di
Paolo Merlini
07-02-2012
Con l'autobus attraverso la Daunia, da Foggia a Campobasso lungo la statale 17, il nostro 'viaggiatore incantato' Paolo Merlini si lascia portare dall'immagine di terre lontane.
Il grado di libertà di un uomo si misura dall’intensità dei suoi sogni
Alda Merini
È un sabato di fine agosto e sto lasciando l’autostazione di Campobasso con un comodo bus della Sati.
A bordo, il personale viaggiante, dotato di un moderno palmare, ha emesso il mio biglietto di sola andata (9.55 euro) per questa magica corsa: Campobasso – Termoli – San Salvo – Pescara. Sprofondato nel sedile, mi godo l’aria condizionata pregustando la Valle del Biferno che il mio bus percorrerà fino alle porte di Termoli sulla Bifernina.
A pochi minuti dalla partenza ragiono sull’immensa energia sprigionata da questa grande autostazione dell’Italia centrale zeppa di autobus, autisti e passeggeri. La struttura, è stata ricavata in posizione strategica poco fuori dal centro storico e un sottopassaggio la collega alla stazione ferroviaria di Trenitalia. In pratica più o meno 700 metri e si arriva alla stazione da dove poi in meno di cinque minuti a piedi si arriva a Piazza Pepe, una delle piazze principali della città.
Il mio bus lascia il suo marciapiede e con la coda dell’occhio vedo Giancarlo che sorridente mi saluta. Gli lancio un silenzioso arrivederci, chiudo gli occhi e parte la moviola delle mie ultime 20 ore.
Ieri sera, prima di cena, un Intercity mi ha 'sbarcato' alla stazione di Foggia.
Per alcuni è Timbuctu, per altri è Foligno, per Francesco Guccini è Bologna (…ombelico di tutto, mi spinge a un singhiozzo e ad un rutto…), ma per me è indubbiamente Foggia il centro del mondo. Così come Aznavour ama Parigi nel mese di maggio (j'aime paris au moi de mai) io amo Foggia in piena estate. Quattro passi in centro e l’aperitivo al Gran Caffè Duetto in corso Vittorio Emanuele, osservatorio privilegiato sullo “struscio” cittadino, mi hanno permesso di godere dell’attimo fuggente.
Poi Antonio Furore mi ha accolto nella sua trattoria dove ho potuto apprezzare la sua grande ospitalità e la magia dei piatti della tradizione foggiana rivisitati dalle mani 'sante' di mamma Maria alle prese con i fornelli. In fondo sono fortunato, per dare sollievo alla mia dromomania mi basta raggiungere Foggia e cenare da Antonio.
Sono andato a letto con il biglietto del bus Foggia – Campobasso sul comodino. Ho comprato il titolo di viaggio al Kiwi Bar, su corso XXIV Maggio (che poi è la via che dalla stazione conduce in centro). Prima di addormentarmi guardo il mio biglietto e noto che ha le effigi della Cotrap ovvero del Consorzio Trasporti Aziende Pugliesi. Il sito del consorzio funziona bene e può essere un valido aiuto per programmare vagabondaggi pugliesi in aggiunta ai vari siti aziendali delle autolinee locali.
Comunque, la mattina dopo, all’aurora sono già in strada. Seduto nella panchina vicino alla mia fermata in Piazzale Vittorio Veneto riguardo il mio biglietto Foggia – Campobasso 6.40 euro.
All’alba arriva il mio bus e salgo a bordo. Il sole sorge alle nostre spalle proprio mentre imbocchiamo la Strada Statale 17 verso Lucera. Sullo sfondo pregusto l’Appennino Dauno. Questo primo tratto di strada è pianeggiante e divide un’immensità di campi coltivati (in questa stagione a Pomodori). Il sole nascente in coda al bus diffonde una luce calda che permette alla mia anima di volare via. Mi perdo nella magia del risveglio del cosmo e in un attimo non sono più tra Foggia e Lucera ma sono su uno sgangherato bus in marcia sull’ altopiano iranico.
Compagno di viaggio è Nicolas Bouvier che al mio sguardo compiacente inizia a recitare: “Appoggiati contro una collina, guardiamo le stelle, i movimenti vaghi della terra che se ne va verso il Caucaso, gli occhi fosforescenti delle volpi. Il tempo passa tra tè bollenti, qualche frase, sigarette; poi s’alza l’alba, e s’allarga, le quaglie e le pernici si mettono in mezzo… E ci si affretta ad affondare quell’istante supremo come un corpo morto in fondo alla memoria, dove si andrà a ripescarlo un giorno. Ci si stiracchia, si fa qualche passo, leggerissimo, e la parola 'felicità' parrebbe troppo misera e specifica per descrivere ciò che vi succede.
In fin dei conti, ciò che costituisce l’ossatura dell’esistenza, non è né la famiglia, né la carriera, né ciò che gli altri diranno o penseranno sia bene per voi; ma alcuni istanti di questo tipo, innalzati da una levitazione ancora più serena di quella dell’amore, e che la vita ci distribuisce con una parsimonia proporzionale al ritmo del nostro debole cuore”.
(La Polvere del Mondo – Diabasis)
Continua...
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