di
Carlo Carlucci
15-03-2012
Renzino, don Salvatore Mereu, Davide Montemurri, Renzino Orzalesi. Da Carlo Carlucci, altri ritratti, di altre persone.
‘Che bello il mi’ mare’. Così ti rispondeva Renzino quando lo sorprendevi o lo distraevi dalla contemplazione dall’alto del mare di Calamoresca (Piombino). Renzino era e rimarrà il genius loci di un luogo che è forse il più indicibile della costa etrusca. Di fronte all’Elba la cala è protetta a sud da Punta Falcone costituita da rocce vulcaniche che si protendono sul mare e da questo punto sino allo splendido golfo di Baratti, a circa 8 chilometri la costa è rimasta intatta dal tempo degli etruschi. E il mare dall’alto, quando non sfrecciano motoscafi o motonavi, sembra ancora in attesa di essere solcato dalle silenziose navi nere di pece.
Renzino tutti i giorni si affacciava sulla sua Calamoresca per salutare il suo mare dacchè una malattia muscolare gli aveva impedito ogni attività lavorativa. Il suo nuovo lavoro ora era recarsi, tempo permettendo, sulla spiaggia magari col pranzo a sacco, sistemare le sue due cose sotto le tamerici e lì trascorrere la sua giornata. In ozio? No davvero. La contemplazione del ‘mi mare’, l’accesso alla sua vastità dalla perfezione naturale della cala non potevano certo dirsi ozio.
‘Guardare. Guardare. È ozio questo? Ma chi lo guarda il mondo? Chi lo guarda con sguardo disinteressato? Forse il poeta e nessun altro. Altrove hai scritto che la poesia è la parola. E lo sguardo? Non è poesia lo sguardo? Alla natura piace nascondersi e per sorprenderla devi guardarla lungamente, appassionatamente… Adesso alzati e va alla spiaggia. Stamani hai già lavorato abbastanza col tuo ozio’. Questo lo ha scritto un grande poeta spagnolo, Cernuda. Ma sembra sia stato scritto per Renzino affacciato sul suo mare di Calamoresca. Poesia era il suo sguardo disinteressato.
Il Ponte. No, non si tratta del re delle Grandi Opere, il ponte sullo stretto di Messina, quello che avrebbe eternato il nome del Munifico, dello Statista Impreditore, dalla mascella volitiva tanto per cambiare... No, parlo della rivista fondata da Calamandrei una settantina d’anni fa e portata avanti fino ai nostri giorni. Con scadenza mensile. Rivista cartacea e ora anche online. C’è un disegnino nella copertina in alto che bene rappresenta lo spirito con cui la rivista era nata, un omino che sulle assi traballanti cerca di traghettarsi da un’arcata all’altra di un ponte colpito dalle bombe.
Mai disegnino, oggi logo, ha espresso questo fragile, incerto trapasso dalle speranze del dopoguerra, dagli anni del boom fittizio, dal ’68, dal trascolorare di una sinistra sempre più claudicante e fallimentare, dall’era di B, all’attuale, totale anomalia del cosiddetto governo Monti fronte al baratro reale? Irreale? Fittizio? Del default dello Stato. Siamo, oggi più che mai, in bilico, oggi più che mai su una traballante passerella, ma verso dove? Non certo verso l’altra arcata del ponte. Ma verso dove?
Don Salvatore Mereu. Un incontro assolutamente imprevisto, durante una verifica sul numero annuale delle rondini presenti nella grande stalla di un allevatore di pecore sugli estesi pascoli del Monte Labro, di fronte all’Amiata verso il mare. Era Paolo Politi, un amico, colui che censiva le rondini, io ero andato a trovarlo e a vedere il lavoro di cattura e classificazione dei migratori sempre più rari. Ci avevano fatto accomodare nel giardino ombreggiato di casa, un angolo della Sardegna rurale e senza tempo in terra di Toscana.
Faceva gli onori di casa nonna Chiara, memore di un’antica ospitalità mediterranea, in vesti di color notte, in perfetto contrasto col sole di agosto. Poi apparisti tu, Salvatore, distolto dai tuoi studi per una pausa. Eri ‘in borghese’, affabile e cordiale e ti presentasti. La voce, l’intonazione, la ricchezza lessicale tradivano una profonda cultura maturata sui classici. No, non eri un intellettuale ma un prete, curato a Nuoro, precisamente nella chiesa che ospitava, grazie al tuo interessamento, le spoglie di Grazia Deledda. Eri nativo di Orgosolo. Di colpo l’orizzonte vasto ma sperduto, disabitato, dove mi trovavo a vivere si popolava di una geografia mitica.
Davide Montemurri, carissimo amico, era stato aiuto regista di De Seta autore del bellissimo Banditi a Orgosolo. Si certo, eri bambino, ma ti ricordavi del film, di quando lo giravano. Ci siamo visti per due o tre estati finché non ti ha ‘rapito il sole’ come recita una bellissima iscrizione tombale latina. Orgosolo già, con la sua anonima sequestri. Ne fosti coinvolto per una naturale e istintiva ribellione, al punto che ci fu una ritorsione e un ragazzo particolarmente attivo della tua parrocchia venne ucciso a monito.
Ma l’amicizia viva e intensa tra noi scoccò per affinità elettive. Fu quando scopristi nella mia biblioteca i mitici dizionari (francesi! In Italia non li abbiamo) etimologici del latino e del greco. Eri un glottologo molto preparato, l’etimo ti accompagnava per precisare il significato alle parole del Cristo soprattutto nelle parabole. Restavamo affascinati dalle tue spiegazioni. Arrivavi a trovare tua madre e la famiglia di tua sorella Maria e subito mi chiedevi di potere requisire per tutto il mese quei dizionari etimologici.
Poi improvvisamente il cuore. Dei mesi a Pisa aspettando un trapianto e poi la clinica milanese che escludendo il trapianto proponeva un complesso, delicato intervento sul cuore. Scegliesti questa seconda ipotesi. Una scelta disgraziata. Fatta la riabilitazione, dimagrito, ringiovanito, trascorremmo l’ultima estate della tua vita in conversari quasi quotidiani. Poi la partenza per Nuoro, la visita di controllo a Milano in cui ti trovarono così bene da levarti alcune medicine. Pochi giorni dopo un improvviso infarto: sol te rapuit, ti rapì il sole.
Renzino Orzalesi lo spirito di Calamoresca, gli amici per sempre de Il Ponte eredi di una passione che definirei, senza tema di essere contraddetto, risorgimentale, don Salvatore Mereu con la sua cultura profonda e felice di essere pastore d’anime, incarnazioni tutte del titolo augurale di questa rubrica.