Acqua pubblica, serve più informazione sulla qualità

Una normativa non ineccepibile, la diffusa disinformazione e le pressioni provenienti da gestori e produttori sono gli elementi che rendono difficile valutare l’effettiva qualità dell’acqua italiana. Per passare a un modello di consumo idrico consapevole però, questi nodi vanno sciolti.

Acqua pubblica, serve più informazione sulla qualità
Rinfocolato dal referendum dello scorso anno, il dibattito sulla qualità dell’acqua potabile, quella dell’acquedotto e quella imbottigliata, è sempre molto attuale. Purtroppo è difficile giungere a delle conclusioni definitive, anche – forse soprattutto – per colpa degli ingenti interessi in campo, rappresentati dai comitati di cittadini, dai gestori dei servizi idrici, dai grandi e piccoli marchi di acque minerali, dalle istituzioni locali e nazionali. Un buon punto di partenza potrebbe essere l’analisi della normativa in merito, che in realtà, a causa di una gestione che spesso la disattende e delle molte deroghe concesse, non è poi un appiglio così solido a cui aggrapparsi. In ogni caso, il testo di riferimento è il DPR 31 del 2001, che ha sostituito il precedente decreto del 1988 ed è stato integrato nel 2002 dal decreto 27. L’input è arrivato dall’Unione Europea, tramite la direttiva 98/93 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano. Il quadro legislativo fornisce tutte le disposizioni del caso, in particolare i parametri che devono essere monitorati – indicando naturalmente i valori limite – e le modalità e la frequenza dei controlli. I parametri chimici prendono in esame una serie di elementi che non devono superare una determinata concentrazione – l’arsenico per esempio non può eccedere i 10 microgrammi per litro, così come il piombo, il mercurio 1 microgrammo per litro, il nichel 20 –, mentre i parametri indicatori riguardano le caratteristiche generali dell’acqua, dalla durezza (cioè il contenuto di metalli pesanti) alla torbidità, dal residuo fisso al colore. Le disposizioni normative presentano tuttavia alcune ombre. Per esempio, l’aggiornamento apportato dal decreto del 2001 ha eliminato diversi parametri dalla valutazione, che da 56 sono passati a 47, e ha alleggerito le sanzioni per i contravventori, prevedendo solo conseguenze amministrative e non penali, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali per i fatti costituenti reato. Inoltre, la normativa – anche quella europea – prevede la possibilità di sforare i valori dei parametri, pur sempre entro un certo limite, a eccezione dei casi in cui questo comporti pericoli per la salute umana. La deroga può avere una durata massima di tre anni e non può essere rinnovata più di due volte. Attualmente sfruttano questo particolare regime otto regioni: Lazio, Lombardia, Piemonte, Trentino, Umbria, Toscana, Campania, Puglia. Per quanto riguarda i controlli, al fine di garantire una qualità uniforme lungo tutta la filiera, è stabilito che le analisi vengano effettuate ai punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee da destinare al consumo umano, agli impianti di adduzione, di accumulo e di potabilizzazione, alle reti di distribuzione, agli impianti di confezionamento di acqua in bottiglia o in contenitori, sulle acque confezionate, sulle acque utilizzate nelle imprese alimentari e sulle acque fornite mediante cisterna. Sia per le acque d’acquedotto che per quelle in bottiglia, si rileva quindi la volontà di garantire una elevata qualità in ogni passaggio. Il metodo si può considerare valido, tanto che le analisi del gestore siciliano Sidra, effettuate in punti e in periodi diversi, sembrano confermare la bontà dell’acqua prelevata dalle fontane, così come dal contatore o dai serbatoi. Veniamo alla qualità dell’acqua. Il gestore emiliano romagnolo Hera ha pubblicato sul suo sito un confronto fra l’acqua pubblica e quella imbottigliata. Secondo i rilevamenti effettuati, risulta che i risultati sono quasi perfettamente sovrapponibili praticamente per tutti i parametri considerati (pH, durezza, residuo fisso, sodio, floruri, nitrati, cloruri). In questo caso potrebbe quindi dire che l’acqua del rubinetto e quella in bottiglia si equivalgono – naturalmente parliamo di qualità dell’acqua in base a specifici valori, tralasciando tutte le implicazioni legate ai costi ambientali ed economici dei processi di imbottigliamento. A Catania, Sidra ha effettuato un’operazione analoga che ha dato sempre gli stessi risultati: l’acqua pubblica della città etnea rientra nei parametri fissati dal decreto 31 del 2001 e può essere considerata di buona qualità. Una ricerca condotta presso il dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’università di Milano Bicocca, ha inoltre analizzato l’acqua attraverso un kit che misura i valori di pH, durezza, nitrati, nitriti, cloruri e solfati. A seguito di questo esperimento, i due studiosi sono stati in grado di stilare una sommaria graduatoria delle città italiane con l’acqua “più buona”: Bolzano, Brescia, Mantova occupano i primi posti di questa classifica, mentre a Palermo, Genova e Torino alcuni valori sono sballati. Interessante è, in conclusione, il consiglio che fornisce Danilo Pulvirenti, chimico e membro del Forum Acqua Bene Comune, sfatando il 'mito' dei filtri per l’acqua del rubinetto. Essi vengono considerati infatti strumenti indispensabili per depurare l’acqua, in particolare dal calcare; non si tiene però conto del fatto che, per prima cosa, l’acqua è già soggetta ai controlli di cui abbiamo parlato in precedenza ed è quindi perfettamente salubre e potabile. Inoltre, non vengono valutate le controindicazioni degli stessi filtri: non solo trattengono buona parte del liquido che filtrano privandolo di elementi importanti per l’organismo, come i sali minerali, ma, se non puliti con attenzione e costanza, possono rilasciare altre sostanze ben più nocive. Naturalmente, come già accennato, quella riguardante la qualità delle acque, sia quella dell’acquedotto che quella imbottigliata, è solo una parte del grande dibattito sul consumo idrico. Parimenti, è impossibile pretendere che gli italiani preferiscano l’'acqua del sindaco' a quella imbottigliata se la prima presenta criticità in termini di salubrità e corrispondenza ai valori di legge o, ancora peggio, se questi stessi valori vengono disattesi per violazioni palesi o deroghe alla normativa. Il primo passo per orientarsi verso un consumo di acqua consapevole è quindi migliorare la qualità delle infrastrutture idriche e sensibilizzare gli italiani attraverso dati e analisi scientifiche attendibili che attestino tale qualità.

Commenti

C'è UN DATO SEMPRE OCCULTATO, ED è QUELLO DEI CLORITI, SOSTANZE CANCEROGENE CHE SI FORMANO PER VIA DEL CLORO. e' INTERESSANTE CONFRONTARE L'ACQUA DEPURATA SENZA CLORO, CON QUELLA CLORATA ALLORA SI CHE LA DIFFERENZA SI VEDRA',
pio, 06-03-2012 09:06
LEggo qui e anche su Altroconsumo che in sostanza acqua del rubinetto e acqua in bottiglia si equivalgono. I venditori di sistemi di filtrazione con il principio dell'osmosi inversa puntano invece il dito contro la durezza e il residuo fisso elevato delle acque di rubinetto e lo dimostrano con provette e reagenti chimici e dicono che nel tempo le acque dure possono creare seri problemi all'organismo. CHi ha ragione?
werner, 15-05-2013 12:15

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