di
Giulia Dal Tio
15-03-2012
Perché i prezzi dei prodotti alimentari aumentano senza che i coltivatori ne abbiano un beneficio? All'origine di questo paradosso vi è quella che viene definita agromafia, una realtà criminale che controlla l'intera filiare agroalimentare. L'aspetto più allarmante di questo fenomeno riguarda la 'tratta degli schiavi' nelle campagne del Sud.
Quando l'apparenza inganna
Nonostante gli italiani siano famosi in tutto il mondo per la qualità della loro cucina, in realtà il settore agroalimentare italiano può essere considerato come uno dei meno redditizi.
Pur essendo in vetta alla classifica delle cose che gli stranieri c'invidiano, con oltre 200 denominazioni riconosciute a livello internazionale, quello alimentare è il mercato con il minor potere contrattuale e gli utili più bassi.
Nessun mistero, purtroppo. All'origine di questo paradosso, quella che viene definita agromafia, una realtà criminale che controlla l'intera filiare agroalimentare "dalla produzione agricola all’arrivo della merce nei porti, dai mercati all’ingrosso alla Grande Distribuzione, dal confezionamento alla commercializzazione". Nel primo rapporto sui crimini agroalimentari realizzato da Coldiretti/Eurispes e presentato a Roma nel giugno 2011, si parla di un giro d'affari complessivo di circa 12,5 miliardi di euro all'anno.
I 'grandi dell'agricoltura', appoggiati e sostenuti dalle associazioni criminali, condizionano il lavoro dei piccoli produttori, impedendo loro la creazione di cooperative e imponendo prezzi, orari e compensi. Una miniera d'oro per le associazioni criminali, che secondo la Cia (Confederazione italiana agricoltori) frutta circa 10 miliardi di euro all'anno.
L'obiettivo principale: produrre e vendere il più possibile nel "rispetto" delle norme. I mezzi per garantire questo commercio sono molteplici: dai furti di strumenti e attrezzature agricole alle macellazioni clandestine, dal danneggiamento delle colture al racket estorsivo, dall'abusivismo edilizio al saccheggio del patrimonio boschivo.
Un legame antico
Come dichiara nel suo rapporto annuale Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, il fenomeno mafioso nasce proprio nelle campagne, con le quali mantiene un legame di natura storico-culturale e nelle quali continua ad esercitare il pieno controllo. La 'Ndrangheta controlla l'apparato sociale-economico del territorio calabrese.
In Campania, il fenomeno dell'agromafia, legato soprattutto alla raccolta dei pomodori da parte della manodopera extracomunitaria, s'intreccia con altre forme di reato note alla Camorra, come lo smaltimento illecito dei rifiuti e l'inevitabile inquinamento delle falde acquifere.
In Sicilia, attraverso i principali centri ortofrutticoli, primo fra tutti quello di Vittoria, i tentacoli di Cosa Nostra raggiungono le grandi aree metropolitane del Nord della Penisola, dove penetrano negli apparati degli Enti locali per controllare le procedure di affidamento di appalti e di opere pubbliche.
Il volto umano... dell'agromafia
Il rapporto Coldiretti/Eurispes mette in luce e descrive ampiamente le conseguenze rovinose di queste associazioni criminali:
1. Contrabbando, contraffazione e sofisticazione dei prodotti alimentari a danno/inganno dei consumatori.
2. Intimidazioni che vedono come vittima il piccolo proprietario terriero, costretto a vendere sottocosto il proprio prodotto e spesso incapace di coprire i costi di produzione.
3. Il fenomeno dell'italian souding (falso made in Italy): l'utilizzazione di denominazioni geografiche, marchi, slogan, immagini e ricette che rimandano all'Italia, per commercializzare dei prodotti che di italiano hanno solo il nome.
Quello che tuttavia dovrebbe trasparire come il dato più allarmante è l'ignobile 'tratta degli schiavi', la condizione disumana dei braccianti (sostanzialmente immigrati, spesso privi di un regolare permesso di soggiorno) impiegati nelle campagne del Sud Italia.
Uomini costretti a lavorare 12-14 ore al giorno per un compenso che non supera i 20-25 euro netti.
Ma i proprietari terrieri giustificano tale vergogna dichiarando, senza imbarazzo alcuno, che il salario dipende dal fatto che gli immigrati "hanno meno esperienza dei lavoratori italiani".
La vicenda di Rosarno (Calabria, gennaio 2010) conclusasi con la tristemente nota 'caccia ai neri' è solo un esempio dei soprusi che gli immigrati subiscono quotidianamente. Un bracciante marocchino confessa al giornalista della Repubblica Attilio Bolzoni: "vivo nella paura, paura di far sapere alla mia famiglia come vivo in Europa".
Parole che non possono lasciare indifferenti, espressione di un disagio che indigna quasi quanto la dichiarazione dell'ex ministro degli interni Roberto Maroni, il quale vede nella vicenda di Rosarno il chiaro risultato di anni di eccessiva tolleranza verso l’immigrazione illegale, causa di disturbo e degrado sociale.
La storia continua. Cambiano i nomi dei caporali e delle famiglie, si susseguono i volti e le nazionalità delle vittime ma la violenza resta la stessa, quella di un Contro-Stato mafioso disposto a tutto pur di mantenere l'egemonia e il controllo su ciò che è abituato a pensare come il suo proprio territorio.
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