un bel niente, anzi, riduce temi di fondamentale importanza a variabili di contorno, distogliendo da essi l’attenzione e facendo credere che un po’ di gossip politico e miliare – che forse ha anche il pregio di stuzzicare maggiormente l’immaginazione di qualche cospirazionista – sia più importante.
In altre occasioni la tecnica è quella descritta in precedenza, ovvero spacciare per clamorose notizie che in realtà sono decisamente banali. Una di esse, per esempio, rivela uno 'scoop' che fa quasi sorridere, ovvero che il governo dell’Arabia Saudita, il secondo produttore mondiale di petrolio, è preoccupato per l’entusiasmo che il vertice di Copenaghen ha scatenato sulle energie rinnovabili.
Un’altra notizia del 2008 descrive e denuncia lo stile di vita opulento, dispendioso e insostenibile della nomenclatura kazaka, non tanto per invitare a essere d’esempio rinunciando al consumo sfrenato come dovrebbe fare un buon governante, quanto piuttosto per minare la credibilità politica dei rappresentanti di un paese strategicamente fondamentale.
Una sensazione analoga si prova anche in altri casi, come per esempio quello in cui vengono riportati commenti negativi sul vertice di Copenaghen da parte di diversi rappresentanti di paesi europei, che culminano con la condanna della politica dell’Unione Europea durante il forum nientemeno che da parte del Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy. In un dispaccio di un mese dopo invece, dei diplomatici discutono di quanto sia importante per l’Europa la collaborazione con gli Stai Uniti per attuare gli accordi di Copenaghen.
Insomma, come abbiamo già detto, chi si diverte a individuare trame e sottotrame degli intricati rapporti della politica internazionale troverà pane per i propri denti. Chi invece rimarrà fortemente deluso è chi sperava che le scottanti rivelazioni di Wikileaks – veritiere o pilotate che fossero – potessero contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza che le tematiche legate alla sostenibilità e alla decrescita rivestono, denunciando al tempo stesso la follia del sistema della crescita infinita che molti governi e cartelli di multinazionali portano avanti, spesso con metodi ben poco ortodossi.
Purtroppo però si è deciso di puntare l’attenzione su altre questioni e forse è proprio questa considerazione la chiave che ci fa capire che in realtà Wikileaks, per quanto scomodo e destabilizzante possa essere, molto difficilmente cambierà il preoccupante corso degli eventi.
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