La parola 'ananda' designa la gioia e l’irradiamento di soukham, lo stato di benessere interiore, l'esperienza spirituale più alta che illumina di felicità il momento presente e si perpetua nel momento successivo.
L’esplorazione condotta fin qui ha tenuto conto principalmente della visione filosofica occidentale. In quella orientale, non-dualistica, la separazione tra l'essere e il cosmo non è avvenuta, ed il legame con la totalità della realtà persiste.
Nell’intento di stabilire un ponte tra spiritualità ed educazione, il filosofo indiano Sri Aurobindo (1872 - 1950) è un riferimento essenziale. Il suo concetto di educazione integrale è nato dall'esperienza dello yoga integrale, il Purna Yoga, che si basa a sua volta sul concetto dell’ananda, la gioia divina.
In sanscrito, la parola ananda designa la gioia e l’irradiamento di soukham, lo stato di benessere interiore, l'esperienza spirituale più alta “(...) che illumina di felicità il momento presente e si perpetua nel momento successivo fino a formare un continuum che si potrebbe definire joie de vivre [1]”. È il Sat-Chit-Ananda, il continuum “esistenza-coscienza–beatitudine”, la “felicità del divenire”, espressione perfetta di Lila, il “Gioco del Signore”[2].
Soggiacente alla natura umana, nella vita di tutti i giorni questa verità ci è nascosta; tutto il lavoro dello studente consiste quindi nell’imparare a vivere 'dentro' per diventare consapevole della presenza calma, gioiosa e potente che “in noi è il nostro io più reale”.
Educatore innanzi tutto, Sri Aurobindo identifica nella frequentazione dell'Arte e della Poesia un modo per avvicinarsi a questa “delizia invariabile dell'universo” che è il vero gusto dell’esistenza. La libertà definitiva sarà acquisita con il confronto a “tutti gli shock dell’esistenza” e non attraverso l’isolamento o la rinuncia passiva. Quando, a contatto con il piacere e il dolore, l'anima avrà una reazione “neutra”, allora significherà che è avviata verso uno stato di estasi invariabile, la gioia divina.
La discesa della spiritualità nella materia è il senso dello yoga integrale e sarà Mirra Alphassa, nota come “la Madre” (1878 - 1973), che avrà il compito di continuare l'opera di Sri Aurobindo, traducendola in pratiche educative nella scuola dell’Ashram di Pondicherry, in India. Nel suo yoga, essa descrive la gioia come immanente e trascendente al tempo stesso, intrinsecamente legata alla natura umana, dal momento che “tutta l'esistenza si basa sulla gioia di essere e che senza la gioia di essere non ci sarebbe la vita” [3].
Qui la dimensione superiore (trascendente) fa parte dell'essere nella sua natura fondamentale. Essa è presente in tutto ciò che vive (immanente) e di conseguenza diventa accessibile a tutti attraverso un processo di educazione costante.
Collegarsi a questa trascendenza gioiosa è possibile senza che ciò implichi necessariamente l'adesione ad un percorso religioso o dogmatico [4]. Riconoscere la gioia nella sua duplice natura di emozione e di stato, questo è il compito dell’insegnante.
Note
1. Ricard Matthieu, Plaidoyer pour le bonheur, Pocket Evolution, Nil éditions, Parigi, 2003.
2. Sri Aurobindo, The Life Divine, Lotus Press, Twin Lakes, Wisconsin, 1990
3. La Madre, in Education
4. Questa visione è condivisa anche dall’ Antroposofia di Rudolf Steiner e puo’ essere estesa anche alla spiritualità laica o la "spiritualità senza Dio", come la definisce René Barbier nell’articolo 'Flash existentiel et reliance' in Journal des chercheurs, 9 marzo 2004) e da Comte-Sponville (L'Esprit de l'athéisme. Introduction à une spiritualité sans Dieu, Editions Albin Michel, Parigi, 2006).