La mancanza di prove certe circa la fonte di contaminazione da Escherichia coli ha creato un'enorme confusione nel mondo della comunicazione e determinato forti ripercussioni sul settore del biologico. Roberto Burdese, Presidente Slow Food, fa il punto sull'ultima epidemia che ha spaventato l'Europa.
Il susseguirsi di notizie degli ultimi giorni sulla contaminazione da Escherichia coli che ha colpito diversi Paesi europei mostra ancora una volta che allo stato attuale non esistono risposte certe che possano dire dove si è originata l'epidemia.
In questo frangente, inoltre, non può passare inosservata la confusione che predomina anche nel mondo della comunicazione. Preoccupa la leggerezza con cui quasi ogni giorno vengono pubblicate nuove accuse in totale assenza di prove certe che attribuiscano la responsabilità a un determinato soggetto.
Ancora non si conosce la causa di questa epidemia, ma non si può pensare sia stata una casualità. Una causa c'è e sarebbe importante riuscire a trovarla, non solo per fare chiarezza verso chi è stato ingiustamente accusato ed evitare che altri subiscano lo stesso trattamento, ma anche per evitare in futuro di ripetere un errore che al momento è costato la vita a 22 persone e milioni di euro di danni ad agricoltori e produttori.
Imputare al mondo del biologico la responsabilità delle epidemie da E. coli è, nella migliore delle ipotesi, indice di superficialità e ha forti ripercussioni su un settore, quello dell'agricoltura più attenta all'ambiente e alla salute, spesso opera di piccoli e medi imprenditori che mai come oggi sono in difficoltà. Così come sono stati analizzati nel dettaglio i passaggi produttivi del mercato biologico, varrebbe la pena considerare che colonie di E. coli sono comunemente impiegate nei laboratori per clonare frammenti di DNA da inserire all'interno di piante geneticamente modificate.
Nuovi ceppi di E. coli evolvono in modo sostanzialmente imprevedibile per mutazione o per trasferimento genico da un batterio a un altro e alcuni possono sviluppare mutazioni pericolose per l'uomo o per gli animali.
A priori, dunque, non si può escludere la possibilità che una forma mutata di E. coli compaia durante il processo di produzione di una pianta geneticamente modificata e persista in qualche modo fino a quando il prodotto arriva sul mercato. E allora come mai non si guarda anche in questa direzione? Se non ci sono certezze non ci sono per nessuno.
Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia
Fonte: Sloweb