Su Youtube si possono visionare gratuitamente decine di suoi interventi pubblici, quindi non starò qui a riepilogare i contenuti della sua sterminata trattazione. Mi basti accennare rapidamente al suo macro-ambito d’azione, che non credo di esagerare inquadrandolo nella “riscoperta e valorizzazione del sé”, tramite la perlustrazione di “zone dello spirito” solitamente impenetrabili (perché sconosciute) sia dai cliché dell’ortodossia psicanalitica che da quelli più penosamente dozzinali del coaching.
Igor Sibaldi è una persona caratterizzata da un fascino magnetico e “pericolosamente” potente, puntellato da un lato da un bagaglio culturale che non ha a mio avviso eguali (leggere la sua biografia su Wikipedia per rendersene conto) e, dall’altro lato, da doti comunicative – prevalentemente non verbali – di sconosciuta efficacia.
L’angelologia e la psicologia del profondo sono due delle specialità con cui Sibaldi è solito connotare la sua vastissima trattazione. Tuttavia, credo che queste due discipline non siano che un efficacissimo endoscheletro “accademico” di una forza persuasiva, quasi tangibile, capace di rimescolare ogni nostra precedente certezza, inducendoci a rimettere tutto in discussione, a partire dal nostro “io”.
Assistere a un workshop di Sibaldi è psicologicamente faticoso, per non dire di peggio. Ma i suoi effetti sulla nostra capacità di volere sono miracolosi. Potresti scoprire di non voler più desiderare nulla, alla fine. Perché de-siderare significa emanciparsi da ciò che per noi hanno stabilito gli astri. Esattamente il contrario di con-siderare, che significa banalmente accettare il loro verdetto ed assecondarlo. Chi de-sidera deve armarsi con una forza di volontà superiore, in molti casi precedentemente sconosciuta. Redigere un quaderno con 150 desideri, applicando alcune semplici regole di compilazione e sfoltendoli poi ai “soli” 101 essenziali, è un’impresa prometeica. Si potrebbe persino arrivare a scoprire che desiderare non fa per noi…
Con un’ironia feroce ed esilarante, gli insegnamenti di Sibaldi si intrecciano continuamente con la storia delle religioni, di cui è un esperto assoluto e da cui prende sapientemente le distanze. La religione viene infatti considerata, al pari dell’autostima, come una forma di nobilissimo rifugio per la nostra indolenza: chi vuole il conforto della ragione, lo trova nel dogmatismo religioso; chi cerca la quiete dell’inerzia, la trova nell’autoindulgenza del pensiero positivo che una buone dose di autostima può naturalmente garantire. La fede e l’autostima procurano sicurezze. Le stesse sicurezze che Sibaldi, senza troppi cerimoniali, riesce a scardinare per condurci all’affermazione di un nuovo “io”. Uscendo dalla lezione di Sibaldi, quella domenica pomeriggio, ho quasi avuto l’impressione che l’affermazione niciana che Dio sia morto fosse quasi anacronistica. Forse, più propriamente, Dio non è nemmeno mai esistito…
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