“È un uomo che gioca, e glielo dicono – forse con un accento di rimprovero - anche i suoi confratelli. Gli piace quello che fa, e se non hai fretta ti porta a vederlo”. Daniela Mazzoli ci parla di Don Paolo, un francescano che vive a Spello.
Don Paolo è un francescano, ha 82 anni e non riesci a vederlo bene in faccia perché il peso degli anni e qualche problema di salute hanno curvato il suo breve corpo. Parla come pronunciando un rosario, timidamente e così in fretta che non puoi cogliere tutte le parole. Don Paolo vive a Spello, accende e spegne le luci della piccola chiesa di Sant’Andrea, sul corso principale. Quando non può spegnerle lui, prega fiducioso che lo facciano i visitatori rimasti ad ammirare l’altare o gli affreschi sulle pareti. Non pensa che sia imprudente o sbagliato, che qualcuno possa portare via qualcosa o danneggiarla.
Sant’Andrea è una chiesa con volte a crociera, piccola, semplice, costruita di penombra. In un angolo buio accanto all’uscita c’è un marinaio aggrappato all’àncora, che ‘rappresenta la condizione esistenziale’. Il marinaio e l’àncora sono composti di fiori incollati sul legno. In sagrestia di opere così ce ne sono altre cinque o sei, e in tutto saranno una ventina, a grandezza naturale e ricche di minuscoli, perfetti dettagli: alberi con fiori e farfalle, ramarri e uccelli che celebrano la natura parlante, un gallo che rivendica le proprie dimensioni di fronte a un passero fragile e però in grado di volare, una meridiana che simbolizza l’uomo illuminato dal Sole.
E poi c’è Cristo e la Madonna: ‘quelli - dice Don Paolo - sono la mia televisione’. In fila sul vecchio mobile scuro che conserva ostie e vesti sacre, decine di barattoli con petali essiccati di vari colori. Dopo l’infiorata, che una volta l’anno ricopre un chilometro e mezzo di via nel paese, raccomanda allo spazzino di portargli certi fiori che gli servono, sottraendoli al marciume e all’immondizia e conservandoli per le sue creazioni. Le frasi in calce le prende dai libri, dal calendario, le raccoglie da dove arrivano -quelle che lo colpiscono- e poi le ‘illustra’.
L’assemblaggio, dal tamburo del legno all’intaglio delle sagome, dalla distribuzione dei fiori all’opera paziente di attaccamento, lo fa con le sue mani. Con gli avanzi della festa consumata, parole prese in prestito e l’entusiasmo di trovare immagini per tradurre il prossimo monito inventa un mondo. Non è un misantropo né un incompreso.
È un uomo che gioca, e glielo dicono –forse con un accento di rimprovero- anche i suoi confratelli. Gli piace quello che fa, e se non hai fretta ti porta a vederlo. Qualcuno ha proposto di allestire una mostra delle sue statue di legno e fiori. ‘Ma a quello ci penseranno i superiori’ dice veloce, prima di scapparsene ai vespri, verso un'altra forma di preghiera.
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