di
Suman Casini
06-04-2012
"Triste davvero è la sorte degli agnelli pasquali, ma ancora più triste è l’indifferenza godereccia in cui questo sacrificio di massa si consuma". La lunga riflessione di Suman Casini sulla nostra cultura del cibo e del vivente, aspettando la rinascita... delle coscienze.
È Pasqua, suonano le campane, e tutto il mondo festeggia la resurrezione di Cristo. Una festa mistica quindi, all’insegna della trascendenza e della vita ultraterrena. Ma il rovescio della medaglia pasquale, ormai consegnata come altre festività religiose al consumismo più sfrenato, è l’ecatombe di agnelli e capretti sacrificati in nome di qualcosa che con il misticismo e la trascendenza non ha niente a che fare.
E l’analogia con il famoso thriller da cinque premi Oscar finisce nel titolo, che in questa occasione sembra davvero calzante. Ancora più calzante però il titolo inglese del film: The silence of the lambs. Il silenzio degli agnelli. Perché proprio di questo si tratta. Milioni di agnelli messi a tacere per sempre, dopo aver pianto tutto il loro dolore e tremato di terrore e paura. E anche il silenzio delle loro madri, milioni di pecore ammutolite dallo sgomento, dopo aver belato per giorni per la perdita dei loro piccoli.
Gli agnellini poi riappaiono sui banconi dei macellai e dei supermercati, interi o fatti a pezzi, gli occhi velati nell’ultimo sguardo spaventato prima della morte e i dentini serrati che sembrano quasi sorridere. Martiri innocenti di una guerra fatta in nome dell’ingordigia e dell’ignoranza, come vuole la tradizione pasquale. Investendo di crudeltà una celebrazione che per ogni cristiano dovrebbe avere un valore esclusivamente spirituale, festeggiando con un’onda di morte la vita eterna di Cristo.
Un paradosso che spogliandosi dell’ipocrisia salterebbe agli occhi anche del più sprovveduto degli uomini, ma che invece si perpetua ogni anno allargando sempre di più il business carnivoro e il divario fra realtà e coscienza. Trasponendo a livello di massa la barbarie dei sacrifici rituali di animali fatti in passato da sacerdoti e vati, e procrastinando all’infinito la consapevolezza del fatto che uccidere un animale è un atto contro natura.
Qualcosa che induce all’assuefazione alla morte e alla violenza, perché coltivare la crudeltà e l’indifferenza verso le altre creature ha come conseguenza una maggiore crudeltà e indifferenza anche verso gli esseri umani, diminuendo la soglia di percezione dei valori e il grado di empatia verso gli altri. A livello energetico invece nutrirsi di morte non fa che aumentare l’onda statica del pianeta, mantenendo l’umanità in una sorta di preistoria tecnologica, immersa nell’ignoranza del suo vero potenziale evolutivo.
Pasqua è sinonimo di primavera, e primavera è sinonimo di risveglio e di vita. Le piante mettono le prime foglioline di un verde squillante, il canto degli uccellini si fa pieno di allegria e sfumature, ai margini dei campi esplodono nuvole dei biancospini fioriti e nel sottobosco spuntano crochi, violette e pervinche, mentre qualche timida ginestra annuncia già il suo profumo. Un risveglio alla vita che riempie di gioia il cuore degli uomini, gratificando lo sguardo con il verde dei campi che ogni giorno diventa più intenso dopo i colori appassiti dell’inverno.
Un rinnovamento globale della natura che si proietta nell’anima e la rigenera, facendoci profondamente partecipi del ciclo della vita che rinasce. Ed è proprio in questo contesto che muovono i primi passi gli agnellini e i capretti nati con la luna piena di febbraio, pronti a godere la vita con tutta l’energia della nuova vita che nasce. Inermi creature dotate di una bellezza e una grazia che commuove chiunque, anche l’orco che presto li divorerà.
Perché l’essere umano è così, si commuove accarezzando un agnellino e vedendolo saltellare felice insieme al resto del gregge, ma è pronto a ucciderlo, spellarlo, squartarlo, cucinarlo e mangiarlo. Senza battere ciglio e senza commuoversi per la sua triste sorte. E lo stesso vale per tutti gli animali considerati commestibili dall’uomo, intenerito dalla bellezza innocente dei cuccioli ma incapace di rinunciare al suo cannibalesco piacere.
Triste davvero è la sorte degli agnelli pasquali, ma ancora più triste è l’indifferenza godereccia in cui questo sacrificio di massa si consuma. Un sopore delle coscienze che non permette di realizzare il valore entitativo della vita degli animali, i cui diritti sono calpestati e riconosciuti solo per alcune specie. Come se un agnello avesse meno diritto di vivere di un cane o di un panda, e un vitello meno di un gatto o di una foca monaca in via di estinzione.
E in questo tipo di ragionamento c’è qualcosa che non va. Da un lato i cani, i gatti, e tutti gli animali da compagnia per cui l’uomo spende e spande arrivando ad aberrazioni consumistiche che rasentano il feticismo. Per non parlare dell’imbarazzante squilibrio fra i popoli che muoiono di fame e il budget dell’occidente opulento per nutrire e coccolare i propri pets, oggetto di investimento affettivo e speculazioni economiche da parte di chi allarga sempre di più questa fetta di mercato.
Dall’altro gli animali allevati per essere uccisi e mangiati, dopo aver subito torture indicibili negli allevamenti intensivi, o aver pascolato e razzolato felici godendo una libertà fittizia all’insegna del biologico e dello slow food. E in mezzo il sempre crescente impegno su vari fronti degli animalisti per la conservazione di specie animali in via di estinzione, il cui numero purtroppo sta ogni giorno aumentando.
Lotta giusta e sacrosanta, com’è sacrosanto il diritto alla vita di ogni animale che nasce nel mondo. Ma non è così. Perché l’uomo del terzo millennio, così evoluto e informato, così tecnologicamente attrezzato e scientificamente preparato, capace di conquistare lo spazio e creare forme di vita transgeniche, riguardo al cibo di cui si nutre mantiene ancora la mentalità primitiva di un cavernicolo che si arroga il diritto di uccidere per nutrirsi. Un atto contro cui ogni coscienza dovrebbe ribellarsi. Tanto più le coscienze di chi nella Pasqua vede il simbolo della vita eterna, e ispirato dalla tradizione religiosa si appresta a santificare la resurrezione del simbolo incarnato di Dio.
Quinto: non uccidere. I precetti della cristianità codificati nei dieci comandamenti esortano al rispetto per la vita, ma la visione antropocentrica corrente non permette di includere in questo precetto il rispetto per la vita animale. Il piccolo popolo resta quindi il vero agnello da sacrificare sull’altare dell’egoismo di chi non ha occhi per vedere e orecchi per sentire. O pur vedendo e sentendo preferisce far finta di niente, anteponendo la propria soddisfazione culinaria al diritto alla vita. E tutto questo in un mondo che offre molte alternative alimentari, e una varietà di cibo non animale così grande, abbondante e nutriente, da non rendere assolutamente necessario continuare a cibarsi di carne.
Abitudine, tradizione, tendenza compulsiva al materialismo e al consumismo energetico, incapacità di comprendere il senso assoluto della sacralità della vita, errata interpretazione dei valori esistenziali, indifferenza e assuefazione alla crudeltà e alla morte... Queste sono solo alcune delle motivazioni che fanno della Pasqua una strage ciclica di creature innocenti, senza nemmeno interrogarsi sul perché.
Mettendo sulla stessa bilancia cristiani e non, perché davanti a un piatto di abbacchio arrosto nessuno o quasi si tira mai indietro.
E allora, mantenendo l’allegoria della cristianità, vien da pensare che se c’è davvero una giustizia divina da qualche parte deve esistere anche un paradiso degli agnelli, dove le vittime sacrificate sull’altare dell’egoismo umano vivranno felici in eterno brucando nei pascoli più verdi e più teneri dell’al di là. Accanto al paradiso dei polli, delle mucche, dei tacchini, dei pesci e così via, mentre i loro carnefici dovrebbero bruciare nelle fiamme dell’inferno scontando così i loro peccati.
Un paradosso ovviamente, che nella legge di causa effetto può trovare una risultante, visto che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. E qui l’ammonimento a non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te può essere di monito e aiuto, includendo gli animali nel concetto di altri esseri, altre creature viventi. Facendo propria la visione pancosmica di San Francesco, che nel suo Cantico delle Creature vede ogni cosa come parte della creazione divina.
E dovrebbe anche far riflettere il fatto che la parola 'animale' ha la stessa radice di 'anima', suggerendo che il soffio vitale è lo stesso e non appartiene all’uomo ma a Dio, e in quanto tale va rispettato in tutta la sua sacralità. Solo così, e solo allora, l’umanità si risveglierà alla coscienza e proietterà nel mondo una visione veramente umana di sé. Perché la supremazia dell’uomo sul resto della creazione deve essere ispirata alla consapevolezza e non all’egoismo e alla materialità. Il risultato altrimenti sarà lo sfruttamento incosciente delle risorse e continui conflitti fra gli esseri umani e con le altre creature.
Questo è quello che sta succedendo finora, e i catastrofici effetti sono sotto gli occhi di tutti. Perché tutto è veramente Uno, e ogni atto dell’uomo contro la Legge che regola l’equilibrio cosmico è destinato a ripercuotersi ovunque.
Nel pianto di milioni di agnelli prima del sacrificio si può quindi avvertire anche il lamento per un’umanità che ancora non capisce, chiusa nella sua visione profana dell’esistenza, incapace di comprendere che cibarsi di morte è contro la vita, e che l’essenza della vita è l’amore, come hanno predicato molti Maestri. Un amore consapevole e illuminato, che una volta realizzato porterà l’umanità verso una nuova era, dopo aver attraversato le tenebre e essersi finalmente risvegliata a una nuova visione di sé.
La rivoluzione vegetariana e vegana, perciò, è e sarà una rivoluzione della coscienza, qualsiasi sia la motivazione che porti a escludere la carne dalla propria alimentazione, gettando le basi per un nuovo modo di essere e di vedere il mondo. Una rivoluzione già in atto fra noi, dato il numero sempre crescente di vegetariani e vegani, e l’impatto sempre più ampio e motivato delle ragioni che portano a scegliere di non mangiare più gli animali. Includendo dati e statistiche che sottolineano l’urgenza di cambiare le abitudini alimentari globali, l’unico modo per permettere la sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti.
Se la scelta vegetariana o vegana è motivata da motivi salutistici, allora alla base ci sarà la comprensione che cibarsi di morte non è buono per la salute, portando comunque chi fa questa scelta a un cambiamento interiore e modificando gradualmente la sua visione del mondo. Se invece è motivata da una visione ecologica e sociale allora le ripercussioni saranno più ampie, andando oltre l’interesse puramente individuale e vedendo nella diffusione del vegetarianesimo e del veganismo la soluzione a molti problemi del mondo.
Mentre una motivazione di ordine morale tenderà ad abbracciare ogni aspetto, partendo da una visione etica e includendo sia i valori salutistici, che quelli ecologici e sociali. Tre diversi livelli ognuno dei quali ha un senso e darà un contributo oggettivo al cammino dell’umanità verso un cambiamento positivo.
Dalla sua apparizione su questo pianeta fino a oggi il cammino dell’uomo può essere visto a grandi linee come l’eterna lotta fra il bene e il male, fra le forze dell’oscurità e quelle della luce. Niente di nuovo quindi sotto il sole. Ma siccome il dramma cosmico è stato scritto dal Divino, in questa eterna lotta fra l’oscurità e la luce alla fine non può che essere la luce a vincere. E fra i due campi in lotta bisogna sempre scegliere da che parte stare, partendo anche da una cosa apparentemente semplice come mangiare.
Mangiare carne - infatti - trattiene l’uomo nell’oscurità, mentre la scelta vegetariana e vegana lo aiutano nel suo cammino verso la luce. E in un’epoca come la nostra, davvero alla soglia di nuovi mondi possibili, dotata di una tecnologia eccezionale che esalta l’onnipotenza dell’uomo, con la scienza alla ricerca della particella di Dio, combattuta fra scelte come la manipolazione genetica e il nucleare, che richiedono una grande illuminazione per non portarci tutti al disastro globale, la scelta di non cibarsi di carne aiuterà il risveglio delle coscienze, permettendo di diradare l’oscurità e illuminando il cammino verso un mondo migliore.
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