Poche settimane fa, il 5 di maggio, è nevicato sulle colline dell'Oltrepò Pavese, sulle Prealpi, sull'Appennino del centro-nord. I giornali e i media in genere ne hanno dato notizia come se si trattasse di un fenomeno curioso, tipo un coccodrillo sull'autostrada o un UFO fotografato da dieci persone. L'importante è non allarmare, non sia mai che l'umano medio ricominci a pensare e farsi qualche domanda, il che potrebbe portare a una conseguenza sconvolgente e destabilizzante (per il potere criminal-economico che ormai domina il mondo), cioè quella che una parte almeno dei suddetti umani ricominci a capire qualcosa del mondo, di ciò che ha valore (tipo sopravvivenza, salute e affetti), di ciò che non ne ha e che danneggia e distrugge (tipo macchina di lusso, moto di grossa cilindrata, vacanza in crociera, corsa a guadagnare e spendere sempre di più). Questo potrebbe poi essere l'inizio di una catastrofe indicibile: la diminuzione dei consumi. Il vero terrore del suddetto demente potere criminal-economico.
Quello che i media in genere non vi hanno fatto notare, a proposito della nevicata del 5 maggio, è che in maggio sul nostro pianeta e alle nostre latitudini tutte le piante sono uscite dal "letargo", stanno vegetando, hanno messo nuove foglie tenerelle, la linfa circola in tutto il loro organismo. Faggi, castagni, ciliegi selvatici e domestici, carpini e frassini, pioppi e ontani, gli alberi di appennini e prealpi sono belli svegli e pieni di vita. E una nevicata su quelle foglie, se non significa morte certa, significa quantomeno malattia sicura. Questo, l'ammalarsi, indebolirsi, perire degli alberi, è una delle conseguenze del cambiamento climatico che innesca un aumento ulteriore dello stesso: altri polmoni che non assorbiranno più l'anidride carbonica.
Ci sono poi molte altre cose che riguardano la nostra sopravvivenza e quella dei nostri figli, che i media "nella corrente" (mainstream) non vi fanno notare, a volte proprio non ve le fanno sapere.
Per esempio, non sapete probabilmente che tra il 1999 e il 2016 la Francia del Sud Ovest è stata colpita da tempeste di vento e pioggia apocalittiche. Venti tra i 140 e i 200 chilometri l'ora hanno scoperchiato migliaia di case, abbattuto come stuzzicadenti i tralicci dell'alta tensione, spianato 300.000 ettari (ettari!) di foreste, sommerso paesi e campi. Nella prima di queste tempeste sono morte 83 persone. L'ultima tempesta di questo genere, nella notte del 27 febbraio 2010, ha fatto registrare venti fino a 240 chilometri orari nei Pirenei, ucciso 47 persone, sommerso il litorale Atlantico. Ma non finisce qui. Nell'inverno 2013-2014 trenta tempeste con piogge torrenziali colpiscono la regione; il Servizio Metereologico Nazionale rileva che le tempeste sono il doppio del normale, con piogge fino a tre volte superiori alla media. In un mese e mezzo l'oceano in tempesta porta via 20 metri di litorale in profondità, distruggendo edifici e strade.
Forse vi è sfuggito o ve ne siete dimenticati (i media nella corrente non hanno fatto nulla per ricordarvelo) che in Sudafrica, nel febbraio 2018 il governo ha dichiarato lo stato di calamità perché, dopo tre anni di siccità, non c'era più acqua nelle zone occidentali e meridionali del paese. Città del Capo, con quattro milioni di abitanti, aveva razionato l'acqua, concedendo un consumo massimo di 50 litri al giorno a testa e prevedeva di non erogare più acqua del tutto entro i primi di giugno. Poi qualche pioggia ha salvato i rubinetti degli abitanti della città ma, naturalmente, non ha salvato i raccolti ormai andati alla malora, e con essi le piante e gli animali selvatici. Particolari ininfluenti per i media nella corrente e i loro padroni.
Chissà se qualcuno vi ha detto che la Gran Bretagna sta spendendo miliardi di sterline da decenni per costruire barriere che proteggano le città della costa dalle tempeste e dalle tempestose maree sempre più distruttive. E che, visto che le minacce del cambiamento climatico diventano ogni giorno più minacciose e se la ridono delle barriere di acciaio costate un occhio della testa (ma qualcuno ci ha guadagnato e crede che i soldi lo mettano al riparo da qualsiasi minaccia climatica, povero stupido), il governo britannico pubblica per i propri cittadini una mappa di tutte le zone a rischio con le istruzioni in caso di inondazione, considera che entro il 2021 le inondazioni saranno la maggiore minaccia per il paese e, udite udite!, comincia a ventilare lo spostamento delle popolazioni dalle coste.
Pochi mesi fa, e precisamente a fine ottobre 2018, le regioni montuose del Veneto, del Friuli, e anche le Prealpi lombarde, sono state flagellate da una tempesta di vento e pioggia che non sarebbe sbagliato chiamare uragano, dato che i venti hanno raggiunto le velocità tipiche per l'appunto degli uragani: fino a 200 chilometri l'ora. Le piogge torrenziali hanno provocato frane, allagamenti, smottamenti, distruggendo strade e paesi, ma sopratutto la violenza del vento, oltre a scoperchiare case e abbattere linee elettriche, ha letteralmente spianato migliaia di ettari di foreste alpine e prealpine. Si calcola che siano stati abbattuti tra i13 e i 14 milioni di alberi. E ricordiamoci che le foreste non sono solo alberi ma abitanti alati e a quattro zampe che vengono distrutti con i loro habitat. Nel giro di due settimane di pioggia inusuale e venti fortissimi che hanno colpito poi tutta la penisola, abbiamo avuto 37 morti e danni di ogni genere.
Dall'agosto 2018 fino al novembre 2018 la California ha continuato a bruciare senza tregua o remissione (già dimenticato?). Perché in un secolo le temperature della California sono aumentate di 2-3 gradi e le piogge sono costantemente diminuite. Anche grazie alle piscine, ai campi da golf, ai viaggi aerei e ai macchinoni dei californiani. Gli incendi hanno provocato 88 morti e centinaia di dispersi (mai abbiamo saputo la sorte di questi ultimi, perché i media nella corrente hanno smesso di parlare della catastrofe appena è stato possibile). Limitiamoci dunque agli 88 morti, a più di 300.000 sfollati, centinaia di migliaia di case, negozi, fabbriche distrutte. Con il fuoco che è arrivato fino a Los Angeles e una nube di fumo e cenere che impediva agli abitanti di respirare. Paradise, una città di 26.000 abitanti, completamente distrutta. Foreste e campi inceneriti: 766.000 ettari di foreste bruciati nel 2018. Per due settimane l'aria in tutta la California del nord, compresa San Francisco, è stata irrespirabile. Ma, naturalmente, hanno dovuto respirarla lo stesso, e non gli avrà fatto bene.
Nel marzo 2019 il ciclone Idai ha colpito Mozambico, Zimbabwe e Malawi (davvero insoliti i cicloni in queste zone dell'Africa, almeno prima del cambiamento climatico) facendo centinaia di morti, 750 quelli censiti ma nessuno è andato a censire i villaggi lontani dalle strade carrozzabili. Ci sono state piogge torrenziali con venti a 170 chilometri orari, inondazioni e tempesta hanno spazzato via case, strade, ponti; hanno distrutto i raccolti che ancora non aveva distrutto la siccità dei mesi precedenti, ucciso il bestiame. E gli animali selvatici, ovviamente. Solo in Malawi 200.000 persone sono rimaste senza casa né terra. Un mese dopo un nuovo ciclone ha colpito le stesse zone, 38 morti e 15.000 sfollati. Nello stesso periodo, in Kenia, la siccità e le alte temperature distruggevano agricoltura e allevamento, mancava l'acqua anche per le persone.
Nell'anno 2018 in decine di luoghi di questo pianeta grandinate spaventose, con palle di ghiaccio di dimensioni mai viste, hanno distrutto la vegetazione, anche quella arborea, ucciso persone e animali, danneggiato case. E' successo in Asia, negli Stati Uniti, in Australia...
Il 21 maggio 2019 in Spagna nevicava in zone collinari.
In compenso, nell'aprile 2019, la steppa siberiana bruciava senza controllo, a causa della siccità (davvero inusuale in aprile) e dei forti venti. Il fuoco divampava intorno a più di venti città, ha ferito 38 persone, ucciso 12.000 tra pecore, mucche, cavalli. Gli animali selvatici, ovviamente, nessuno li conta.
Questo è solo un minimo, parziale elenco, delle conseguenze del cambiamento climatico. Solo pochi esempi di morte, rovina e distruzione che l'aumento del PIL, dello Sviluppo, della ricchezza, dell'industria e del commercio, vere divinità sanguinarie del nostro tempo, stanno rovesciando sui propri stessi fedeli.
Eppure, quando guardo i giornali, mi capita di stropicciarmi gli occhi come chi vuole svegliarsi da un incubo. Politici e media, Confindustria e sindacati vogliono la crescita, si preoccupano perché non cresce abbastanza, deplorano e si allarmano perché non si produceconsumavende abbastanza. Desiderano con tutto il cuore (cuore?) che continui e aumenti la guerra senza quartiere che stiamo facendo al pianeta e alla vita, e che ormai miete milioni di vittime in tutto il mondo.
Tutti coloro che in California, Francia, Inghilterra, Italia hanno subito i disastri che ho elencato, probabilmente, essendo abitanti attuali dei paesi ricchi, facevano quello che fanno le masse dei paesi ricchi: s'ingegnavano, lavoravano, si arrabattavano, speculavano per fare soldi e sempre più soldi, e poi spendevano sempre più per ostentare quello che tutto l'ingegnarsi e arrabattarsi e speculare aveva concesso loro: stracci firmati, viaggi in luoghi sempre più lontani, auto e moto sempre più grandi, cioè quella che chiamiamo ricchezza. Mi domando cosa abbiano fatto dopo, quelli sopravvissuti. Se vedere la morte in faccia avrà permesso loro di comprendere la realtà. Se trovarsi con la casa scoperchiata, l'automobile sommersa, la foresta incenerita, gli abbia fatto aprire gli occhi sulla sostanza effimera di quella ricchezza che ci sta rendendo tutti sempre più poveri. Poveri e miserabili in ciò che davvero arricchisce: cibo sano, acqua e aria pulita, una vita piena di affetti e sapienza, collaborazione e simpatia da parte dei nostri simili.
Chissà se gli abitanti delle Alpi venete, mentre il tetto della loro casa volava via, pensavano a come guadagnare più soldi o capivano la vastità del disastro che abbiamo provocato con il nostro stile di vita? Chissà se i francesi, che vedevano crollare come fuscelli i tralicci dell'alta tensione e le onde del mare superare i tetti delle case, pensavano a far soldi e a spenderli o pregavano qualche dio diverso da quello dei soldi, a cui sacrifichiamo tutti i giorni l'avvenire dei nostri figli? Chissà se gli australiani e gli statunitensi che vedevano le palle di grandine abbattere uccelli massacrati, stroncare i rami degli alberi, ferire e uccidere animali terrorizzati, piangevano per l'enormità dei propri peccati e per le loro conseguenze o si preoccupavano solo dell'automobile distrutta e del tetto danneggiato?
Sicuramente, se si trattava di giornalisti nella corrente, di gran parte degli uomini politici, di dirigenti e funzionari delle compagnie e finanziarie multinazionali, si saranno preoccupati della loro automobile ma non più di tanto, perché in ogni caso gli paghiamo noi l'automobile nuova. Quanto agli ultimi sopraddetti, avranno immediatamente arzigogolato su come approfittare del disastro per aumentare i profitti della propria azienda o finanziaria globale. Sfregandosi le mani e con quel lampo negli occhi che contraddistingue e smaschera gli psicopatici pericolosi.