di
Andrea Degl'Innocenti
31-05-2011
La vittoria di De Magistris a Napoli, quella di Pisapia a Milano, i prossimi referendum del 12 e 13 giugno. Si moltiplicano le occasioni in cui la popolazione esprime il bisogno di una svolta radicale che rimetta in discussione le basi stesse della società contemporanea. Volontà che il governo ignora, ma che giunge da lontano e altrettanto lontano può condurre.
Nell'osservare le facce e le espressioni, ascoltare le dichiarazioni, leggere i titoli dei giornali, si ha davvero l'impressione che con ieri si sia chiuso un ciclo. Milano, matrice e roccaforte del berlusconismo, in mano al centro-destra da ben diciotto anni, elegge Giuliano Pisapia, sostenuto da Sinistra ecologia e libertà e della Federazione della sinistra. E Napoli, che il premier si vantava di aver liberato dai rifiuti, conquistata con oltre trenta punti di scarto dal suo nemico numero uno, Luigi De Magistris. E poi 83 comuni su 135 al centro-sinistra (contro i 36 del centro-destra) e 7 province su 11.
D'altronde che si fosse alla fine di qualcosa lo si era intuito da un po'. C'è uno scollamento ormai abissale fra una certa politica e la popolazione. I due binari che dovrebbero viaggiare paralleli – da una parte le istituzioni di rappresentanza, dall'altra la cittadinanza, con il primo che dovrebbe interpretare e al tempo stesso guidare le volontà dell'altro – si sono biforcati prendendo strade opposte.
Ve n'è traccia negli strumenti utilizzati. La televisione, scatola magica con cui Berlusconi ha sempre risolto ogni problema personale e politico, sembra aver perso d'un tratto il suo appeal e la sua potenza di trazione per il troppo uso. Sul versante opposto è cresciuta la presa di internet, tanto temuto perché impossibile da gestire con i criteri di monodirezionalità e monopolio caratteristici della tv. Così, le sortite del premier ai tg – oltre a costargli un'inchiesta per abuso d'ufficio – si sono subito trasformate in un blob su internet, ottenendo l'unico effetto di metterlo in ridicolo.
Ma la scollatura è ancora più evidente se si tiene conto della direzione. Da una parte sta una popolazione sempre più consapevole della necessità di una svolta in chiave ecologica e sociale, che valorizzi le energie pulite, lo sviluppo sostenibile, che comprenda il ripensamento dei paradigmi alla base dell'attuale modello mercatista in favore di diritti estesi a tutta la popolazione. Dall'altra, una rappresentanza talmente incancrenita nel proprio giro d'affari, a tal punto invischiata nei propri interessi da non poter neppure immaginare l'eventualità di un cambiamento e da non accorgersi di essere finita su un binario morto.
E quando il carrozzone del governo viene richiamato all'ordine dalla popolazione che pretende di essere ascoltata, le volta le spalle – il caso più lampante è rappresentato dal boicottaggio spudorato dei referendum. Ma è una strategia che non paga, e le elezioni amministrative del 15 e 16 maggio, completate dai ballottaggi di ieri ne hanno dato riprova. C'è una spinta vitale forte della popolazione che ha deciso di cambiare le regole del gioco e potrà farlo, con forza rinnovata, ai referendum del 12 e 13 giugno prossimi.
Ad ogni modo sarebbe perlomeno miope interpretare i fatti italiani senza tener conto del vento che arriva dall'Europa e dall'Africa. Gli indignados spagnoli, le proteste in Grecia, la 'primavera araba' sono tanti altri sintomi di un risveglio generale della popolazione dal torpore in cui era precipitata dagli anni Settanta ad oggi. Un sonnellino costellato di tanti bei sogni, comodità e consumi sfrenati mentre il mondo con accelerazione crescente precipitava verso il suolo. I risultati di ieri sono un battito di ciglia, il movimento leggero di una mano che – si spera – precede il risveglio. Siamo ancora in tempo ad aprire il paracadute.
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