di
Elisa Magrì
10-11-2011
Dal 2 al 5 Novembre si è tenuta a Genova 'Planningcities 2011', la conferenza delle grandi città europee per la progettazione urbanistica. L’architetto Renzo Piano ha evocato lo spettro dell’esplosione che si genera dalla cementificazione sfrenata, contrastandolo con l’implosione che deriva dal costruire su quanto già esiste.
Dal 2 al 5 Novembre scorsi, mentre su Genova si annunciava e poi si abbatteva l’alluvione, si svolgeva nella stessa città la conferenza internazionale Planningcities 2011, ovvero la 25° assemblea dell’associazione che raduna 140 grandi città di 36 paesi europei.
Lo scopo era quello di procurare una piattaforma allo scambio dei saperi relativi agli assetti urbani contemporanei. Fra i relatori, l’architetto genovese Renzo Piano, vincitore di numerosi premi, fra cui l’Imperial Prize, e che ha espresso la necessità di un’inversione di rotta: “È tempo di costruire sul costruito, di riqualificare l'esistente, di non consumare più suolo. C'è un motto valido per l'Europa: a Genova non si spreca niente”.
L’invito dell’architetto italiano è di frenare l’espansione cementizia, generatrice di sole esplosioni, e di ritornare alle implosioni che derivano dal 'costruire sul costruito', secondo la formula impiegata da Piano: “L'esplosione delle città è già avvenuta nel Dopoguerra. Siamo nel secolo nuovo, è evidente che non si può continuare a costruire nuove periferie, spesso desolate e con costi sociali enormi. Bisogna smetterla con la tendenza di costruire sul mare.
Certamente lo sviluppo del porto va salvaguardato, ma ci sono due modi di far crescere una città: il primo è sostenibile, cioè per implosione, costruendo sul costruito, il secondo è insostenibile, per esplosione. Lo sviluppo delle città per implosione è l'unico modo per evitare di costruire nuove periferie, che sono la scommessa del futuro. O riusciamo a trasformare le periferie in luoghi europei o sarà un disastro".
Ma 'costruire sul costruito' non significa necessariamente ristrutturare o avallare progetti 'sostenibili': in quella maniera si possono, per esempio, anche edificare grattacieli o torri albergo. Non evocano le implosioni le proposte lanciate, invece, poco tempo fa dal Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio, costituitosi il 29 Ottobre scorso. Il Forum ha lanciato la campagna Salviamo la campagna, difendiamo i territori per denunciare il continuo aumento del consumo di territorio e chiedere misure concrete di ristrutturazione e recupero delle aree sfitte o abbandonate.
Vale ancora la pena ricordare che il Prof. Roberto Mazza, portavoce del nodo di La Spezia del Movimento Stop al Consumo di Territorio, denunciava a Marzo che: “È sufficiente attraversare la Liguria in autostrada per accorgersi con facilità del degrado e dei danni arrecati al paesaggio, è visibile ad occhio nudo a partire dalla Val di Magra, con i suoi capannoni sfitti, i containers accatastati da decenni, l’eccesso di centri commerciali, e le varianti che assediano e soffocano i centri storici.
Un consumo di territorio irragionevole, sia per le modeste proporzioni delle nostre aree che per lo scopo di tale consumo. Non insediamenti produttivi, industrie, manifatture creative, centri innovativi o tecnologie d’avanguardia che prevedano nuovo lavoro, impiego di manodopera specializzata, sviluppo economico, ma case sfitte, attività commerciali al tracollo, autosaloni ovunque, zone industriali dismesse, nuovi capannoni in vendita, strade intasate dalle auto.
E poi case e casette disseminate ovunque, lungo i fiumi, sotto strada, nelle colline, da Lerici fino a Imperia. All’origine di tutto ciò recenti varianti e cambiamenti di destinazione d’uso di fabbricati, di aree, di piccoli terreni privati. Nessun cittadino comune riesce a controllare in tempo reale ciò che accade. È sempre troppo tardi. Una casa raddoppia, nasce un nuovo villaggio, si recinta un terreno dove sorgerà un nuovo insediamento commerciale, si progettano distese di casette, nuovi ipermercati, villettopoli, ‘parkland’.
Che fanno i tecnici? Asserviti alla politica assecondano le impellenti esigenze dei comuni di far cassa con gli oneri di urbanizzazione, e trovano soluzioni.
Disquisiscono sulla tonalità di una facciata e accettano poi di demolire un edificio storico, impongono un tetto a falda ad un privato e legittimano un palazzo-cubo a ponte”.
La denuncia del professore ha sollevato in primavera la polemica sui giornali locali liguri, ma i fatti attestano che urge aprire una discussione efficace, fare un’informazione più precisa e diffondere un tipo di cultura più attenta verso l’ambiente, verso i rapporti di equilibrio e, soprattutto, cauta nella pianificazione.
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