di
Romina Arena
18-01-2011
Dopo 25 anni di esilio dorato in Francia, Jean-Claude Duvalier, detto Baby Doc, rientra ad Haiti come un cittadino qualunque, sebbene sul suo capo pendano gravi accuse di omicidio, malversazioni e crimini contro l’umanità. Quando un Paese è allo sbando e gli assetti politici sono deboli quanto l’intera struttura sociale, per gli approfittatori e gli sciacalli si presentano tutte le condizioni per spiegare i propri piani di riacquisizione del potere.
Dopo il terremoto, dopo il colera, dopo i morti che non si sa più dove metterli ad Haiti, quando le disgrazie non arrivano mai da sole, ritorna Baby Doc, Jean-Claude Duvalier. L’ex dittatore, in esilio da 25 anni, rientra a Port-au-Prince nonostante su di lui penda l’accusa di aver ucciso migliaia di suoi connazionali e di essersi intascato, rubandole, ingenti somme appartenenti allo Stato ed agli haitiani.
Quando un Paese è allo sbando e gli assetti politici sono deboli quanto l’intera struttura sociale, per gli approfittatori e gli sciacalli si presentano tutte le condizioni ottimali per spiegare i propri piani di riacquisizione del potere. Questo è quello che a tutta prima si può leggere, interpretandolo, nel rientro trionfale di Duvalier che non ha perso tempo a spiegare le proprie ragioni, condendole di un fastidioso pietismo: “So quanto la mia gente soffre, voglio dar loro la mia solidarietà e rendermi disponibile a partecipare alla rinascita di Haiti”. Sempre ammesso che i ricchi (e gli arricchiti) riescano a comprendere davvero le sofferenze dei poveri.
La presenza di Duvalier rischia di appesantire un clima già di per sé difficilmente sostenibile e suona come una sorta di sfida aperta mossa contro gli stentorei tentativi di stabilire un certo equilibrio politico alla guida del Paese. In questi giorni gli haitiani sarebbero dovuti tornare alle urne per il ballottaggio che avrebbe determinato il successore di Preval, ma il secondo turno è saltato a febbraio per la necessità di contare nuovamente i voti dello scrutinio di novembre, sul quale pesa un grave dubbio di brogli e corruzione.
La figura dei Duvalier (padre e figlio) è legata ad uno dei periodi più oscuri della storia haitiana.
Papa Doc, François Duvalier, dal momento della sua elezione nel 1956 impiantò una vera e propria macchina del terrore eufemisticamente chiamata “volontari per la sicurezza nazionale” sotto la scure dei quali finì i suoi giorni anche l’agronomo Jean Dominique, che dai microfoni della sua radio denunciava apertamente la depredazione sfacciata operata dai Duvalier.
Il grimaldello dei volontari che mettono a ferro e fuoco tutta Haiti funge da apripista alle manovre spudorate della famiglia Duvalier che si arricchisce senza ritegno alle spalle del resto della popolazione ridotta alla fame.
Dopo 15 anni Papa Doc muore lasciando campo libero ed il titolo di Presidente a vita a suo figlio Jean-Claude, imberbe diciannovenne che tiene il Paese con lo stesso pugno di ferro che fu del padre. Ma Baby Doc non ha lo stesso carisma di Papa Doc e nel 1986 viene rovesciato da una rivolta popolare. Costretto a scappare, ripara in Francia dove scialacquerà tutti i soldi indebitamente sottratti alle casse dello Stato (tra il padre ed il figlio si stima che abbiano rubato un patrimonio di diverse centinaia di milioni di dollari, molti dei quali ancora bloccati nei conti svizzeri intestati alla famiglia).
Oggi, come se nessuna macchia corrompesse la moralità sua e della sua famiglia, Baby Doc rientra ad Haiti accolto da uno sparuto manipolo di sostenitori incurante delle terribili accuse che pendono sulla sua testa (omicidio, crimini contro l’umanità e malversazioni).
Del resto le stesse parole del Primo Ministro Jean-Max Bellerive sembrano avallare impunemente questo rientro dal momento che, secondo quest’ultimo, Duvalier è un cittadino haitiano e pertanto ha il diritto di ritornare a casa. Una casa che ha depredato a man bassa seguendo il truculento esempio di suo padre, sotto la sanguinaria protezione di quelli che gli haitiani chiamavano Tonton Macoute (uomo nero).
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