di
Sonia Savioli
06-12-2011
"Tutto quello che viene considerato disordine e sporco negli assurdi discorsi del dopo alluvioni è invece vita, biodiversità, equilibrio e protezione del suolo". La responsabilità dei disastri conseguenti al maltempo delle ultime settimane è stata da molti attribuita alla mancata 'pulizia' dei boschi. Eppure un bosco privo di arbusti, fronde e legni lasciati sul terreno costituisce un disastro ambientale in fieri.
Dopo i disastri innescati dalle piogge torrenziali di quest’ultimo autunno, ancora una volta si è levato il coro delle 'campagne abbandonate' e dei 'boschi che non vengono puliti'.
Coloro che parlano di 'boschi non puliti' (sporchi?) non si riferiscono a lattine, bottiglie e sacchetti di plastica, pacchetti di sigarette, bossoli e altre schifezze; si riferiscono ad alberi vivi e morti, arbusti, fronde e legni lasciati sul terreno.
La cosa più tragica è che molti di loro sono in buona fede e ritengono che un bosco 'ben curato' sia quello ridotto più o meno come un parco cittadino, cioè col terreno nudo e pochi alberi distanziati. Con la differenza che nel parco cittadino gli alberi sono secolari o tendono a diventarlo, mentre nel bosco 'pulito' gli alberi spesso non riescono a superare i dieci anni, perché ogni dieci anni vengono tagliati. Questo vuol dire che il bosco 'pulito' è popolato da precari fuscelli.
Un bosco così 'pulito' è un disastro ambientale in essere e in fieri per molti motivi, tanto più oggi, con l’aumento delle temperature, le estati torride e siccitose, le piogge concentrate e torrenziali.
Perché? Perché un terreno, come sanno tutti i naturalisti e i contadini biologici, per sopravvivere deve essere sempre 'coperto': la terra nuda muore e viene erosa. Coperto dunque di foglie e di erba o di arbusti e alberi o, quantomeno, dalle loro chiome imponenti.
Il che vuol dire: se si vogliono lasciare pochi alberi, devono essere talmente grandi e vetusti da coprire con le loro fronde tutto il terreno sottostante. Deduzione: non si può tagliarli ogni dieci anni e lasciare sessanta querciole di dieci anni su diecimila metri quadri di ripida collina, come consente oggi la legge regionale Toscana, per esempio, e poi dare la colpa ai boschi non puliti quando arriva l’alluvione.
In un bosco 'pulito' secondo il concetto dei cultori dell’innaturalità, cioè con esili alberini molto distanziati, niente sottobosco e niente frasche e legno marcio sul terreno, al massimo crescerà l’erba in primavera, per seccare impietosamente in estate, esposta ai quaranta gradi all’ombra che sono ormai la norma, senza creare humus e lasciando il terreno esposto e indifeso: il sole estivo lo calcinerà, le piogge autunnali in presenza di un minimo pendio se lo trascineranno giù nell’alveo di ruscelli, poi torrenti e poi fiumi che, da corsi d’acqua quali erano, diventeranno corsi di pietre e fango, decuplicati appunto dalle tonnellate di pietre e fango. Che sarebbero stati terra fertile e sarebbero rimasti a far parte del suolo, invece di diventare un’alluvione, se il suolo fosse stato coperto e vivo: 'sporco', secondo la vulgata corrente nel nostro paese.
Tutto quello che viene considerato disordine e sporco negli assurdi discorsi del dopo alluvioni è invece vita, biodiversità, equilibrio e protezione del suolo; l’ambiente in cui crescono spore, licheni e funghi che nutrono e fertilizzano, nonché il rifugio e il nutrimento per ogni tipo di vita, dai batteri agli uccelli, dai carnivori agli ungulati. Tutto ciò è vita e salute del bosco e, ovviamente, del suo terreno: che non si muoverà dal proprio posto nemmeno sotto piogge torrenziali.
Mentre la Liguria, denudata e incendiata, coperta di asfalto e cemento e coi fiumi asfaltati e cementati, crollava disastrosamente su se stessa, io ero in Friuli, in una di quelle valli prealpine friulane con letti di fiumi larghi centinaia di metri, a volte chilometri, e che per la maggior parte del tempo appaiono come distese di ghiaia e pietre di misure svariate, con un rivolino d’acqua celeste che scorre quieto e che si può attraversare togliendosi le scarpe. Ero in una valle dalle montagne scoscese e a tratti ripidissime, con le cime rocciose e nude.
Nei giorni di ottobre in cui in Liguria cadevano tra i 200 e i 500 millimetri di pioggia, sulle prealpi carniche sono caduti dai 200 ai 400 millimetri in 48 ore, di cui una buona parte concentrata in poche ore. In 24 ore sulle montagne friulane sono caduti fino a 377 millimetri di pioggia. In Val Resia in ottobre, in cinque giorni, di cui solo 3 di pioggia intensa, sono caduti fino a 632 millimetri di pioggia. Le dosi giornaliere, dunque, erano molto simili a quelle liguri. Solo che per il Friuli non era un evento eccezionale.
Per questo, forse, sulle montagne friulane si taglia il bosco con regole severe e con ferrei controlli; per questo non si costruisce nelle zone di esondazione, sulle rive di fiumi né, tanto meno, i fiumi vengono cementificati. E per questo, dopo le 'normali' piogge torrenziali di quei giorni, il fiume della valle in cui ero, benché avesse riempito tutto il proprio alveo in larghezza e profondità e ruggisse minaccioso, aveva acque pulite e limpide.
Nella Svizzera ticinese le valli prealpine sono particolarmente impervie e scoscese, strade strette si arrampicano costeggiando burroni, molti piccoli abitati sono raggiungibili solo a piedi, essendo impossibile in quel contesto la costruzione di strade carrozzabili. In val Onsernone i paesi sono fatti a scale: cioè, a parte la prima fila di case costeggiante la strada, alle altre si arriva salendo o scendendo viottoli a gradini.
L’ultimo paese della val Onsernone finisce con una stradina sterrata che s’inoltra nel bosco. Lì accanto c’è un cartello. Dice che i proprietari di boschi della val Onsernone hanno deciso, di comune accordo, di non tagliare più alberi per i prossimi cinquant’anni. Neanche uno. E non solo di non tagliare alberi: hanno deciso e scelto di non prelevare nemmeno gli alberi morti o i rami caduti. Nulla. Perché, dicono gli abitanti della val Onsernone, tutto quello che muore nel bosco serve alla vita del bosco, e dunque alla nostra vita, poiché il bosco è fonte di protezione dei suoli, rigenerazione dell’aria e dell’acqua, biodiversità.
Per le generazioni future, dicono gli abitanti della Val Onsernonde, noi rinunciamo a sfruttare il bosco. È un sollievo rendersi conto che la cultura di 'pulire' il bosco, distruggendone il suo popolo vegetale, finisce al confine con l’Italia. È anche un sollievo vedere che c’è chi ai propri figli e nipoti preferisce regalare il futuro invece del cellulare.
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