di
Francesco Bevilacqua
03-01-2013
Uno degli spunti più rilevanti offerti dal grande sociologo Zygmunt Bauman riguarda il processo attraverso cui il cittadino moderno sostituisce l’impegno politico con il consumo frenetico. Un’interessante chiave di lettura per analizzare due problemi capitali della nostra società.
Un “consumatore militante”. È questa, secondo il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, la figura predominante che si è delineata nella società postmoderna, rubando la scena al cittadino che poneva in cima alla lista dei suoi interessi la cosa pubblica, la politica intesa come interesse nell’amministrazione della società.
Il pensiero di Bauman è sempre stato caratterizzato da un’attenta analisi critica delle storture generate dall’inarrestabile processo di globalizzazione e, in particolare, del suo effetto sul comportamento delle persone che ne vengono investite. Una delle più celebri definizioni coniate dal pensatore polacco è quella di “società liquida”, un insieme di persone che, nell’era che succede alla modernità, non trova pace e come uno “sciame inquieto” si evolve in continuazione, si trasforma, cambia idea, inseguendo disperatamente dei modelli predefiniti che in qualche modo realizzano l’individuo e gli permettono di identificarsi in un gruppo – “branco”, secondo l’accezione di Bauman, o “tribù postmoderna”, per dirla alla Maffesoli.
Questi modelli sono relativi al comportamento di ciascuno di noi, al ruolo che giochiamo all’interno della società, e si esprimono attraverso il consumo: consumando, aderendo a una moda piuttosto che a un’altra, comunichiamo agli altri chi siamo. Attenzione però: la scelta è libera solo in apparenza. Per prima cosa, non possiamo astenerci dall’indicare una preferenza; possiamo farlo fra diverse opzioni, ma siamo costretti a scegliere. Inoltre, le differenze fra tali opzioni sono spesso superficiali e, di fatto, ci riconducono sempre a una stessa matrice. Già da queste brevi considerazioni emerge quindi che la libertà di cui crediamo di godere al giorno d’oggi è in realtà molto più limitata di quanto possa sembrare.
Addirittura – come suggerisce lo studioso francese Pascal Lardellier, che lo stesso Bauman chiama in causa –, la logica del consumo si estende a tutte le sfere della vita della persona, sconfinando persino in quella sentimentale e generando ciò che viene definito “marketing dell’amore”, ovvero la scelta di un partner in base alle sue caratteristiche esteriori e quindi, di riflesso – proprio come avviene quando acquistiamo ed esibiamo un telefonino, un’automobile o un paio di scarpe –, all’immagine che può dare di noi.
Questa immagine è fondamentale, poiché ci colloca all’interno delle aggregazioni sociali sopraccitate – i branchi o le tribù – insieme ad altri individui che condividono con noi determinate caratteristiche. La cosa peggiore che possa accadere è rimanere esclusi da questi gruppi. È il grosso rischio che corrono, per esempio, i poveri, coloro che non possono permettersi di acquistare gli oggetti che contribuiscono a definire il loro stile di consumo e per questo rimangono anonimi. Se ci pensiamo però, nella realtà, questa ipotesi è sempre più rara.
Attraverso il sistema del debito infatti, si è voluto dare l’opportunità di consumare anche a chi non se lo sarebbe potuto permettere, centrando così diversi obiettivi: fornire un’immagine di società del benessere sempre più inclusiva; eliminare potenziali cause di scontento (e quindi di instabilità) attraverso la somministrazione del palliativo rappresentato dall’appagamento materiale; aumentare il volano dei consumi includendo nuovi acquirenti.
L’osservazione forse più interessante però, Bauman la fornisce quando passa ad analizzare la causa che ha innescato la nascita e la proliferazione dell’homo consumens. Il primo passo è stato il progressivo calo d’interesse che ha caratterizzato una cittadinanza che, dal dopoguerra a oggi – soprattutto in Italia – è stata allevata con il mito della democrazia. I dati di oggi evidenziano come la partecipazione al processo amministrativo della cosa pubblica sia in calo verticale: affluenze sempre più risicate, ignoranza politica ampliamente diffusa, spostamento del dibattito su temi di scarsi interesse e importanza.
Sono questi i frutti che – era inevitabile – hanno generato i semi piantati in decenni di democrazia delegata. Ed è questa la morte dell’homo politicus, colui che, al di là del potere decisionale effettivamente esercitato, partecipava comunque con interesse alla vita politica del proprio paese. In questo modo, forniva anche un’immagine di se stesso alla società e trovava una sua collocazione all’interno di essa. Venuto meno l’impegno politico e sbiaditi i colori che identificavano le diverse categorie, i cittadini trasparenti hanno cominciato ad affidarsi all’acquisto e all’ostentazione di oggetti per definire la propria immagine e il proprio ruolo. Da militanti politici si sono trasformati in militanti consumisti.
Secondo Bauman, è possibile individuare con precisione almeno un paio di aspetti caratteristici di questo processo. Il primo è la graduale alienazione del potere politico e della sovranità dalle mani dello Stato centralizzato. Gli organismi sovranazionali che oggi determinano la linea politica e quella economica hanno svuotato i Governi nazionali della loro autonomia, allontanando in maniera decisiva il processo decisionale dai cittadini, i quali hanno smesso di interessarsi a esso.
Parallelamente, hanno cominciato ad acquisire sempre più potere – non solo economico ma anche politico, sociale e culturale – i rappresentanti del mondo commerciale, produttivo e finanziario: le multinazionali, gli istituti bancari, i fondi d’investimento, le lobby e i cartelli commerciali, le agenzie di comunicazione e marketing e così via. Essi hanno progressivamente superato le istituzioni nazionali nelle gerarchie, diventando gli interlocutori privilegiati dei nuovi detentori del potere, ovvero gli organismi sovranazionali – per citarne alcuni: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea, Organizzazione Mondiale della Sanità eccetera.
Questi due processi – l’allontanamento della vita politica e la crescita dell’importanza del mercato – hanno fatto sì che il cittadino cominciasse a soddisfare il suo bisogno di trovare un’identità attraverso il consumo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Dal punto di vista politico, troviamo una classe dirigente che è ormai svuotata di tutto: delle competenze, del potere decisionale, del controllo democratico diretto.
Il suo unico ruolo è quello di mantenere lo status quo, presentando una vita politica di bassissimo spessore e quindi di scarso interesse per il cittadino, sempre meno invogliato alla partecipazione. Parallelamente, si interviene sul piano sociale, creando delle alternative all’impegno politico molto più seducenti: mode da seguire, stili da imitare, oggetti da possedere, che non sono più soltanto uno svago ma diventano una necessità a cui provvedere, pena l’esclusione sociale. Un meccanismo allo stesso tempo semplice ma estremamente infido, che già duemila anni fa il poeta romano Giovenale definì con efficacia “panem et circenses”...
Commenti