Enel torna ancora una volta in tribunale contro Greenpeace. Si è tenuta il 26 giugno l’udienza per l’appello che Enel ha presentato in seguito al respingimento, lo scorso maggio, di un suo ricorso contro l’associazione ambientalista.
Enel ancora una volta in tribunale contro Greenpeace. Si è tenuta la mattina del 26 giugno l’udienza per l’appello che Enel ha presentato in seguito al respingimento, lo scorso maggio, di un suo ricorso contro l’associazione ambientalista. Con quell’iniziativa legale Enel contestava a Greenpeace l’uso illegittimo dei suoi loghi,accusandola di trarre profitto dalle sue campagne a discapito dell’immagine dell’azienda e sostenendo che vi fosse un interesse economico ulteriore: quello di voler preparare il terreno, per l’ingresso nel mercato italiano, di una cooperativa di produttori di rinnovabili tedesca, Greenpeace Energy.
Quello di ieri è solo l’ennesimo capitolo di in un confronto trasformato dall’azienda in una guerriglia legale senza tregua. Enel procede contro Greenpeace ogni qual volta lo ritenga possibile, per i motivi più disparati: ma il suo fine non è la tutela del marchio o altro, bensì fermare la campagna dell’associazione ambientalista.
Greenpeace è impegnata in una serrata attività di denuncia nei confronti di Enel, cui contesta il consistente ricorso alla fonte energetica più dannosa per la salute umana e per il clima: il carbone. Secondo Greenpeace la combustione del carbone nelle centrali Enel causa ogni anno, in Italia, centinaia di morti premature, danni economici per miliardi di euro, l’emissione di una enorme quantità di gas serra, principale contributo nel nostro Paese alla distruzione del clima.
I giudici, in questo procedimento, hanno già respinto una volta le assurdità di Enel in maniera molto chiara: richiamando un’altra sentenza dello scorso luglio – che ha visto ugualmente Enel sconfitta – che valutava le accuse di Greenpeace fondate e veridiche; ricordando che il diritto di critica è inalienabile e che l’uso di loghi aziendali, in campagne come questa, è legittimo se le motivazioni sono fondate; ribadendo che Greenpeace intende tutelare, con la sua attività, interessi di “rango costituzionale”. Ma tutto ciò non è bastato a far desistere Enel.
“Enel, contrariamente a quanto pubblicizza, è un’azienda che non ascolta nessuno. Neppure i giudici. Neppure i parlamentari che si esprimono in favore di Greenpeace e presentano interrogazioni al governo per chiedere conto della sua condotta irresponsabile e censoria” dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia. “La sua strategia è chiara: non è in grado di controbattere alle nostre accuse né intende ridurre il suo consumo di carbone. Pertanto non risponde e procede solo a colpi di carte bollate. Se spendesse meno in avvocati e più in sostenibilità forse cominceremmo a risolvere qualcosa. In ogni caso, se ancora non fosse chiaro, non è così che ci fermeranno”.
Greenpeace ricorda che l’accanimento legale di Enel ha persino portato recentemente il regista Mimmo Calopresti e l’autore Manfredi Giffone a essere indagati in un procedimento penale per aver collaborato alla campagna contro il carbone.
Greenpeace chiede a Enel di dimezzare la sua produzione a carbone entro il 2020 e di azzerarla al 2030; di rinunciare ai progetti di nuove centrali a carbone e di sostituire la sua produzione a carbone con fonti pulite e rinnovabili.
Commenti