di
Andrea Degl'Innocenti
17-04-2012
La presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha annunciato la nazionalizzazione della filiale della Repsol, che rappresenta un terzo del fatturato della multinazionale spagnola. Dietro alla decisione si cela sicuramente la volontà di sfruttare il petrolio per incentivare la crescita. Il fatto che sia proprio lo Stato a prendere in mano le redini aprirà spazio al cambiamento?
Proprio nel giorno in cui Jorge Rafael Videla, il generale argentino che salì al potere con un colpo di stato nel 1976, ammette le stragi della dittatura militare in una lunga intervista, l'attuale presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner ha annunciato la nazionalizzazione della filiale argentina della spagnola Repsol, che gestisce il petrolio del paese.
Videla, attualmente in carcere, ha confessato le circa ottomila vittime del regime, fra cui anche bambini, che non potendo essere fucilate alla luce del sole per via delle proteste mondiali, venivano rapite ed uccise in segreto, diventando desaparecidos. I corpi venivano fatti sparire, gettandoli in mare, o sotterrati in posti segreti, o ancora bruciati in un forno o con le gomme delle automobili.
Con la sua confessione il generale fa emergere il lato più violento della controrivoluzione che colpì molti stati dell'America Latina negli anni Settanta, guidata dagli Stati Uniti e fondata, oltre che sulla violenza, su una imprescindibile visione neoliberista del mondo e dell'economia, che portò gli stati sudamericani a disfarsi progressivamente di tutti i propri possedimenti a favore di privati.
Dunque ha una forte valenza simbolica che la confessione del generale arrivi lo stesso giorno in cui invece la attuale presidente argentina segna l'ennesimo passaggio verso un'economia del tutto diversa, in cui lo stato si prende cura in prima persona delle proprie risorse e del benessere dei propri cittadini.
Poco dopo il discorso televisivo con cui la Kirchner annunciava l'esproprio, alcuni funzionari del governo argentino, guidati dal ministro per la pianificazione Julio de Vido,hanno fatto irruzione nei locali della società petrolifera Repsol, preso possesso della sede ed espulso tutti i dirigenti spagnoli presenti. La succursale argentina è una delle più produttive in assoluto, e con i suoi 472mila barili giornalieri rappresenta da sola un terzo del fatturato della Repsol.
Adesso il controllo passerà allo Stato, che la possiede per il 51 per cento, mentre il restante 49 verrà suddiviso fra i vari governatori delle regioni argentine produttrici di greggio. Nel difendere la propria decisione la Kirchner ha affermato che "il petrolio è un interesse pubblico strategico e prioritario" e dunque non può essere affidato a mani straniere. La presidente ha poi attaccato la Repsol, rea di non aver rispettato gli accordi e di non aver effettuato gli investimenti necessari sulle infrastrutture.
Dietro alla decisione, secondo fonti vicine al governo riportate da alcuni quotidiani argentini, sottosterebbero, oltre al generale ritorno verso una economia più pianificata, altri due fattori. Da un lato il peso specifico sempre maggiore occupato nella formazione governativa dal gruppo “La Campora”, ispirato alla sinistra anticapitalista degli anni Settanta. Dall'altro il maggior fabbisogno di energia per sostenere la crescita economica dell'Argentina, e la scoperta – ancora da confermare – di nuovi giacimenti petroliferi per 22 miliardi di barili nell'area andina di Vaca Muerta.
Ora, è evidente che alla decisione argentina di riappropriarsi delle risorse petrolifere e al sempre maggior fabbisogno di energia sottende lo stesso, perverso, meccanismo di crescita infinita e di sfruttamento delle risorse esauribili del pianeta – per di più inquinanti – che troviamo ormai in tutte le società cosiddette sviluppate. Ma che sia lo Stato – e uno Stato molto rappresentativo della propria cittadinanza come quello argentino - a prendere in mano la situazione, apre almeno qualche spiraglio di speranza per il prossimo futuro. Infatti, quanto più si farà strada fra i cittadini l'esigenza di un cambiamento ancora più radicale di quello in atto, tanto più lo Stato sarà tenuto a muoversi nella nuova direzione. Laddove invece sono i mercati a comandare i giochi, non c'è nessuno disposto a tutelare la volontà popolare: i referendum sull'acqua nostrani ne sono l'esempio più lampante.
A rimetterci, dal punto di vista economico, nella faccenda argentina sarà sicuramente la Spagna, che ha ricevuto la notizia dell'esproprio della propria azienda in un momento critico, con il differenziale fra i titoli iberici e i Bund tedeschi che sfiora i 460 punti. E tremano anche le aziende italiane, Tenaris e Telecom su tutte. La prima ha una partecipazione importante all'interno di Telecom Argentina, per la seconda il paese rappresenta il 18 per cento della capacità installata.
Ma tant'è. È il prezzo da pagare per la differenza che corre fra una nazione libera ed una schiava. L'America Latina si sta riprendendo, pezzo dopo pezzo, quello che fu costretta a cedere anni fa. Noi, l'Europa, siamo la nuova America Latina, schiavi dei mercati e dei poteri forti della finanza. Con la differenza che mentre laggiù, negli anni Settanta, dovettero imporre le riforme con la forza, instaurando sanguinarie dittature, qua lo stanno facendo col nostro tacito consenso.
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