I cambiamenti climatici che colpiscono l'Artico, oltre a provocare conseguenze ambientali drammatiche, rischiano di alterare lo scenario geopolitico compromettendo i rapporti tra i paesi circumpolari. Lo scioglimento dei ghiacci apre infatti la strada ad una corsa allo sfruttamento di una delle zone più ricche di riserve petrolifere e giacimenti di gas e metalli. Ora la Nato cerca di preservare gli equilibri politici.
Gli effetti del cambiamento climatico sono più che mai visibili tra i ghiacci dell'Artico, ormai in diminuzione, sempre più sottili e meno resistenti. Anche quest'anno, infatti, sarà ricordato tra i record negativi insieme al 2007 e al 2008, in cui si arrivò ai minimi storici per presenza ed estensione di banchisa polare. Ma al di là di rischi ambientali ormai concreti e certi che le associazioni ambientaliste continuano a prevedere, potrebbero anche aumentare le possibili tensioni tra i paesi interessati allo sfruttamento di risorse che adesso, data la minore presenza di ghiaccio, sarebbero più a portata di mano.
Il fondale marino polare potrebbe contenere il 25% di riserve petrolifere mondiali e giacimenti di gas e metalli, un'allettante bottino per tutti quei paesi interessati ad avviarsi verso politiche di un certo tipo, come dimostrano, ad esempio, i test continui della marina militare russa che ha appena concluso le valutazioni di un nuovo sottomarino strategico lo 'Yury Dolgoruky', che lancerà il suo primo missile balistico Bulava a Dicembre nel Mar Bianco. Come se non bastasse, la Russia ha fornito nuove licenze, a Gazprom e Rosneft, per consentire lo sfruttamento di idrocarburi nel mare di Kara e di Barents. La Norvegia, invece, ha stanziato 1,2 milioni di euro per uno studio sull'impatto ambientale relativo allo sfruttamento dei fondali intorno alle isole di Jan Mayen.
I mari polari sono trafficati anche da carghi carichi di materiale radioattivo, afferma la fondazione norvegese per l'ambiente Bellona, che abbandonano la cortina di sicurezza del porto di Gydnia in Polonia e circumnavigano la Norvegia fino al porto di Murmansk - praticamente invisibili ai controlli radar norvegesi (a causa della loro stazza) - affrontando mari ostili e fornendo potenziali bersagli di attacchi (o sequestri) terroristici.
La paura di una crescente instabilità tra i paesi circumpolari ha spinto la NATO, all'interno del Programma Scienza per la Pace e la Sicurezza, a convocare un pool scelto tra scienziati, politici, strateghi presso lo Scott Polar Research Institute (SPRI, Cambridge), che insieme a rappresentanti delle popolazioni indigene polari, di organizzazioni ambientaliste e di multinazionali del petrolio (Shell international) hanno discusso sulla sicurezza ambientale del mar Artico durante un incontro che si è concluso venerdì scorso.
"Stiamo facendo il possibile per trovare un equilibrio tra interessi delle singole nazioni e quelli globali" ha dichiarato Paul Berkmann, direttore del Programma di Geopolitica dell'Artico presso lo SPRI.
Come ha dichiarato l'ammiraglio James Stadyris, comandante supremo alleato in Europa: "fino ad ora le dispute sono state gestite pacificamente, ma nei prossimi anni il cambiamento climatico potrebbe alterare questo equilibrio e innescare una corsa allo sfruttamento delle risorse naturali, che saranno più accessibili".
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