«Innanzi tutto una premessa – dice Carlo – ai tempi della rivoluzione, ero stato contattato dal Frente Sandinista tramite un italiano che apparteneva al ristretto gruppo della comunità di Solentiname di Padre Cardenal, poi principale ideologo del Frente prima dell'insurrezione vittoriosa. Successivamente ho deciso di ritornare. Penso che questo paese giocherà forse un ruolo nei cambiamenti futuri. In Nicaragua si è avuta la terza rivoluzione in America Latina dopo quella sanguinosa del Messico; da cui nacque il Partito Rivoluzionario Istituzionale o PRI e poi la rivoluzione cubana di stampo marxista. È difficile fare analisi su che cosa sia stato il sandinismo in Nicaragua e su come si sia trasformato o si evolverà. Tutte le vecchie polis traballano, assieme alle loro politiche. Durante un viaggio, un tassista a Cali, patria di Pablo Escobar, nella Colombia delle Farc (duecento mila uomini in armi da più di cinquanta anni), mi raccontava con un mezzo sorriso che loro, i colombiani non possono più credere in niente, vuoi partiti, vuoi governi, presidenti, Farc, rivoluzioni… Io nel sedile posteriore del suo taxi lo stavo ad ascoltare un pó allibito. “Di quello che allo stato esiste nel mondo non potrá venire alcun aiuto, alcuna risposta…ma qualcosa – voltandosi verso di me – dovrà succedere” mi diceva. E il sorriso che mi rivolse, distogliendosi per un attimo dalla guida, era pieno, incondizionato, quasi misteriosamente felice».
«Mi rendevo conto che mi erano stati sottratti tutti i parametri di giudizio; che ne potevo capire di uno che aveva perduto la sua casa e la sua terra per la guerra ed era stato catapultato a fare il tassista in una città allucinante e caotica di quasi quattro milioni di abitanti? Una città dal traffico convulso, caotico, lo stesso traffico di Managua e di tutte le metropoli, latinoamericane e non. Che metro di giudizio potevo avere io? Del resto a Miami, sponda Usa dell’America Latina, con le sue linde case-giardino con efficienti autostrade cittadine a pedaggio automatico, estesa per sessanta chilometri di costa, con due o tre auto per casa, poteva mai essere modello per un mondo al collasso? A Managua coabitano nicaraguensi in case da due o tre milioni di dollari fino alla soglia di duecento o cento mila (i benestanti ‘più miseri’), con la straziante maggioranza della popolazione sistemata in case-baracca. Il traffico è congestionato da vecchissimi autobus Blue Bird, macchinoni nuovi di pacca di tutte le marche e cilindrate, immensi camion americani porta-cointaner, auto scassate e rattoppate e, ogni tanto, un carretto con un cavallino magro e il suo conducente».
«Sono alloggiato in un quartiere residenziale decaduto, molto verde, con spettacolari alberi che giganteggiano indisturbati. Ogni tanto un’auto. Quasi tutti i patios o giardini sono cinti da un alto muro e il muro spesso è sormontato da ulteriori barriere, tipo campo di concentramento (per proteggersi dai ladri). Ogni tanto un cavallino nicaraguense pascola negli spazi verdi. Mentre giro sulla mia bicicletta incontro un amico carrettonero. Ci fermiamo, ci salutiamo e gli domando dei suoi cavalli che pascolavano in un ampio spazio verde e che non ho più visto. Non può più lasciarli liberi la notte, gliene hanno rubati due che già lavoravano, già addestrati. Li hanno portati via di notte in un piccolo vallone e lì uccisi e macellati per portare i pezzi all’alba al mercato Israel Lewites, così da mescolare quella povera carne sanguinolente a quella bovina, per contraffarla. Ha scoperto il luogo del frettoloso macello, era poco distante dall’idilliaco luogo del pascolo. Anche questa è pratica corrente a Managua».
Un paese alla ricerca di un equilibrio, il Nicaragua vive lacerato da contraddizioni, iniquità, tensioni e delusioni. Un paese che può essere fulcro di un cambiamento, tutto sta a vedere come e quando.
1/Continua