L'ultima follia: meno cibo per fare spazio ai biocarburanti

Lo studio lo ha pubblicato Science e ci spiega come i governi stiano prendendo in considerazione la diminuzione della produzione e quindi del consumo di cibo per ridurre i gas serra. Ma attenzione: una tale china si rivela “indispensabile” per poter continuare invece a garantire la produzione di biocarburanti, cioè vegetali da bruciare, coltivandoli su terre sottratte alle colture alimentari. Insomma: per poter continuare a produrre biocarburanti, bisogna che tutto il mondo abbia meno da mangiare.

L'ultima follia: meno cibo per fare spazio ai biocarburanti

Su Science i ricercatori di Princeton hanno spiegato che riducendo la quantità di cibo che le persone e gli animali mangiano, si ridurrà la quantità di anidride carbonica che espirano o eliminano come rifiuto. Quindi, la conclusione è: più che l’efficientamento dei carburanti o dei combustibili, sarà la riduzione del cibo disponibile a permettere la diminuzione delle emissioni di anidride carbonica. Questo almeno quanto i modelli governativi sostengono, quei modelli sui quali si formulano poi politiche e si prendono decisioni. Per i governi è quindi più utile che tutto il mondo abbia meno da mangiare, piuttosto che sottrarre terreni alla produzione di vegetali dai quali ricavare materie prime per la combustione.

«Senza la riduzione del consumo di cibo, tutti i modelli utilizzati continueranno ad attestare che i biocarburanti generano più emissioni della benzina» ha detto Timothy Searchinger, primo firmatario del rapporto e ricercatore alla Woodrow Wilson School of Public and International Affairs and the Program in Science, Technology, and Environmental Policy dell’Università di Princeton. I co-autori sono Robert Edwards e Declan Mulligan del Joint Research Center della Commissione Europea; Ralph Heimlich (Agricultural Conservation Economics); Richard Plevin dell’Università della California-Davis.

Non sarebbe più logico, dunque, smettere di produrre biocarburanti, continuare a ricavare cibo dalla terra e scegliere la strada delle energie veramente rinnovabili e sostenibili? Ma è probabile che ci sia un manipolo di potenti che ha troppo da perdere; meglio che muoia di fame chi già non ha nulla?

Lo studio ha preso in esame tre modelli, americani ed europei, e ha concluso che che tutti e tre attestano come le coltivazioni alimentari eliminate per far posto ai biocarburanti non siano state ripristinate da nessun’altra parte. Dal 20 al 50% delle calorie nette che la produzione di etanolo si è “rubato” non sono state ripristinate, non è stato piantato nulla altrove. Il risultato? Meno cibo disponibile; quando il cibo diminuisce, i prezzi aumentano e a farne le spese sono soprattutto i poveri del mondo.

Ma andiamo a vedere cosa si scopre sulla fantomatica “sostenibilità” dei biocarburanti. Le automobili che vanno ad etanolo emettono meno anidride carbonica, ma questo aspetto positivo è completamente vanificato dal fatto che per produrre etanolo dai cereali occorre energia che solitamente proviene da fonti ad alto tasso di emissione di gas serra. I modelli di studio della Environmental Protection Agency e del California Air Resources Board indicano come l’etanolo ricavato dai cereali produca emissioni lievemente inferiori rispetto alla benzina, ma questa minima riduzione si porta dietro la riduzione della produzione alimentare. Il modello della Commissione Europea stima una riduzione maggiore di emissioni, ma solo perché prevede contemporaneamente la riduzione della quantità e della qualità del cibo consumato, ottenuta attraverso la sostituzione dei cereali con oli e vegetali. «Senza questa riduzione forzata nella qualità e quantità del cibo, il modello europeo stima che l’etanolo ricavato dal grano genera il 46% di emissioni in più rispetto alla benzina e l’etanolo ricavato dal mais addirittura il 68% in più», hanno detto i ricercatori. Il rapporto raccomanda a chi formula tali modelli di rendere i risultati più trasparenti in modo che chi assume decisioni politiche possa valutare se effettivamente intraprendere la strada della riduzione del cibo disponibile per ridurre i gas serra anziché agire su altri fronti.

Si ringrazia l’Università di Princeton sui cui materiali è basata l’informazione.

L’articolo di Science cui si fa riferimento è:

 

T. Searchinger, R. Edwards, D. Mulligan, R. Heimlich, R. Plevin. Do biofuel policies seek to cut emissions by cutting food? Science, 2015

 

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Commenti

si capisce che, alla fine, sarà la popolazione a dover diminuire, come già appare dalla piramide delle età della popolazione italiana
nunzio, 01-04-2015 08:01
Articolo interessante. Mi chiedo (non avendo un abbonamento a Science), quando dite che "non è stato piantato nulla altrove" i modelli usati prendono in considerazione solo il territorio nazionale dove il campo è stato convertito a produzione energetica o a livello mondiale? Come hanno fatto a calcolare questa cosa? Semplicemente perché mi par strano che non si pianti cibo da un'altra parte poiché la richiesta di cibo non mi risulta stia diminuendo, dato l'aumento della popolazione mondiale e la sempre maggiore richiesta di cibo animale (che richiede enormi quantità di terreni per mangimi). Mi viene allora in mente che convertendo un campo in USA o EU a colture energetiche si richieda un'importazione di cibo superiore dall'estero per far fronte alla domanda interna (forse in effetti le popolazioni di USA e EU diminuiscono lievemente, ma questo non lo so), con i consumi conseguenti del trasporto e gli imballaggi... quindi anche per questo produrre biocombustibili ha la lungimiranza di... no, non trovo un paragone così al ribasso. Una lieve idea di questo problema la dà un servizio di Report (rai 3) sui biocombustibili, mi pare di un paio d'anni fa, dove accenna alla speranza nei biocombustibili di seconda generazione (da scarti vegetali). Chiedo: 5° paragrafo, "per produrre etanolo dai cereali occorre energia che solitamente proviene da fonti ad alto tasso di emissione di gas serra", cos'è e quant'è quel "solitamente"? "Alto tasso di emissione" quanto è alto? si intende carbone ovvero petrolio ovvero qualcos'altro? quale processo produttivo prendete a riferimento? uno di fermentazione batterica o uno di conversione sintetica ("artificiale" per capirci)? È evidenziato nell'articolo di Science o nei modelli di studio citati questo aspetto? Vi ringrazio per la pazienza a leggere questa tempesta di domande!
Giacomo Armani, 10-04-2015 12:10
vorrei dire a Giacomo che chiunque può vedere la strana forma della nostra piramide delle età su internet, che somiglia più ad un fungo che ad una piramide. Aggiungo che, dopo la seconda guerra mondiale, la produzione di biogas si è diffusa in ambiente rurale come sottoprodotto di allevamenti bovini destinati alla produzione di latte, carne e lavoro animale, utilizzando il loro letame anche per la produzione di biogas, destinato ad illuminare le abitazioni rurali ancora prive di corrente elettrica. Usare oggi i prodotti agricoli per fare direttamente energia, saltando la fase di allevamento del bestiame, mi ricorda molto il detto romanesco: fare come come gli antichi che mangiavano le cocce e buttavano i fichi.
nunzio, 10-04-2015 11:10

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