BTP-day: acquistare il debito, una buona idea?

Una campagna recentemente lanciata dall’imprenditore toscano Giuliano Melani invita i cittadini italiani a comprare titoli di stato per riappropriarsi della sovranità economica e stabilizzare la situazione finanziaria del Paese. Sembra una buona idea, ma è davvero in grado di cambiare i connotati di un sistema economico malato?

BTP-day: acquistare il debito, una buona idea?
Il 4 novembre scorso, l’imprenditore toscano Giuliano Melani ha acquistato una pagina sul Corriere della Sera per pubblicizzare l’iniziativa “Italiani, compriamoci il debito”, che è culminata nel primo BTP-day, tenutosi il 29 novembre, giorno in cui ha invitato tutti i cittadini aderenti o interessati alla sua iniziativa presso il palazzetto dello sport di Bologna. Dal punto di vista dell’affluenza l’evento non è stato proprio un successo, ma l’obiettivo di Melani era un altro. “Non rispondete a me, andate in banca”, si era raccomandato l’imprenditore. Lo scopo del BTP-day era infatti quello di stimolare gli investitori italiani ad acquistare i Buoni del Tesoro Poliennali, i titoli di Stato con scadenze superiori all’anno. Prima di commentare l’iniziativa di Melani, che è stata entusiasticamente appoggiata anche dall’Associazione Bancaria Italiana e da numerosi istituti di credito privati, vediamo cosa comporta l’acquisto e la detenzione da parte dei cittadini del debito pubblico di uno Stato. In estrema sintesi, ogni paese finanzia il proprio debito pubblico emettendo delle obbligazioni, che possono essere incassate dai creditori con diverse scadenze, diverso rendimento e, conseguentemente, diverso grado di rischio. In Italia abbiamo differenti tipologie di titoli, dai BOT, privi di cedole e con scadenze dai tre ai dodici mesi, ai CCT, della durata di sette anni e con cedole variabili semestrali, fino appunto ai BTP, che possono durare dai cinque ai trent’anni. I creditori di titoli di Stato percepiscono dal Ministero dell’Economia una rendita periodica, all’interno di un meccanismo finanziario che, almeno sulla carta, sembra portare vantaggi a tutti. Lo Stato infatti, vendendo queste obbligazioni, genera le entrate necessarie per fronteggiare le spese correnti del momento, scaricando parte dell’onere finanziario sulle generazioni successive. I detentori dei titoli invece, possono effettuare investimenti con rendite generalmente abbastanza modeste ma molto sicuri – è difficile infatti che uno Stato fallisca e si riveli insolvente, anche se ultimamente sono diversi gli avvenimenti che stanno smentendo questo assunto. È molto importante individuare non solo l’ammontare complessivo del debito pubblico di un Paese, ma anche l’identità dei creditori che lo detengono. Questo non solo per misurare la sostenibilità del debito, ma anche per valutare le possibili conseguenze politico-economiche del modo di operare dei creditori. Prendiamo due esempi per spiegare questo concetto: Stati Uniti e Giappone. Anzitutto il dato sul debito: la stima di quello relativo agli Stati Uniti è pari al 95,6% del Prodotto Interno Lordo, mentre quella del Giappone è del 225,8%. Ciononostante, la posizione finanziaria del Paese asiatico può essere considerata molto più solida di quella americana. Dei complessivi 13.000 miliardi di dollari di debito USA infatti, quasi il venti per cento è in mano a Stati stranieri, per la precisione Cina (1.100 miliardi di dollari), Giappone (900 miliardi), Gran Bretagna (333 miliardi) e altri Paesi esportatori di petrolio (complessivamente 221 miliardi). Essi sono sostanzialmente creditori degli Stati Uniti. Il dato del Giappone, apparentemente molto peggiore, nasconde una profonda differenza: una politica economica e di controllo del debito ben pianificata, affiancata alla diffusione di un 'patriottismo finanziario' che nel Paese del Sol Levante ha attecchito facilmente, ha fatto sì che circa il novanta per cento dei titoli di stato giapponesi finissero nelle mani dei cittadini. Il debito pubblico è quindi in questo caso 'nazionalizzato' e proprio i giapponesi sono i principali finanziatori del loro Stato. Questo conferisce alla situazione finanziaria del Giappone una buona stabilità, che lo pone in una condizione migliore di altri Stati che fanno segnare dati ben più contenuti, come ad esempio l’Italia, che pur avendo un debito pari a circa la metà – 118,1% contro 225,8% – ha 'consegnato' i propri titoli di stato a investitori stranieri (circa il 35%) e a istituti di credito privati (circa il 45%), esponendosi anche al rischio di attacchi speculativi. Con tassi di interesse, e quindi margini di guadagno, molto minori, che si attestano fra l’1% e l’1,5%, il Giappone ha invece scoraggiato questa deriva, offrendo obbligazioni a basso rendimento e a basso rischio studiate su misura per le famiglie giapponesi. Va fatta però una precisazione: se è vero che i detentori del debito pubblico del Giappone, ovvero i cittadini, hanno interesse a mantenere stabile la situazione economica dello Stato debitore, è altrettanto vero che lo stesso vale per i creditori degli Stati Uniti, in particolare la Cina. Il sistema economico attuale infatti prevede un ricorso massiccio alla delocalizzazione delle produzioni; facendo lo sgambetto agli Stati Uniti quindi, la Cina metterebbe in difficoltà uno dei Paesi più presenti nel suo territorio con apparati produttivi, rischiando di perderci in termini non solo di lavoro ma anche di acquisizione di know-how e tecnologie. Torniamo ora a Melani e al BTP-day. Come valutare questa iniziativa? Per certi versi si può considerare un’idea degna di lode, essendo concettualmente improntata alla costruzione di un sistema di finanza pubblica stabile, simile a quello giapponese, in cui i cittadini sono detentori di gran parte del proprio debito pubblico. Anche tecnicamente questa operazione comporterebbe diversi vantaggi, come la possibilità di diminuire lo spread grazie al segnale di fiducia che l’acquisto di massa darebbe al mercato, rafforzando la credibilità dell’Italia e migliorandone la posizione. Melani, dalle pagine del sito Ogni promessa è DEBITO, si richiama anche ai principi di responsabilità, senso dello Stato, spirito di sacrificio e lungimiranza per convincere gli investitori italiani della bontà dell’iniziativa. Attenzione però. Anche senza ricorrere al complottismo, desta qualche dubbio la posizione dell’ABI, che non solo ha pubblicizzato entusiasticamente l’iniziativa, ma ha anche invitato le banche aderenti ad attuare misure di agevolazione, come l’azzeramento delle commissioni bancarie sulle operazioni di acquisto dei BTP-day. Cinicamente viene da chiedersi: ma le banche cosa ci guadagnano? Qualche piccolo tornaconto si riesce a individuare. Per esempio, se sono state eliminate le commissioni a carico dei correntisti, i costi di chi non è cliente permangono e chi vuole aprire un nuovo deposito titoli per partecipare all’iniziativa deve pagare le consuete spese. In un momento in cui gli investitori, spaventati dall’attuale situazione finanziaria nazionale e globale, sono molto restii a mettere in gioco i propri risparmi, questo è uno stimolo per smuovere un po’ la situazione e, conseguentemente, rivitalizzare l’attività bancaria. Altri costi che rimangono a carico del correntista sono quelli legati alla gestione del deposito titoli e l’imposta sostitutiva da parte degli intermediari finanziari con aliquota fissa pari al 12,5% dell’importo della cedola. Il BTP-day è stato accompagnato dalle considerazioni di Melani sull’indignazione che serpeggia oggi tra i cittadini italiani: “Noi rispondiamo con un gesto positivo. Non con la protesta fine a se stessa, anche se siamo anche noi arrabbiati. Ma acquistando il debito. Perché se la barca va giù, affondiamo tutti”, ha affermato l’imprenditore toscano. Sta forse in queste parole la chiave di lettura dell’operazione Compriamoci il debito: la differenza risiede fra chi decide di scardinare le fondamenta di un sistema economico – e non solo – marcio e basato su assunti insostenibili e chi invece cerca di sfruttare le leve che tale sistema mette a disposizione per rimettersi in carreggiata. A questo proposito sono significative anche le considerazioni dell’ABI: “In questo momento è molto importante raccogliere dagli investitori e dai risparmiatori risorse finanziare e distribuirle all’economia reale: famiglie e imprese. Tale capacità però risente profondamente della situazione generale del Paese e della fiducia dei mercati. […] Per questo motivo, per l’economia italiana è tanto importante che vi sia la disponibilità dei cittadini sia ad investire in Titoli di Stato italiani, quanto a investire in obbligazioni emesse da banche e imprese”. Se le intenzioni possono sembrare buone, viene però da chiedersi come può un’operazione finanziaria risollevare un sistema la cui criticità principale è proprio l’eccessiva finanziarizzazione e volatilizzazione dell’economia, basata sempre più su meccanismi astratti e sempre meno su beni e servizi reali. Per concludere, proviamo a rispondere alla domanda che molti potrebbero porsi nei confronti di questa iniziativa: è giusto partecipare al BTP-day? Ovviamente la valutazione che proponiamo non è di ordine prettamente economico e non tiene conto delle prospettive di guadagno dei singoli: non siamo consulenti finanziari. Piuttosto è opportuno chiederci se crediamo davvero nella possibilità di cambiare la situazione e rovesciare questo sistema utilizzando strumenti messi a disposizione dal sistema stesso. Insomma, è meglio indignarsi o investire? Personalmente, mi ha sorpreso positivamente e riempito di speranza la reazione che i popoli – non solo quello italiano ma anche quello greco, quello islandese o quello americano – hanno avuto nei confronti dell’arroganza dei potentati finanziari, che hanno oggi oltrepassato ogni limite. Da Occupy Wall Street alle numerose iniziative italiane, come quella dei Draghi Ribelli bolognesi, è incoraggiante notare come la gente comune abbia finalmente tirato la testa fuori dalla sabbia e stia cominciando a mettere in discussione il sistema a partire dalle sue fondamenta, arrivando magari anche a rinunciare a quella 'borghese tranquillità' che esso ci somministra da anni come palliativo. Per quanto per certi versi sia da considerarsi lodevole quindi, ritengo che la campagna di Melani debba essere superata dallo slancio di un’onda rivoluzionaria – esagero? – che sta montando e che potrebbe davvero cambiare non solo le carte in tavola ma l’intero gioco e le sue regole.

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.