Si tratta di un'opera di grandissimo valore culturale e sociale. E non perché sia un capolavoro di sceneggiatura, cosa che non credo fosse neanche nelle velleità degli autori, ma proprio perché ribadisce ciò che è veramente importante. Il punto centrale e di forza del documentario è proprio questo. E attraverso interviste, video d'epoca e documenti, tutto tende a dimostrarlo: non c'è niente di nuovo, è tutto già chiaro, evidente e risaputo, già studiato, condiviso, conosciuto, vicino, alle porte della nostra vita tranquilla e indisturbata di consumatori. E' esattamente questo il punto sul quale si vuole portare l'attenzione di chi guarda. E il pubblico obiettivo non era certo quello degli addetti ai lavori, quello dei consapevoli, degli illuminati, degli studiosi, di tutti coloro che negli anni hanno sviluppato una sensibilità ai problemi raccontati nel film.
Ciò che il pubblico è accompagnato per mano a fare, attraverso un Leonardo Di Caprio sinceramente coinvolto, emozionato, meravigliato e profondamente onesto, è entrare in un mondo del tutto sconosciuto ai più (altro che niente di nuovo) per ignoranza, per incapacità, per stanchezza, pigrizia, inconsapevolezza, insensibilità o stupidità, non importa. Sconosciuto non significa che non si sia a conoscenza dei cambiamenti climatici in atto o degli effetti devastanti a breve e lungo termine della deforestazione, degli allevamenti, dei combustibili fossili. Anzi, come no, lo sappiamo bene tutti. Solo che la maggioranza di noi non ha fatto i collegamenti necessari tra i più piccoli e “insignificanti” comportamenti, le quotidiane e minuscole scelte di ogni giorno e quello che stanno provocando in giro per il mondo. Non si sono fatti i collegamenti necessari tra quello che sta succedendo al pianeta in questo momento e le conseguenze che avrà a breve sulla vita, se non forse nostra, sicuramente dei nostri figli e nipoti. E non si tratta di più di venti o trent'anni.
Quindi la domanda è come mai non abbiamo fatto ancora niente, come mai ci siamo ridotti in queste condizioni, come è possibile che l'uomo, capace di intelligenza e sensibilità abbia avuto e continui ad avere comportamenti che portano inevitabilmente, se non si cambia e subito, all'autodistruzione.
Questo è l'obiettivo vero del film: stimolare uno stupore, un'incredulità che deve far male, che deve colpirci profondamente e portarci a riflettere su ogni singolo nostro comportamento e sulle conseguenze che può avere. Leonardo Di Caprio non insegna niente a nessuno, su questo sono d'accordo. E non credo fosse affatto la sua intenzione. Non ha niente da dirci. Infatti fa parlare gli altri. Non pontifica, non è quello che ha capito tutto. Si prende le accuse, da americano, di fare insieme ai suoi connazionali, la parte del leone nell'uso indiscriminato delle risorse, dello spreco come stile di vita, della superficialità con cui si guarda a problemi serissimi come quello dell'energia. E' presente praticamente in ogni scena, sempre in ascolto, attento, intenzionato a far passare il messaggio: sapevamo ma abbiamo fatto finta di niente.
Il film è raccontato in modo delicatissimo, come una sorta di diario personale, iniziando dalle immagini del Trittico del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, appeso nella cameretta di Di Caprio bambino e che illustra in modo inquietante il destino del paradiso terrestre. Poi il viaggio dagli Stati Uniti alle sabbie bituminose canadesi, dai ghiacci ormai sottilissimi dell'Artico a ciò che rimane delle foreste primigenie del Borneo, distrutte per fare spazio alle coltivazioni di Palma da olio, usato in moltissimi prodotti che usiamo ogni giorno. La devastazione è ovunque, vicina più di quanto pensiamo. Le soluzioni ci sono ancora ma si tratta di invertire la rotta e di farlo al più presto.
Before the Flood è un film bellissimo e di cui si sentiva il bisogno come di un'opera di altissimo valore sociale.
Da vedere.