di
Claudia Bruno
03-01-2011
Addio shopper e sacchetti di plastica, con il 2011 entra in vigore il divieto di commercializzazione delle buste derivate dal petrolio. Non è la vittoria dei radical chic, ma un contributo determinante alla riduzione dei rifiuti. Vediamo perché.
Quanti sacchetti di plastica consumiamo in media in un anno? Solo in Italia, 300 sacchetti a testa. A dirlo è la Coldiretti in una nota di commento all’entrata in vigore del divieto di commercializzazione delle buste non biodegradabili. Un divieto che, alla luce di questi dati di consumo, non è cosa da poco. La messa al bando dei sacchetti di plastica significherà infatti circa 20 miliardi di buste in meno solo nel 2011, "un contributo determinante al contenimento dei rifiuti" come lo definisce la stessa Coldiretti. Resta da capire, però, se la Coldiretti ha considerato in questa stima i sacchetti avanzati nei magazzini di supermercati, negozi e mercati. Questi, infatti, costituiscono una sorta di zona franca, perché possono essere ancora messi in circolazione, gratuitamente, fino ad esaurimento. Per il definitivo addio alle buste di plastica, insomma, c'è ancora da attendere.
Tra i rifiuti, non è mai inutile ribadirlo, la plastica è in cima alla lista dei materiali più difficilmente smaltibili. Basti pensare che per ogni sacchetto utilizzato per la durata di una manciata di minuti o per poche ore, occorrono almeno 200 anni perché lo stesso sacchetto si decomponga. La vita di un sacchetto di plastica, insomma, supera di più del doppio le aspettative di vita degli umani nei paesi occidentali. Per questo non è esagerato dire che la plastica, uno dei più consumati derivati del petrolio, è un rifiuto permanente.
Cosa significa questo in termini di costi ambientali? Che il ritmo di consumo dei sacchetti di plastica usa e getta è di gran lunga superiore ai tempi necessari al pianeta per uno smaltimento sostenibile di questi scarti. Per capire l’impatto che la produzione di questo tipo di rifiuti in queste quantità ha sul pianeta dobbiamo spostare lo sguardo oltre i cassonetti metropolitani.
Il risultato più significativo è rappresentato dall’inquinamento dell’aria dove questa plastica verrà incenerita (e solo visivamente eliminata) e quindi trasformata in anidride carbonica e sostanze tossiche (ad esempio le diossine, nel caso in cui la plastica contiene cloro, come succede per il PVC), sostanze altamente responsabili dell’alterazione del clima e dei danni alla salute. Ma non solo, gli inquinamenti da buste di plastica riguardano anche i corsi d’acqua – fiumi, mari, oceani – che si riempiono di sacchetti diventando vere e proprie discariche a cielo aperto e rappresentando una minaccia concreta per la sopravvivenza di intere specie ed ecosistemi.
E non finisce qui, le buste di plastica non inquinano solo perché dopo essere state usate vengono buttate via, ma anche perché per essere prodotte richiedono l’impiego di tonnellate di petrolio: “per produrne 200 mila tonnellate vengano bruciate 430 mila tonnellate di petrolio” stima sempre la Coldiretti.
Ma allora qual è la soluzione? Obiettivo principale, come bene spiega la campagna Porta la Sporta promossa dai Comuni Virtuosi, deve essere quello di eliminare le buste di plastica, non tanto di consumarne meno o riusare le stesse (che comunque prima o poi si romperanno e quindi diventeranno un rifiuto). Una soluzione non troppo radicale se si pensa che esistono altri modi per portare a casa la spesa.
Se passare ai sacchetti di carta sposta solo il problema e acquistare buste biodegradabili lo risolve parzialmente, l’unico strumento davvero sostenibile è quello della cosiddetta ‘sporta’ una borsa in solida stoffa (quindi potenzialmente immortale) da portare con sé ogni volta che si va a fare la spesa. Come dire, a volte intelligenza e semplicità coincidono.
Commenti