Andrea Caschetto, venticinque anni, siciliano, laureato in Media e Marketing con un master in Cooperazione internazionale per popoli sotto-sviluppati alla Cattolica di Milano: “Sono sempre stato contrario alle cose private ma non ho potuto non fare l’università privata perché ho problemi di memoria e lì c’era il centro per ragazzi con difficoltà…”. Si presenta così Andrea, sorriso a trentadue denti, voce allegra e occhi felici, in collegamento via Skype da un orfanotrofio del Paraguay: “Il mio sogno era di fare il magistrato. Sono cresciuto con il mito di Falcone e Borsellino e come loro avrei voluto dedicare la mia vita alla lotta alla mafia. Ma a quindici anni mi hanno trovato un ematoma nell’emisfero sinistro, chi lo chiamava tumore, chi malformazione cellulare, chi con altri nomi. Comunque mi sono dovuto operare alla testa e da lì in poi ho iniziato ad avere problemi di memoria e concentrazione. Sono passato dal non studiare nulla ed avere voti altissimi a studiare tantissimo per avere voti bassi. Capii subito che sarebbe stato quasi impossibile fare giurisprudenza. Così optai per un’università meno mnemonica che mi portò a una vita molto diversa da quella che avevo immaginato”.
Durante l’università, grazie alle borse di studio e al lavoro di volontario in diverse onlus, Andrea ha iniziato a viaggiare, ma la vera svolta è arrivata a dicembre: “Finito il master avrei voluto partire per un giro del mondo in sedia a rotelle per dimostrare che una persona con disabilità non è una persona disabile, volevo dimostrare che una persona su una sedia a rotelle non è altro che una persona seduta. Lo volevo fare perché dopo l’operazione sono stato costretto a starci su una sedia a rotelle, e ho capito il fastidio di essere guardato in un certo modo, il pregiudizio, la pena…”. Ma quel viaggio non è andato in porto: “Aspettavo degli sponsor perché con il mio budget - circa 4000 euro risparmiati dalle borse di studio - non avrei potuto permettermelo, in quanto gli spostamenti in sedia a rotelle, oltre ad essere più complicati, sono pure più costosi!”.
Così ecco che prende piede il Piano B. “Ho pensato a cosa mi sarebbe piaciuto fare, e mi è balenata un’idea: testimoniare che i bambini, tutti i bambini, malgrado le culture differenti, gli scontri e le guerre, sono uguali. Così ho deciso di investire i miei risparmi in un viaggio alla scoperta dei più piccoli”. E dove farlo se non negli orfanotrofi delle periferie del mondo? “Sono partito a febbraio per lo Srilanka, perché avevo un’offerta per il volo - 150 euro da Roma a Colombo - poi sono stato in India. A seguire il Nepal, appena prima del terremoto, poi la Tahilandia, la Cambogia, il Vietnam. Poi, facendo scalo a Dubai, sono giunto in Brasile e da lì sono arrivato in Paraguay. Seguiranno Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia... E poi chissà”.
In ciascun Paese Andrea vive in orfanotrofi barattando il proprio lavoro con vitto e alloggio: “Ho ridotto le spese a zero e ottenuto in cambio tantissimo. Ovviamente non faccio il turista, non visito i luoghi, mi dedico solo ai bambini, mangio e dormo con loro, mi sposto quasi sempre con mezzi pubblici”. In cambio dei pasti e di un letto Andrea svolge attività di musica, disegno, teatro, inglese “a volte li porto al mare, li faccio giocare a pallone o, più semplicemente, gli dedico il mio tempo. L’attenzione e l’affetto sono le cose più importanti che si possa dar loro”.
“Anche perché - spiega Andrea - molti orfanotrofi trattano i bambini come fossero in un canile: li lasciano tutto il giorno davanti alla televisione, li chiamano solo per i pasti, nessuno si relaziona con loro durante la giornata. Un orfanotrofio in India ospitava ben 44 bambine in un bilocale minuscolo. In un altro orfanotrofio, in Nepal, i bambini venivano lasciati totalmente soli tutta notte. Due ragazzi di diciannove anni avevano il compito di controllarli. Erano pagati 10 euro al mese”.
“In India ho visto episodi più tragici - continua Andrea - Bambini sui cinque anni trovati dalla polizia nella spazzatura. A quell’età i bambini si ricordano tutto ma non parlano perché è il dolore è troppo forte… l’unica cosa che si può fare allora è farli ridere, farli giocare. L’unica cosa che si può fare è fermare per un momento quell’orrore che avranno per sempre stampato nella mente. Io cerco di fare questo”.
Ma, per fortuna, non tutte le realtà sono così degradate: “Ho vissuto per dieci giorni in un campus per bambini disabili, creato da una signora olandese, che ospitava 230 bambini. Questi erano divisi in 23 case e ogni abitazione aveva una responsabile che i bambini chiamavano mamma. Lì i ragazzi avevano la giornata piena: yoga, sport, lezioni, giochi, danza… erano davvero sereni. A me non restava altro che improvvisare spettacoli di cabaret alla sera! E’ stata un’esperienza bellissima che mi ha insegnato tanto: dal linguaggio dei non udenti alla lettura per i non vedenti”.
Perché da questi viaggi, alla fine, chi ne esce più arricchito e più felice, è proprio Andrea: “Qui, negli orfanotrofi, vedo adulti e bambini che non possiedono quasi nulla e che non vedono l’ora di offrirti quel poco. Si pensa sempre che povertà sia sinonimo di criminalità, degrado, tristezza, ma non è così. I poveri, lontano dalle grandi città, non sono altro che angeli che non possiedono cose materiali. Non sono cattolico ma non saprei come definirli se non così”.
E da questi angeli c’è tantissimo da imparare: “Come spiega la regola dell’equatore! Meno si ha e più si è felici. E davvero in Africa posso dire di aver visto la vera gioia”. Oppure dagli insegnamenti degli Indios... “uno dei popoli che più ha cambiato il mio modo di relazionarmi con gli altri. Vivendo con loro nell’Amazzonia brasiliana, in un luogo senza luce artificiale, internet, denaro, senza gerarchie e stereotipi sociali, ho conosciuto il vero amore - afferma Andrea - Senza i modelli estetici e i luoghi comuni a cui siamo abituati la bellezza ritorna ad essere ciò che ti fa stare bene con l’anima. Smetterla di classificare le persone in base a canoni preconfezionati e indotti ti permette di conoscere e apprezzare davvero chi hai di fronte. Io, grazie a loro, oggi non dico più “che bella o che brutta che sei”, ora dico: “tu mi fai stare bene, tu mi fai stare alla grande”. Insomma, grazie a loro ho imparato ad apprezzare gli altri e a relazionarmi con essi, senza pensare all’aspetto, a ciò che possiedono o a ciò che la società ci insegna a considerare come importante”.
Un sogno nel cassetto? “Raccontare tutto questo in un libro. Ne ho già uno pronto e un altro è in divenire, una sorta di diario di viaggio… Malgrado i miei problemi di concentrazione, mi piace scrivere. Non si tratta solo di esibizionismo, penso davvero che certe cose meritino di essere raccontate e diffuse. Per il resto sono come i bambini, ho mille idee e tanti progetti… sicuramente non farò mai un lavoro che mi annoia. Voglio passare una bella vita ed essere felice. Quindi l’unica cosa che posso fare è continuare a fare cose che mi rendono tale”. Perché alla fine “lo único malo de los niños es que tienen un adulto en su futuro” (l’unica cosa negativa che hanno i bambini è un adulto nel loro futuro). Restiamo bambini!.