Quante volte ci è capitato di buttare via un elettrodomestico perché pensavamo che fosse irrimediabilmente rotto e, anche consultando il servizio di assistenza, ci hanno comunicato che era preferibile comprarlo nuovo piuttosto che aggiustarlo? Troppe volte!
Ormai è diventata prassi comune quella di buttare via invece di riparare. Buttare però ha troppe valenze negative: si inquina, si è costretti a spendere soldi per ricomprare l’oggetto, si utilizzano ulteriori risorse energetiche e materie prime per produrne di nuovi, si perdono occasioni d’oro per dare ad un oggetto ancora una possibilità di tornare a essere utile!
Anche se un oggetto è di un materiale che può essere riciclato si deve tenere conto che riciclare non è “indolore”. Riciclare significa utilizzare mezzi di trasporto molto inquinanti (Camion e TIR che consumano gasolio), significa usare energia per tutte le fasi di lavorazione (trasporto, separazione dei componenti, recupero delle materie prime, produzione dei nuovi componenti, etc.). Riciclare è quindi una “buona prassi” se non ve ne sono di migliori. Aggiustare in questo caso risulta essere una pratica migliore del riciclare. Una pratica “più sostenibile”.
Per quel che mi riguarda, è da quando sono bambino che il mio “istinto” mi porta ad aggiustare tutto ciò che si rompe. Confesso che, in alcuni casi, ero io stesso, per la curiosità di capire il funzionamento di un apparecchio, che arrivavo involontariamente a romperlo. Questo mi dava, ovviamente, la possibilità di “riparare” al danno provocato, aggiustandolo. Mi è anche capitato di non riuscire nell’intento, con mio grande rammarico e quello dei miei genitori che dovevano ricomprare l’oggetto in questione.
Aggiustare un oggetto, spesso, può essere molto più facile di quanto si pensi (o ci facciano credere quelli dell’assistenza)! Con pochi piccoli passi si arriva a rendere l’oggetto funzionante come prima.
A volte, se si tratta di un apparecchio elettrico, (una radio, una lampada, un lettore DVD etc.) potrebbe trattarsi “semplicemente” della rottura di un fusibile, il cui costo non supera i 10 Centesimi, che si trova, più o meno nascosto, all’interno dell’apparecchio. In questi casi è sufficiente aprirlo, sostituire il fusibile, e tutto torna a funzionare come prima! In molti altri casi, come negli aspirapolvere, è il cavo di alimentazione il principale “imputato” del guasto. Basta sostituire, o più semplicemente, rimuovere la parte interrotta del cavo, per aggiustare l’apparecchio.
Se quello che si è rotto è un oggetto meccanico il guasto sarà più facile da individuare (un perno spezzato, un ingranaggio rovinato, una leva piegata, un supporto piegato...) ma, a volte, più difficile da aggiustare. Si può aggiustare il componente, oppure sostituirlo o ricostruirlo. Oggi infatti, con l’avvento delle stampanti 3D è possibile riprodurre la parte guasta e rimpiazzarla. A volte si può eliminare la parte difettosa e rendere il nostro apparecchio funzionante ma con meno funzioni (ad esempio, un frullatore con due velocità di lavoro potrebbe essere riparato ed avere, dopo la riparazione, solo una delle due velocità).
Comunque sia, di fronte ad un oggetto rotto, ormai fuori garanzia e dichiarato “non riparabile” dall’assistenza, un tentativo di riparazione lo si può sempre tentare. Anzi direi che si deve!
Anche perché non c’è nessun rischio che si peggiori la situazione. Prima di produrre ulteriori rifiuti un tentativo va sempre fatto.
A tal proposito, ritengo che ogni persona dovrebbe impegnarsi a “custodire” gli oggetti irriparabili, invece di gettarli in discarica. Sarebbe un gesto di cortesia verso l’ambiente. Un gesto che ridurrebbe di molto i rifiuti che si producono annualmente. Se proprio non si riesce a riparare l’oggetto, si può sempre metterlo a disposizione di altre persone, inserendolo in uno dei tanti siti di annunci di vendita, di oggetti usati. Se una persona ne possiede uno uguale per marca e modello, può contattare il “donatore” e andare a prendere l’oggetto, che gli verrà regalato, per aggiustare il suo. Si creerebbe così un magazzino “virtuale” di oggetti rotti, ma utilizzabili per ripararne altri.
E allora prima di gettare via l’oggetto armiamoci di attrezzi e andiamo alla scoperta del guasto! Sono tre i punti fondamentali dell’arte della riparazione:
1. Definire il sintomo (non si accende; si accende ma non risponde ai comandi; si accende e risponde ai comandi in modo casuale; si accende ma si spegne da solo; etc.). E’ importante che il sintomo si presenti sempre allo stesso modo.
2. Localizzare il componente (meccanico o elettronico) che lo fa funzionare male, o per niente.
3. Decidere la “strategia” di intervento (sostituire un componente rotto; aggiustare il componente; modificare l’oggetto; utilizzare l’oggetto modificato per altri scopi; etc.).
Eccovi ora un esempio dal mio repertorio di “aggiustamenti”
Per il fine settimana ero andato a trovare un amico sui colli bolognesi. Dopo un po’ che chiacchieravo con lui, vedo una lampada da tavolo, di quelle alogene da 12 Volts, buttata a terra in un angolo. Gli chiedo il perché si trovi lì e lui mi risponde che si è rotta e che la deve buttare. “Buttare???” No, non lo permetterò (almeno finché non avrò capito qual’è la vera entità del danno). Cacciaviti e tester alla mano, smonto la lampada e trovo subito il guasto. Si era bruciata una resistenza del circuito elettronico. Di sabato pomeriggio trovare una resistenza di quel tipo non è facile. Ci sarebbe servito un negozio di componenti elettronici. “E dove lo troviamo un negozio di elettronica, aperto di sabato pomeriggio, sui colli bolognesi?” mi chiede lui. Faccio fare “un paio di giri” ai miei neuroni e la soluzione salta fuori subito: “Cos’è che si trova spessissimo vicino ai cassonetti della spazzatura? I televisori a tubo catodico!”.
Usciti in macchina cominciamo la nostra “caccia” e al terzo cassonetto, come immaginavo, troviamo un televisore a tubo catodico. Aprirlo e tirare via le scheda elettronica, con centinaia di resistenze di ogni tipo, è stato un gioco da ragazzi. Avevamo tutte le resistenze che ci servivano, e per giunta gratis! Tornati a casa ho sostituito la resistenza rotta con una del televisore e la lampada è tornata a funzionare!
E ora vi spiego come ho incontrato e che cosa sono i Repair Café
Capitato a Bruxelles quasi per caso, per un soggiorno previsto di due mesi, un giorno mi sono deciso e ho mandato una mail ad uno deiRepair Café che si tengono nella capitale belga. Avevo già letto un articolo sul giornale della COOP sull’iniziativa dei Repair Café nati in Olanda qualche anno fa. Nella mail chiedevo se potessi partecipare come volontario riparatore ad una sessione per aiutare e vedere “dal vivo” come funzionava l’iniziativa. Confesso che l’accoglienza con cui mi hanno ricevuto nella loro squadra mi ha davvero spiazzato! Già mi prefiguravo una cortese risposta che mi invitasse a rivolgermi altrove, o che non fosse possibile accettare altre persone... Invece, eccomi lì: attrezzi alla mano, pronto ad accogliere e riparare ogni sorta di oggetto. Dalla lampada da tavolo alla macchina distributrice di birra fredda.
Per chi non sa cosa sia un Repair Café (RC) dirò brevemente che è un’idea geniale, avuta da una donna olandese, tale Martine Postma, che – stanca di sentirsi dire che l’oggetto che aveva portato a riparare era meglio buttarlo e comprarlo nuovo – ha creato una rete di “momenti d’incontro” tra persone come lei e “angeli riparatori” che fossero disposti a mettere a disposizione le loro conoscenze, i loro attrezzi ed il loro tempo per evitare che tali oggetti finissero in discarica.
Oggi i RC si stanno diffondendo a macchia d’olio. Solo in Olanda ce ne sono più di 200! Più di 150 in Belgio! In Germania, almeno 250! Ogni mese la squadra dei RC si organizza per accogliere decine di persone che hanno necessità di far riparare i loro oggetti. Le categorie principali degli oggetti riparabili nei RC sono cinque: elettrodomestici, informatica, sartoria, biciclette e falegnameria (piccoli oggetti). Ma ogni RC può scegliere di inserire altre categorie, in base ai volontari riparatori disponibili: per esempio, in uno dei tanti RC che frequento in Belgio c’è un giovane liutaio che aggiusta strumenti musicali!
Gli oggetti che più frequentemente capitano fra le mani sono certamente i piccoli elettrodomestici, sempre molto numerosi nelle nostre case. Ma non mancano macchinari “strani” e sconosciuti, come la macchina per far oscillare le gambe di persone costrette a letto e impossibilitate a muoversi.
La parola Café, dopo Repair, significa che per le persone che aspettano il loro turno di riparazione c’è la possibilità di prendere un caffè, una tazza di te, una birra o mangiare una fetta di torta o di kisch, preparate dalle volenterose mani dello staff dei RC. C’è pertanto una sala d’aspetto dove le persone hanno la possibilità di incontrare e parlare con altre persone che hanno avuto lo stessa idea. Quasi tutte le persone che vanno ai RC hanno una sensibilità piuttosto sviluppata verso le problematiche legate alla sostenibilità ambientale, che vanno dalla produzione di rifiuti in costante aumento, al contrasto dell’obsolescenza programmata strategicamente utilizzata da molte industrie per vendere più prodotti. Si ha così l’occasione per scambiare le proprie idee, per raccontare le proprie esperienze, per ascoltare i buoni consigli di chi ha trovato già delle soluzioni.
Una sostanziale differenza tra i RC e i laboratori di riparazione tradizionali sta nel fatto che gli oggetti che le persone portano con sé, vengono riparati insieme. La persona si siede accanto al riparatore e spiega cosa c’è che non va. Racconta qualcosa che riguarda il “paziente”. Una sorta di “anamnesi” condita spesso di aneddoti del tipo: “Questo tostapane io lo uso da 35 anni, tutti i giorni, me lo ha regalato mia nonna che lo ha usato a sua volta per 20 anni. Da qualche tempo non va più, ma credo sia il cavo (originale) che non fa più passare la corrente”! Allora il riparatore comincia a smontare l’oggetto raccontando cosa fa e perché. Spiega come cercare la causa del malfunzionamento o illustra le difficoltà nello smontare l’oggetto (in base alla mia esperienza, i più ostici sono gli aspirapolvere e le macchine fotografiche compatte). Se gli serve aiuto, per tenere fermo l’oggetto, chiede direttamente alla persona di aiutarlo.
In certi casi, le persone arrivano con oggetti già metà smontati e dicono (quasi scusandosi come se avessero commesso un misfatto): “Sa, ho cercato di fare io la riparazione... ma a un certo punto mi sono dovuto fermare perché...” E qui ci sono varie cause per cui la riparazione non ha potuto essere effettuata. Spesso non hanno avuto il “coraggio” di continuare per timore di arrecare un danno maggiore. Oppure non avevano gli attrezzi giusti. O non sapevano come aprire l’oggetto perché, in effetti, ci sono varie viti “sapientemente” nascoste che lo hanno impedito.
Per la riparazione, a prescindere dall’esito, non viene richiesto nessun compenso, la persona che ha portato l’oggetto è libera di fare un’offerta in denaro. C’è chi lascia un Euro, chi venti e chi ringrazia gentilmente e torna a casa.
Questi soldi, insieme ai soldi, delle vendite di caffè, tè e leccornìe varie, servono a sostenere le piccole spese di cui necessità un RC. In primis, c’è da pagare un’assicurazione che protegga i volontari da eventuali incidenti. Quasi sempre si lavora con oggetti che per funzionare utilizzano la corrente elettrica a 230Volts. Si opera con attrezzi a volte “pericolosi”, come i taglierini o il ferro per le saldature a stagno, che raggiunge temperature di oltre 200° C. C’è poi l’acquisto di attrezzature particolari, che i volontari non posseggono, e che vengono messe a disposizione di tutti.
Concludo dicendo che oggi i RC sono assolutamente in linea con l’avvento dell’economia “circolare” che si sta sviluppando, in Europa e negli altri paesi sviluppati, per il necessario cammino verso la sostenibilità! In più, i RC hanno una valenza positiva, molto positiva, come ruolo di ritorno ad una socialità ancora più forte. Il loro valore aggiunto nel ruolo sociale si manifesta offrendo una ulteriore occasione di incontro col “vicino di casa”.
La Vita è bellissima!
Commenti