E se l'attentato terroristico dell'11 settembre fosse stato una colossale montatura per mascherare un auto-attentato 'made in Usa'? Questa l'ipotesi avanzata il 25 agosto scorso dalla trasmissione 'La storia siamo noi' di Giovanni Minoli. Una tesi che non ha fatto rumore sul circuito mediatico dominante.
Il 25 agosto 2011 la trasmissione La Storia Siamo Noi di Giovanni Minoli trasmette il primo serio servizio giornalistico della Tv italiana sul grande inganno dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, insistendo sull’ipotesi peggiore: una colossale e sanguinosa montatura, per mascherare un auto-attentato 'made in Usa'.
Entusiasmo nel popolo del web, ma la vera notizia è che tutto ciò lascia il tempo che trova, scrive Roberto Quaglia, autore del bestseller Tutto quello che sai è falso e indagatore del “mito dell’11 Settembre”: “È stata sdoganata la vera storia dell’11 Settembre”, eppure “nessun politico rinuncerà a recitare i dovuti mantra sulla lotta al terrorismo e nessun telegiornale smetterà di attribuire al mitologico Osama Bin Laden, il Babbo Natale del Male, la responsabilità degli attacchi”.
Insomma, ora che la verità è stata ufficializzata da Mamma Rai, possiamo allegramente continuare ad ignorarla come se niente fosse, scrive Quaglia in un intervento su Megachip. Eppure, sulle “istruzioni per l’uso della democrazia” c’è l’affascinante capitolo del libero giornalismo investigativo, capace di scavare nelle porcherie commesse dai politici, inchiodarli alle loro responsabilità e cambiare il mondo in meglio, secondo l’edificante copione promosso da Hollywood, sull’onda di casi come il Watergate.
I giornalisti che scavano eroicamente negli argomenti più scomodi vincono il Pulitzer quasi solo nei film, scrive Quaglia, perché invece, nella realtà, generalmente perdono il posto: come i tedeschi Gerard Wisnewsky e Willy Brunner, che nel 2003 fecero un bel servizio giornalistico non allineato sull’11 Settembre che costò loro l’espulsione dalla rete pubblica Wrd, o il connazionale Oliver Janic che perse il lavoro dopo gli articoli del 2010 sul settimanale finanziario Focus-Money.
Questo significa che anche la carriera di Minoli è giunta a capolinea? Assolutamente no. La domanda è: come è possibile che oggi la verità sull’11 Settembre in prima serata non produca alcun effetto? Semplice: per affermarsi mediaticamente, la verità dev’essere reiterata più volte e tempestivamente; dieci anni dopo, semplicemente, diventa innocua. “L’illusione di sapere è il peggior nemico del sapere”, scrive Quaglia. “E l’illusione di sapere è ciò che meglio rappresenta lo Zeitgeist della nostra epoca”.
Occorre somministrare al pubblico verità ritardata e a piccole dosi: “Dieci anni di ciance hanno vaccinato il pubblico e disinnescato la bomba. Inutile dire che tutto ciò non è casuale. Diverso effetto avrebbe avuto l’inchiesta di Minoli se fosse andata in onda nel 2003, quando le notizie in essa contenute erano fresche. Intendiamoci, non sarebbe venuto giù il mondo, ma per lo meno avremmo notato qualche turbolenza”.
Quando nel 2003 sulla rivista online Delos Roberto Quaglia pubblicò uno dei primi articoli sul tema in Italia, Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sull’11 settembre 2001, ma che non avete mai osato chiedervi, l’argomento era vergine e qualche piccola turbolenza la generò. “Decine di migliaia di persone in pochi giorni lessero il mio articolo in un contesto dove solitamente godevo al massimo di un paio di migliaia di lettori, e l’articolo venne clonato e replicato ovunque sul web. E quando pochi mesi dopo questo mio articolo venne ripubblicato come saggio di apertura del libro Tutto quello che sai è falso, il botto fu ancora più grosso: oltre settantamila copie di tiratura, una cosa mai vista per un editore microscopico, Nuovimondimedia”.
L’articolo annunciava anche l’imminente uscita del libro di Quaglia sul tema, ma Nuovimondimedia non l’avrebbe mai pubblicato: “Da lì a poco la piccola casa editrice venne infatti intimidita dagli americani in diretta televisiva durante un popolare talk show”, e poco dopo la pubblicazione fu annullata; l’autore dichiara inoltre il mancato riconoscimento dei diritti d’autore, e si rammarica del ritardo con cui venne poi pubblicato da un altro piccolo editore, Ponsinmor, il libro-inchiesta Il mito dell’11 Settembre, pronto dall’inizio del 2004 ma editato solo a metà del 2006.
“Nel frattempo, il pubblico italiano era stato già 'vaccinato' contro l’argomento”, anche grazie ai 'debunker' che in svariati talk-show “sparavano a mitraglia”, utilizzando informazioni false o fuorvianti, “per 'dimostrare' che la Verità Rivelata del Pentagono era Bibbia. Con il corollario che chi non credeva in essa acriticamente era un cosiddetto 'complottista'”, parola magica e preziosissima per screditare chi denuncia un crimine, evitando di scendere in dettaglio e accettare il confronto.
“Ma perché c’è così tanta gente che accetta di riconoscersi in quell’etichetta cretina racchiusa nel termine 'complottista', concepita per screditarli?”, si domanda Quaglia. “Voi che non credete alla narrazione assurda della versione ufficiale sui fatti dell’11 Settembre siete semplicemente degli scettici. Perché lasciate che vi chiamino 'complottisti'?”.
Secondo Quaglia, l’inchiesta Rai di Minoli sull’11 Settembre segna un punto di svolta: “I fiduciosi e gli ingenui si rallegrano per l’alzata di capo del giornalismo di qualità», senza domandarsi come mai un giornalista come Minoli abbia taciuto per dieci anni e si decida a parlare solo adesso. “Vi risulta che qualcuno abbia chiesto la testa del giornalista per l’audace azzardo da egli osato? Macché. Vi risulta che abbia protestato l’ambasciata americana? Macché. Eppure, se quanto sostenuto nella sua trasmissione fosse falso, si tratterebbe di un’inaudita diffamazione degli Stati Uniti d’America. Come mai tutti zitti e nessuno protesta?”.
La notizia – dal significato univoco – è proprio che lo scoop di Minoli non abbia fatto notizia, continua Quaglia, e che soprattutto non abbia generato reazioni fra i potenti che in Italia hanno sempre sostenuto la versione ufficiale dei fatti, ambasciata americana per prima. Inoltre, la mossa di Minoli non è un caso isolato: in occasione del decennale dell’attacco alle Torri, anche il grande settimanale L’Espresso fa la sua parte, uscendosene con allegato alla rivista nientedimeno che il film Zero di Giulietto Chiesa sull’11 Settembre.
“Accipicchia: per anni omertosi, e adesso improvvisamente tutti audaci giornalisti”, commenta Quaglia, sarcastico. Non sarà invece una “azione concertata con finalità ancora da scoprire?”. In questi stessi giorni, la rete televisiva pubblica austriaca Orf2 ha trasmesso il documentario 9/11 Mysteries, altra pietra miliare del movimento per la verità sull’11 Settembre, incentrato sull’analisi della demolizione controllata delle Torri. “Io stesso – aggiunge Quaglia – nelle ultime ore ho ricevuto proposte di interviste da parte di giornali per i quali sino a ieri non esistevo”.
Si sta forse preparando un grande rito catartico di caccia ai (finti) veri colpevoli dei fatti dell’11 Settembre? Dopotutto la 'democratica' società occidentale “non può sopravvivere indefinitivamente a questo bubbone dell’11 Settembre che continua a crescere con sempre meno gente disposta a credere alle panzane ufficiali”, sostiene Quaglia.
“Gli antibiotici non sono serviti. L’infezione memetica è ormai inarrestabile e il bubbone è in crescita esplosiva. Nel 2003 eravamo in quattro gatti a dubitare della Verità Rivelata sull’11 Settembre ed ora siamo in centinaia e centinaia di milioni nel mondo. Solo i lentissimi di comprendonio ancora si bevono le balle ufficiali, mentre gli articoli sul tema pubblicati sulle versioni online della grande stampa internazionale vedono l’area commenti dei lettori infestata di messaggi all’insegna del 'Buu-uuu, andate a nascondervi!'”.
Possibile che tra poco spunti un nuovo capro espiatorio, ipotizza Roberto Quaglia. A meno che non emerga un’ipotesi ancora peggiore: un nuovo attentato, magari nucleare, come quello che si va paventando con sempre maggiore insistenza. Lo scenario è ancora interamente statunitense: da una parte i Neocon, quelli del famigerato Project For A New American Century che nel 2000 auspicavano apertamente una nuova Pearl Harbour per legittimare il rilancio imperiale della superpotenza, e dall’altra il gruppo dei Realisti di cui fa parte Zbigniew Brzezinski, che nel febbraio 2007 avvertì il Senato del pericolo, in America, di un possibile attentato terroristico false-flag (un auto-attentato, secondo la prassi della strategia della tensione) per creare il pretesto per un attacco all’Iran: “Era un monito che in realtà serviva a dissuadere chi si stava evidentemente apprestando a tal gesto”.
Un nuovo e più pesante evento tipo 11 Settembre è infatti nell’aria ormai da anni, dice Quaglia, ricordando che i Realisti sono notoriamente contrari: “Potrebbe mai essere che lo sdoganamento delle 'teorie del complotto', avviato alle periferie dell’impero americano (dove può fare pochi danni), siano state ordinate dal ramo Realista della politica americana, allo scopo di bloccare i nuovi auto-attentati che l’altra fazione stia eventualmente preparando?”.
La posta in gioco è enorme, poiché è opinione diffusa che il prossimo evento tipo 11 Settembre sarà probabilmente di natura devastante, nucleare: “Il marketing a riguardo ha già riempito giornali e telegiornali”. E pure Hollywood, aggiunge Quaglia, ha fatto di tutto per prepararci all’evento, “così che quando accada ci sembri ovvio, anziché assurdo”. Fantapolitica? Forse. “Qualcosa però mi dice che in un futuro non troppo remoto, con il classico senno del poi, tutto ci sarà più chiaro”.
Articolo tratto da LIBRE
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