I problemi di surriscaldamento dell'ultimo iPad e la concorrenza annunciata da Google e Intel in tema di tablet riempiono le cronache di questi giorni di indiscrezioni su Apple. Ma questioni ben più serie gettano un'ombra sulla responsabilità sociale della Mela di Cupertino: da qualche anno ong e ambientalisti denunciano quanto accade nelle fabbriche dei suoi fornitori in Cina.
Come altri colossi dei più svariati settori, Apple incarna un modello di business che mette al centro il marchio più del prodotto. Questo si traduce nella scelta di gestire direttamente attività di innovazione e marketing, appaltando la produzione delle merci a chi è in grado di garantire qualità a prezzi il più possibile competitivi. Ma qualità e risparmio possono essere ottenuti dai fornitori di Apple anche a scapito di lavoratori e ambiente, almeno questo è quanto rilevato da un gruppo di ong cinesi nello studio The other side of Apple.
Il report denuncia i turni massacranti e le misure disciplinari di estrema durezza cui vengono sottoposti anche bambini e ragazzi giovanissimi nelle fabbriche che producono componenti per Apple. Situazioni portate allo scoperto dalla serie di suicidi verificatisi, nei primi 6 mesi del 2010, tra i lavoratori di uno dei maggiori fornitori della Mela, la Foxconn.
Ma la Foxconn è chiamata in causa dalle organizzazioni cinesi anche per l'inquinamento derivante dalla lavorazione di metalli, che rende l'aria irrespirabile per chi vive nei pressi dello stabilimento, tanto da impedire ai residenti l'apertura delle finestre.
Altrettanto preoccupanti le conseguenze dello scarico di sostanze inquinanti in corsi d'acqua da parte della Meiko Electronics - rame e nickel in grandi quantità, che finirebbero direttamente nel fiume Yangtze -, mentre le emissioni della Kaedar Electronics e della Unimicron Electronics starebbero provocando nei bambini che abitano l'area dolori al petto e sanguinamento nasale.
E se la contaminazione dell'aria e delle acque minaccia vaste fasce di popolazione, l'uso di sostanze tossiche nei processi produttivi sembra avere effetti immediati sugli operai. Nel documento le ong si concentrano in particolare sulla Lian Technology Jian (Wintek), che, secondo numerosi articoli pubblicati, si occuperebbe di fornire touchscreen ad Apple.
Nell'agosto 2008 - spiega il report - la fabbrica ha infatti sostituito la soluzione a base alcolica fino ad allora utilizzata per pulire gli schermi con un solvente chimico denominato n-esano che, evaporando più rapidamente, avrebbe aumentato il tasso di efficienza. Nel giro di pochi mesi gli operai hanno iniziato ad accusare le conseguenze dell'esposizione a questa sostanza: neuropatia periferica, spossatezza e intorpidimento degli arti, difficoltà nel movimento e perdita del senso del tatto. In 49 sono stati ricoverati all'Ospedale del Popolo No.5 di Suzhou, in decine hanno lasciato il lavoro firmando una liberatoria che svincolava l'azienda da qualsiasi responsabilità in cambio di cifre irrisorie.
Ma delle responsabilità, osservano le organizzazioni, c'erano: nessuno aveva infatti informato i lavoratori dei possibili rischi connessi all'utilizzo del solvente - contravvenendo alla legislazione cinese sulla prevenzione e il controllo delle malattie professionali -, mentre, secondo le testimonianze di alcuni operai, “rappresentanti di Apple avevano visitato in precedenza la fabbrica, ma non avevano mai detto ai lavoratori che l'utilizzo di n-esano, chiesto per aumentare la produzione, fosse pericoloso o come proteggersi dalla sostanza”.
Allo stesso modo Apple non sarebbe intervenuta, in risposta alle sollecitazioni delle ong. Mentre grandi imprese hanno aderito all'iniziativa lanciata nel 2007 da ventuno gruppi ambientalisti cinesi - la Green Alliance Choice - per sviluppare un sistema di approvvigionamento sostenibile, e colossi dell'IT hanno accolto le richieste di una coalizione di 34 associazioni di protezione ambientale in materia di inquinamento da metalli pesanti, Apple sarebbe rimasta evasiva.
A complicare l'atteggiamento della Mela c'è poi un'ambiguità di fondo. Da una parte, la società rivendica segretezza circa la catena di produzione da cui derivano le sue merci, sostenendo che i nomi dei suoi fornitori rappresenterebbero un'informazione strategica per il suo successo commerciale. Sapendo, osservano le ong, che “quando non si può nemmeno determinare chi sono i fornitori di Apple, è ancora più difficile capire le prestazioni sociali e ambientali della sua catena di fornitura”.
Dall'altra, però, nel suo codice di auto-condotta, la società di Cupertino si impegna a garantire produzioni rispettose dell'ambiente come della salute e della dignità dei lavoratori. Non producendo nulla direttamente, se non idee e immaginario, i principi di quel codice si applicano, è affermato esplicitamente nel codice, ai fornitori di Apple. È su di loro che Apple deve vigilare per assicurarsi che vengano rispettati, ciò che in quelle fabbriche accade rientra nella sua responsabilità.