Le testate che dedicano ampio spazio all'informazione ambientale lanciano un appello ai grandi media affinché Rio +20, il summit sulla Terra che si apre oggi a Rio de Janeiro, possa costituire un'occasione per inaugurare una nuova maniera di trattare le notizie legate all'ambiente e alla sostenibilità.
L'informazione ambientale in Italia soffre di una grave contraddizione. Lo stato di salute del Pianeta, infatti, fa notizia quando il danno è compiuto: come due anni fa, dopo lo sversamento di greggio nel golfo della Louisiana che evidenziò le molteplici criticità di questa fonte fossile, oppure in coincidenza con le inondazioni che imperversano periodicamente nei cinque continenti provocando vittime e danni enormi.
Al di là di questi eventi catastrofici, che si ricavano fatalmente uno spazio nella cronaca, il tema dei cambiamenti climatici, con le alterazioni ormai riscontrabili anche alle nostre latitudini, è sostanzialmente ignorato dalle testate a larga diffusione e dai palinsesti televisivi. Si trasmettono decine, centinaia di dibattiti e di talk show, monopolizzati dai politici di turno, senza dedicare un minuto a temi divenuti ormai urgenti come la perdita di biodiversità, l'adattamento ai nuovi rischi ambientali, le opportunità collegate al rimodellamento della nostra economia nella direzione dell'efficienza.
Basta guardarsi indietro di pochi mesi per cogliere appieno questo paradosso: subito dopo le alluvioni in Lunigiana, alle Cinque Terre e a Genova il tema del dissesto idrogeologico ha ottenuto una larga eco sui media di casa nostra. Adesso però, nella stagione secca, il fenomeno del consumo di suolo, che provoca ogni anno la perdita di circa 500 Kmq di terreno, è scomparso dalle prime pagine dei giornali. Tantomeno si va alla ricerca dei rimedi che le amministrazioni locali stanno attuando (o non attuando) per prevenire le conseguenze che le piogge del prossimo autunno provocheranno al nostro fragile territorio e alle comunità che vi abitano.
L'informazione ambientale è stata inoltre oggetto di un ulteriore fraintendimento. Le cause della crisi ecologica, che s'intreccia con quella economica, sono ormai scientificamente riconosciute. Eppure la ricerca del facile sensazionalismo, del titolo a effetto o di una mal compresa par condicio, che ha una sua ragion d'essere senso intorno ai temi etici e politici, ha invece consentito a informazioni prive di scientificità, e quindi di fondamento, di essere poste sullo stesso piano dei fenomeni comprovati.
L'opinione è stata posta sullo stesso livello dei fatti, spesso per confutarli in maniera strumentale. L'esempio del negazionismo climatico è il più evidente, avendo dato spazio a scienziati che non avevano competenze specialistiche e ad opinion leader che esprimevano opinioni prive di fondamento al fine di smontare i risultati ottenuti dai ricercatori che studiano da molti anni, all'interno delle organizzazioni internazionali, la fisica dell'atmosfera.
Alla vigilia di Rio+20 questo atteggiamento ci sembra ancor più preoccupante: sono soltanto le testate di settore a rilanciare con l'attenzione che merita questo appuntamento, per il resto la conferenza dell'Onu sull'ambiente si avvicina nel silenzio generale. Sappiamo che semmai dovesse ottenere un qualche rilievo la traccia di questo evento, che sta portando nella metropoli brasiliana i rappresentanti dei governi di tutto il mondo, scomparirà velocemente dalle prime pagine il giorno dopo la sua conclusione.
Altrove, sia chiaro, le eccezioni confermano la regola: in Europa soltanto alcune testate, come il Guardian, dedicano un'attenzione permanente e qualificata all'ambiente. Per il nostro paese però la marginalità della notizia ambientale costituisce una duplice occasione persa, sia perché si oscura una tematica di responsabilità globale dalla quale non possiamo sottrarci, sia perché la battaglia contro i cambiamenti climatici contiene le misure di una riconversione economica in grado di restituire competitività alle nostre imprese e di suggerire una via d'uscita dalla crisi che in Italia rimane più profonda che altrove.
Vogliamo perciò lanciare un appello ai conduttori dei talk show, ai responsabili di rete, alle testate giornalistiche che in un giorno ottengono tanti contatti quanti le nostre testate, tutte insieme, raggiungono in un anno: inaugurate con Rio+20 una maniera nuova di trattare la notizia ambientale. Uscite dalla retorica dell'emergenza, andate oltre i picchi d'attenzione dettati dalla cronaca o dall'agenda dei politici e stimolate un dibattito pubblico intorno ai processi d'innovazione che interessano le imprese, le amministrazioni pubbliche virtuose, le famiglie.
Diffidate di chi non ha competenze né conoscenze specifiche sulle tematiche ambientali ed esprime opinioni personali piuttosto che fatti comprovati dall'esperienza. Affiancateci nella missione di spiegare che vincere la sfida del clima è interesse di tutti, che le buone pratiche della green economy rappresentano un traguardo per i paesi industrializzati e per quelli emergenti.
Per questo vi chiediamo di accogliere questo appello aprendo con la rete delle testate italiane d'informazione ambientale, che rappresentano un patrimonio unico nel suo genere in Europa, un tavolo di lavoro e di confronto per adeguare il giornalismo italiano ai bisogni della nostra epoca.
Vi chiediamo inoltre un sostegno concreto pubblicando in forma permanente una finestra sui processi di riconversione alla sostenibilità che stanno avvenendo nel nostro paese, una 'green box' al cui interno rilanciare, a vostra discrezione, link, abstract e riferimenti ai contenuti che pubblicano le testate ecologiste in maniera da segnalarli ai vostri numerosi lettori. Possiamo costruire una rete all'interno del sistema informativo del nostro paese fra piccoli e grandi editori, testate di ogni orientamento politico, media di diverso genere per sostenere gli obiettivi del green new deal italiano.
Sappiamo che l'attenzione da parte dei media italiani verso questi argomenti è aumentata, anche attraverso operazioni editoriali espressamente centrate sulle tematiche ambientali, non mancano all'interno delle grandi testate giornalisti sensibili e competenti che lavorano da tempo su questi temi. Però riteniamo che non basti, che si debbano rivedere i criteri di notiziabilità intorno ai fatti che riguardano il pianeta per inaugurare una stagione nuova nel giornalismo ambientale e farne un terreno di ricerca utile ad innovare nel suo complesso il sistema dell'informazione.
In attesa di un vostro riscontro (all'indirizzo giornalistiambientali@google.com), ringraziandovi comunque per l'attenzione.
Primi firmatari in ordine Alfabetico
Marta Albè, giornalista di Greenme.it
Cecilia Bergamasco, giornalista ambientale free lance
Luca Biamonte, direttore corso di giornalismo ambientale Laura Conti
Debora Billi, blogger di Petrolio
Diego Barsotti, giornalista ambientale free lance
Paola Bolaffio direttrice di Giornalisti nell’erba
Claudia Bruno, giornalista e caporedattrice de Il Cambiamento
Veronica Caciagli, giornalista free lance
Matteo Campofiorito, responsabile editoriale di Greenstyle.it
Luca Conti, blogger di Pandemia
Alessio Fabrizi, comunicatore ambientale di Ecoconnectionmedia
Simona Falasca, direttrice di Greenme.it
Alessandro Farulli direttore di Greenreport
Sergio Ferraris direttore di Qualenergia
Marco Fratoddi direttore de La Nuova Ecologia
Lorenza Gallotti, direttore di E-gazette
Marco Gisotti direttore del Master di comunicazione ambientale del Cts
Paolo Hutter direttore di Eco dalle Città
Marco Lamonica direttore di Ecoradio
Simonetta Lombardo, giornalista ambientale e amministratore di Silverback
Giuseppe Miccoli giornalista di Eco dalle Città-Puglia
Mario Notaro, editore di Greenme.it
Letizia Palmisano, blogger e giornalista ambientale free lance
Marco Pinetti, presidente di Artenergy publishing
Roberta Ragni, giornalista ambientale di Greenme.it
Gabriele Salari, giornalista
Mario Salomone, direttore di .Eco
Silvana Santo, blogger de Il terriario e giornalista ambientale free lance
Mario Spagnolo, direttore di Rinnovabili.it
Alessandro Tibaldeschi, giornalista ambientale free lance
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