di
Paolo Merlini
20-12-2011
Da oggi Paolo Merlini, il nostro esperto di vie traverse, alternerà agli itinerari lenti alcuni imperdibili suggerimenti letterari per viaggiatori accaniti e lettori attenti. Stavolta è il turno di 'La polvere del mondo' di Nicolas Bouvier.
Quest’inverno mi ha portato in dote un pranzo con Massimo Raffaeli.
Di fronte a un piatto di stoccafisso all’anconetana mi ha ammaliato con i suoi racconti che serberò gelosamente tutti per me come ricordi preziosi. Dirò solo che quando l’ho interrogato sul suo rapporto con il viaggio, mi ha spiegato che per lui “la letteratura è già un viaggio”.
È sacrosanto, non c’è dubbio. Ma se la letteratura è di per se un viaggio, la narrativa di viaggio che cos’è? Non so, forse è 'un viaggio nel viaggio'.
Amo i libri di viaggio che considero da sempre fonte d’ispirazione e cura. Fonte d’ispirazione perché nella genesi di ogni mio 'moto a luogo', c’è il racconto di un altro viaggiatore, cura perché i libri di viaggio servono per alleviare una mia conclamata dromomania.
E allora partiamo per un altro viaggio al tempo della Decrescita.
Si dice che dopo l’Odissea e dopo Moby Dick, il più bel libro di viaggio sia La Polvere del Mondo di Nicolas Bouvier (2009, Diabasis collana Al Buon Corsiero).
Bouvier nel giugno del 1953 ha ventiquattro anni e già scrive per un quotidiano. Lascia Ginevra a bordo di una Topolino per raggiungere l’amico pittore Thierry Vernet.
“Diedi un’occhiata alla carta. Era una cittadina situata in un circo di montagne, nel cuore della Bosnia. Da lì, egli contava di risalire verso Belgrado dove l’Associazione dei pittori serbi lo invitava a esporre. Avrei dovuto raggiungerlo negli ultimi giorni di luglio con il bagaglio e la vecchia Fiat che avevamo rimesso a posto, per continuare poi verso la Turchia, l’Iran, l’India, e forse ancora più in là… Avevamo davanti a noi due anni e soldi per quattro mesi. Il programma era vago, ma in casi simili, l’essenziale è partire”.
Queste poche righe contenute a pagina 7 della premessa, bastano a folgorare il lettore/viaggiatore. I due compagni viaggeranno per diciotto mesi e Bouvier distillerà questo imperdibile “compendio di arte viaggiatoria”.
Tra le pagine di quello che è per me il più bel libro di viaggio, non troverete solo la narrazione di un’avventura. La grandezza di questo libro sta nella prosa densa e calibrata con la quale l’autore ci svela i meccanismi segreti che albergano nell’animo di ogni viaggiatore.
“È la contemplazione silenziosa degli atlanti, su un tappeto, a pancia in giù, tra i dieci e i tredici anni, che dà la voglia di piantar tutto. Ci si ritrova a pensare a regioni come il Banato, il Kashmir, o il Caspio; alle musiche che vi risuonano, agli sguardi che si incontrano, alle idee che vi aspettano…”.
Quante volte il viaggiatore si è interrogato sui motivi che lo hanno spinto a partire?
Bouvier ci dice che “Un viaggio non ha bisogno di motivi. Non ci mette molto a dimostrare che si giustifica da solo. Pensate di andare a fare un viaggio, ma subito è il viaggio che vi fa, o vi sfa”.
L’Usage du Monde è un libro prezioso da leggere e rileggere mille volte. È il libro perfetto da portare in viaggio.
“Appoggiati contro una collina, guardiamo le stelle, i movimenti vaghi della terra che se ne va verso il Caucaso, gli occhi fosforescenti delle volpi. Il tempo passa tra tè bollenti, qualche frase, sigarette; poi s’alza l’alba, e s’allarga, le quaglie e le pernici si mettono in mezzo… e ci si affretta ad affrontare quell’istante supremo come un corpo morto in fondo alla memoria, dove si andrà a ripescarlo un giorno. Ci si stiracchia, si fa qualche passo, leggerissimo, e la parola 'felicità' parrebbe troppo misera e specifica per descrivere ciò che vi succede.
In fin dei conti, ciò che costituisce l’ossatura dell’esistenza, non è né la famiglia, né la carriera, né ciò che gli altri diranno o penseranno sia bene per voi; ma alcuni istanti di questo tipo, innalzati da una levitazione ancora più serena di quella dell’amore, e che la vita ci distribuisce con una parsimonia proporzionale al ritmo del nostro debole cuore”.
Bouvier ci ha lasciato nel 1998 ma a me piace pensarlo ancora li, alla frontiera con l’Iran, dove “al caldo, in una larga giacca di feltro e con il berretto di pelliccia calato sulle orecchie” sente l’acqua per il tè che comincia a bollire e con calma annota questi pensieri immortali.
Grazie Nicolas Bouvier.
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