In fondo non ci vogliono menti eccelse o ragionamenti complicati per capire che ammazzarsi di lavoro per la carriera e sacrificare tutto quello che c’è di bello e interessante della vita è una cosa poco sana. Viviamo in un sistema che capovolge i valori e le cose sensate, dove dedicare l’esistenza per avere una posizione o una targhetta fuori dall’ufficio è considerata cosa buona e giusta. Il sistema della crescita ci vende il modello della donna o uomo in carriera come gente realizzata, sorridente, sempre vestita alla moda che passa da un drink all’altro, da un successo all’altro, peccato che spesso dietro a questo teatrino di spreco e ipocrisia ci sono famiglie sfasciate, persone che tirano di coca, che i figli li vedono quando già dormono, allevati da altre persone pagate per farlo, persone che hanno mille problemi, insicurezze e paranoie, che metà dello stipendio lo regalano agli psicologi. Tutta questa fatica e tristezza solo per dire di essere arrivati, dove però, non è dato sapere. Queste persone in carriera che pensano di essere migliori per i soldi che hanno, per la macchina che mostrano, per i titoli che snocciolano, sono alla ricerca di un appagamento che mai arriverà poiché inseguono solo cose effimere e di nessun valore umano. I loro luoghi di lavoro sono campi di battaglia e spesso sono odiati dai colleghi e dai sottoposti perché in lotta fra loro per scalare posizioni in un costante “mors tua vita mea”. Fanno a gara a chi si prostra meglio e più alacremente al capo o ai capi di turno, in un grande e sempre uguale film di Fantozzi a cui partecipano obbedienti.
Una vita del genere con ritmi pazzeschi, ormai perennemente incollati ad uno schermo e con un cellulare incastonato nella testa, non possono che far decidere a sempre più persone: "Adesso basta", come disse il caro Simone Perotti nel suo libro dall’omonimo titolo che fece un successo clamoroso e ancora non cenna a placarsi.
E’ ovvio che prima o poi a determinate conclusioni dovessero arrivarci anche dalle parti dove la sacralità del lavoro non è messa in discussione, cioè a Berlino. Dove comunque non sono stupidi e quindi ecco che un gruppo di ex manager, politici, artisti, stanchi di una vita assurda in cui non c’è mai tempo per nulla, hanno creato il “Centro per il rifiuto della carriera”. Si tratta di un movimento di opinione intellettuale che critica il carrierismo, il capitalismo ma ancora non ha prodotto vere e proprie proposte concrete alternative. Per il momento rifiutano e analizzano, il che è già qualcosa, soprattutto se fatto nel paese in questione.
Per una volta possiamo dirci un passettino più avanti degli ineffabili tedeschi dato che con Pensare come le montagne scritto con Valerio Pignatta, Ufficio di scollocamento scritto assieme a Simone Perotti e con il recente Solo la crisi ci può salvare scritto con Andrea Strozzi, altro obiettore di carriera, si è ormai da tempo delineato un chiarissimo piano di intervento concreto in tutti i campi dell’esistenza, non solo per scollocarsi o dire basta ma anche per dare delle indicazioni pratiche e puntuali su quale sistema può sostituire quello ormai alla deriva. Dire basta è il primo passo, poi si deve iniziare a costruire, a mettere in pratica una società diversa ad ogni livello. A cominciare da quale lavoro fare dopo aver abbandonato il carrierismo, quale energia scegliere, quale cibo, quale medicina, quale mobilità, quale socialità, informazioni, cultura, ecc. I libri sopra citati danno un vademecum completo di tutto ciò, per chi vuole andare oltre il basta.
Di questi argomenti estremamente attuali parleremo assieme in occasione dell’incontro che si terrà domani giovedì 29 a Sarego in provincia di Vicenza alle 20.30 dove sarò presente presso la sala civica in Via Valle 41.
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