di
Virginia Greco
22-11-2011
Sacrificare terreni fertili per la produzione di energia da solare fotovoltaico o riservarli sempre e comunque all’agricoltura? Questo interrogativo, più volte sollevato, trova oggi una risposta alternativa: se si installano griglie di pannelli a cinque metri di altezza, si può produrre energia e coltivare sul medesimo terreno. Questa l’idea alla base dell'agrovoltaico, tecnologia che ha appena visto luce in pianura padana.
Nell’aprile 2010 Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in un articolo sul quotidiano La Repubblica esprimeva i suoi timori per l'aumento di pannelli fotovoltaici nei terreni agricoli: “Con distese enormi di pannelli fotovoltaici i suoli sottostanti perdono permeabilità, l'attività biologica tende a morire dando luogo a fenomeni di desertificazione che ne decreterebbero l'infertilità e aumenterebbero il pericolo di alluvioni”. Ne seguiva dunque l’invito a installare pannelli solo sui tetti e riservare il suolo fertile all’agricoltura.
Alcuni imprenditori italiani hanno però pensato che le due cose potessero essere conciliate: se si installano i pannelli fotovoltaici ad un’altezza sufficiente rispetto al suolo e si fa in modo di ombreggiare solo parzialmente il terreno così che esso riceva comunque luce diretta, si può coltivare sotto i pannelli. Di conseguenza aree fertili potrebbero essere sfruttate per la produzione di energia da solare fotovoltaico senza sottrarle all’agricoltura.
È nato così l’'agrovoltaico': la prima azienda agricola a fare uso di questa soluzione innovativa è stata da poco inaugurata nei pressi di Mantova (a Cappelletta, frazione del comune di Virgilio). A seguire, altri tre impianti pilota (installati nelle provincie di Piacenza e Mantova) sono entrati in funzione o stanno per farlo. Nel complesso essi coprono una superficie di circa 55 ettari e la potenza di picco installata totale è circa 10 MW.
Gruppi di pannelli fotovoltaici sono sostenuti a circa 5 metri da terra da robusti pali, che costituiscono i cosiddetti “inseguitori solari biassiali”, i quali comunicano tra di essi e con il sistema di controllo tramite wireless, ossia connessione senza fili. Grazie a tali inseguitori (chiamati anche trackers, ossia tracciatori), i pannelli cambiano orientazione nell’arco della giornata in modo da seguire la posizione del sole e massimizzare la propria resa.
Per garantire illuminazione diretta al terreno sottostante, i pali sono posti ad una distanza di dodici metri l’uno dall’altro e i pannelli sono posti in modo che ombreggiano solo al 15%.
L’altezza dei sostegni consente ai mezzi agricoli di passare senza alcun problema, se necessario comunque i pannelli possono essere disposti parallelamente al suolo in modo da agevolare la circolazione e l’attività. I pannelli possono anche ruotare in modo da porsi completamente perpendicolari al terreno quando opportuno, in caso di pioggia e – soprattutto - di neve.
La prima azienda 'agrovoltaica', la Vostok di Cappelletta, impiega 750 inseguitori solari e 8 mila pannelli, distribuiti su una superficie di 15 ettari. La potenza totale installata è di 2,15 MW.
“L’impianto è stato realizzato nel maggio scorso ed il primo raccolto, in giugno, è stato una coltura semplice, ossia miglio per foraggio - dichiara Sara Belladelli, architetto che con un socio ingegnere, Roberto Prati, ha deciso di dare vita a questa nuova attività e darsi all’agricoltura -. Il terreno era sconnesso a causa dell’installazione, pertanto con questo primo raccolto abbiamo rigenerato la terra; dalla prossima stagione coltiveremo biologico, in particolare insalate, frutti rossi, erbe curative ed aromatiche”.
L’impianto è stato progettato e realizzato dalla REM (Revolution Energy Maker), holding industriale che ha sede in provincia di Brescia fondata nel 2008 da un gruppo di sei storiche aziende italiane, interessate a inserirsi sul piano internazionale come produttrici di sistemi per la generazione di energia, che facessero uso di tecnologie sostenibili e zero-emissive.
“Quando abbiamo unito le nostre forze in REM - dichiara il presidente Roberto Angoli - avevamo un’idea chiara: investire nelle migliori tecnologie rinnovabili, a patto che fossero eco-compatibili e non emettessero gas serra”. Un gruppo di studio multidisciplinare ha lavorato per 18 mesi esaminando varie opzioni, scegliendo infine di puntare su questa originale simbiosi di agricoltura e fotovoltaico, che ottimizza l’uso del territorio, garantendo produzione di colture e di energia per il sostentamento stesso dell’azienda.
REM ha già depositato la richiesta di brevetto internazionale e, forte dell’esperienza maturata nei quattro impianti pilota, la società punta alla realizzazione di progetti più ambiziosi, come ad esempio un impianto da ben 100MW.
Sebbene l’idea sia ingegnosa e la sua realizzazione di successo, le perplessità a riguardo non sono poche. In primo luogo viene la questione estetica: in molti sostengono che distese di pannelli solari a cinque metri di altezza sui campi non siano un bello spettacolo e che rovinino il panorama rurale.
Segue l’interrogativo riguardo alla qualità dei prodotti cresciuti sotto metri quadrati di impianti fotovoltaici. “Personalmente non vi coltiverei mai prodotti orticoli o altre colture commestibili, bensì solo fiori - afferma Daniele Toniolo, presidente della sezione veneta della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) - le verdure hanno bisogno di luce diretta, il rischio è che si coltivi come in una serra”.
In realtà, a tal proposito, i realizzatori affermano che il livello di ombreggiamento sia estremamente ridotto (circa il 15%) e che le strutture di sostegno occupino ben poco spazio.
A dar vita ad ulteriori perplessità contribuisce la questione dei campi elettromagnetici che si generano intorno ai pannelli. Certo, i dispositivi sono collocati abbastanza in alto, ma quale il rischio che tali campi interferiscano con il processo produttivo?
“Tecnologicamente tutto si può fare: in Olanda da anni coltivano i pomodori con l’acquacoltura nelle vasche da bagno, ma a livello nutritivo come sono quei pomodori?”, questo il paragone apportato da Maurizio Gritta, presidente della cooperativa agricola biologica Iris, che opera su 40 ettari di terreno nel Parco naturale Oglio sud, vicino Cremona. “I campi magnetici non vanno d’accordo con i prodotti biologici e le coltivazioni in genere - continua Gritta - nel nostro pastificio abbiamo dislocato assorbitori di campi magnetici per non danneggiare i cereali, perché le rivelazioni hanno dimostrato che le macchine ne producono”.
Come sempre, difficilmente una tecnologia riesce a risolvere un problema senza crearne altri. La soluzione appare comunque meritevole di considerazione e ha già destato interesse anche a livello internazionale, tanto che EcoDelta, importante operatore fotovoltaico francese dal 2008, ha stretto una partnership con REM per diffondere in esclusiva l’agrovoltaico in Francia.
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