“Rimanete fedeli alla terra, fratelli miei, con la forza della vostra virtù”. Bisognerebbe accoglierlo l’invito dello Zarathustra di Nietzsche, in questi tempi anestetizzati, dove ogni sporco va disinfettato, igienizzato, rimosso. E rotolarsi nella terra, per sentire da dove arriviamo: “Perché la donna non è cielo, è terra/carne di terra che non vuole guerra”, ci ricorda Sanguineti.
Fedeltà alla terra significa anche rispetto per le mani e le emozioni di chi lavora quella terra. Capirne i bisogni, le difficoltà; sostenerle, se è il caso. Così provano a fare Biagio Amantìa e i “Coltivatori di Emozioni”, che dal 2016 portano avanti un progetto di social farming in difesa dei piccoli produttori agricoli e delle tradizioni contadine.
A lui abbiamo chiesto di raccontarci la loro storia.
Quando nasce “Coltivatori di Emozioni” e perché le avete dato questo nome?
«Coltivatori di Emozioni nasce nel 2016 con un primo esperimento in Puglia. Una rete sostenibile e digitale, idea di un gruppo di giovani professionisti amanti della natura, delle tradizioni e della cultura enogastronomica. Un progetto ambizioso che, nel corso degli anni, si è strutturato arrivando nel 2018 a dar vita alla piattaforma di social farming. Attraverso coltivatoridiemozioni.com, si possono scoprire, scegliere e adottare a distanza i coltivatori e le colture che questi portano avanti. Il nostro lavoro è continuo così come la crescita del progetto che oggi abbraccia le colture di oltre 17 regioni italiane, con oltre 40 agricoltori aderenti. Crediamo fermamente che l’Italia custodisca in sé tutto quello di cui ha bisogno: non dobbiamo dimenticare le nostre origini, perché sono la nostra ricchezza e una fonte da cui ripartire innovando, a maggior ragione in un momento così delicato per il nostro Paese. Abbiamo scelto questo nome perché il nostro fine non è tanto focalizzarci sul prodotto, ma valorizzare quello che c’è dietro: il racconto delle emozioni che vivono gli agricoltori a contatto con la natura e cercare di trasferirle, farle vivere anche a coloro che vogliono avvicinarsi e scoprire i “saperi contadini”. In questo senso, Coltivatori di Emozioni è un esperienza di “social farming”, proprio per l’accento posto sulla condivisione e per via del ruolo centrale svolto dal digitale».
Come funziona esattamente la vostra piattaforma?
«Attraverso la piattaforma si potrà scegliere quale agricoltore e relativa tradizione adottare a distanza e selezionare uno tra i tre pacchetti di adozione presenti: ogni pacchetto di adozione offre all’agricoltore selezionato la possibilità di ricevere una donazione di buoni lavoro da poter impiegare per le varie fasi di lavorazione (vendemmia, semina, raccolta) e al sostenitore la possibilità di ricevere i prodotti tipici del territorio, insieme a costanti aggiornamenti sullo stato dell’azienda agricola e dei raccolti che si è contribuito a sostenere attivamente. Un sistema rivolto tanto ai privati quanto alle imprese che, grazie al sostegno a piccoli produttori selezionati, possono contribuire a preservare e sostenere le eccellenze del Made in Italy e a raggiungere obiettivi di sostenibilità e responsabilità sociale».
Quali sono i vantaggi per chi adotta un agricoltore e per il produttore agricolo?
«I vantaggi per chi adotta un agricoltore sono innanzitutto una gratificazione personale per aver contribuito attivamente al rilancio e alla difesa delle tradizioni agricole italiane. Questo viene rappresentato da un certificato di adozione che suggella il legame tra il sostenitore e l’agricoltore sostenuto. Come ricompensa si ricevono dei prodotti tipici e costanti aggiornamenti sulle storie del produttore e sulle fasi di lavorazione. Esiste, inoltre, un altro vantaggio, ed è quello per le aziende che scelgono di adottare un agricoltore: Coltivatori di Emozioni è, di fatto, il partner ideale per migliorare la reputazione aziendale, il rating di sostenibilità (rating ESG) e il posizionamento dell’azienda verso la sostenibilità e l’adozione di comportamenti sempre più compatibili con l’ambiente. Per il produttore agricolo invece sono: la possibilità di ricevere un contributo economico extra a sostegno delle varie fasi di lavorazione, canali di vendita per i suoi prodotti, promozione e visibilità, network di contatti ma soprattutto entra in una rete in cui è possibile creare sinergie e sviluppare progetti condivisi».
Quante realtà agricole ne fanno parte e in base a quali criteri avviene l’affiliazione?
«Ad oggi abbiamo più di 40 realtà agricole. Sono tutte selezionate da noi, andiamo direttamente in loco per conoscerle di persona. Aderiscono a un disciplinare interno a garanzia sia della qualità dei prodotti sia di rispetto, trasparenza e rendicontazione di quanto ricevono. Si tratta di piccole attività a gestione familiare, spesso giovani, attente al mondo digitale e sempre più consapevoli dell’importanza della cooperazione, del “fare rete” nel mondo dell’agricoltura, per riuscire a sostenersi e sopravvivere».
Quali partner vi sostengono?
«I partner che ci sostengono sono aziende di diversi settori, come GMTSpa, Pieffeci Engineering, che operano secondo principi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Attraverso la loro adesione potranno comunicare il loro impegno ambientale e verso la comunità rendendo il proprio brand ancora più green e sostenibile. Sarà possibile comunicare la partecipazione attiva alla causa in diversi modi: con regalistica aziendale ma anche con contenuti video e editoriali con cui veicolare attività di green marketing, fino ad arrivare a un concreto impegno per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile».
Quali sono, a vostro parere, le maggiori criticità per chi oggi in Italia pratica forme di agricoltura rispettose dell’ambiente e dei lavoratori?
«Praticare agricoltura sostenibile oggi in Italia comporta delle criticità sia in termini economici che in termini di ore di lavoro perché, non utilizzando un’agricoltura meccanizzata - la grande distribuzione -, il monte ore di lavoro necessario a realizzare lo stesso prodotto è molto più ampio. Per chi sceglie di lavorare nel rispetto della biodiversità ciò determina un aggravio dei costi e quindi un impegno di capitale maggiore rispetto a chi pratica coltivazioni meccanizzate e intensive. Per quanto riguarda i lavoratori, sappiamo che in Italia due sono i settori maggiormente colpiti dal lavoro in nero e dallo sfruttamento: quello edile e quello agricolo. Nel tempo il legislatore ha cercato di migliorare questo aspetto introducendo il sistema dei voucher che servivano proprio per snellire la burocrazia e dare possibilità alle aziende di garantire maggiore sicurezza ai lavoratori. La legge era buona ma l’applicazione meno e così “grazie” a coloro che ne hanno approfittato, si è arrivati alla cancellazione totale del voucher anche nel settore dell’agricoltura, dove l’utilizzo di questi era giustificato, corretto e di facile gestione. E proprio nella criticità interviene la piattaforma di CdE, con un sostegno economico che si tramuta in donazione di ore lavoro, a favore di chi pratica un’agricoltura che valorizza la biodiversità e la regolarizzazione dei lavoratori».
Quali sono i vostri prossimi progetti?
«I nostri prossimi progetti saranno sicuramente rafforzare la collaborazione con l’associazione “I Borghi più belli d'Italia”, già partita alla fine del 2020: vogliamo arricchirla con nuove iniziative ed eventi facendo luce su quelle realtà, sconosciute al grande pubblico, che operano in centri come Scarperia, Viggianello, Abbateggio, Navelli, la Valle del Mercure o Castiglione del Lago sul Lago Trasimeno, sempre coniugando la storia di questi luoghi con il sapore dei suoi prodotti: dal miele al grano, dal farro allo zafferano, dalla fagiolina alla Rapasciona. Proseguirà inoltre il Tour delle Emozioni in compagnia dello chef e influencer Simone Rugiati, che racconterà in rete le colture e le culture aderenti alla piattaforma. Infine nel 2021 prevediamo il lancio ufficiale di una nuova linea di business: una joint-venture nel campo del trattamento del tartufo pregiato della zona del Monte Penice, tramite la costituzione della omonima società titolare del marchio "I Cavatori". Un caso concreto di come unendo gli attori del territorio, sia possibile valorizzare e promuovere tradizioni e territori poco conosciuti. Inoltre abbiamo acquisito un piccolo podere abbandonato, a Saliceto nelle Langhe, nel cui daremo vita al primo flagship completamente gestito da Coltivatori di Emozioni. Un’azienda che racchiuda in sé tutte le anime di Coltivatori: agricoltura, con la realizzazione di una tartufaia; lavoro, integrando cooperative di migranti o soggetti svantaggiati; cultura gastronomica e lavorazione delle materie prime, con una scuola di cucina diretta da Simone Rugiati; sostenibilità ambientale, con la creazione di spazi che potranno ospitare eventi vari, completamente eco sostenibili e a impatto zero (auto produzione di energia e consumi zero); il sostegno a piccole realtà rurali a rischio di spopolamento, aumentando l’abitabilità del borgo attraverso la stabilizzazione dei lavoratori».