di
Andrea Boretti
04-11-2010
Nuove patologie, nuove giornate nazionali e, soprattutto, nuovi medicinali. La malattia diventa un business orchestrato dalle multinazionali del farmaco e noi soggetti a rischio davanti a medici poco informati e a una ricerca troppo dipendente dai privati. Ecco il mercato che tiene in vita Big Pharma.
60 giornate nazionali dedicate ad una malattia, che diventano oltre 300 se si considerano anche le manifestazioni locali. Si sono moltiplicate in questi anni le giornate dedicate alla ricerca o alla cura di malattie specifiche, giornate solitamente appoggiate da qualche istituto di ricerca, non sempre indipendente e spesso privato, oppure da qualche associazione di malati o di medici e sponsorizzate da una grande multinazionale del farmaco che dietro l'ovvia facciata di buone intenzioni nasconde interessi molto più concreti.
25 miliardi di euro, questo il valore annuo del mercato del farmaco in Italia. Una torta molto grande ma mai abbastanza. Oltre 30 anni fa l'allora direttore della Merck Henry Gadsen dichiarava: "Sogniamo di produrre farmaci per le persone sane". Ci siamo quasi. Big Pharma produce farmaci per ogni tipo di patologia vera o presunta e l'elenco delle malattie riconosciute si è allungato a dismisura. Progresso scientifico? Può essere, ma quello di cui siamo sicuri è che nuove malattie significano nuovi malati e quindi nuovi farmaci per curare queste nuove malattie.
Ed ecco il gazebo della "giornata della timidezza". In questo modo si da visibilità ad una nuova malattia, si permette di conoscerla e magari si raccolgono anche fondi per la ricerca in tal senso. Il rischio, dice Marco Bobbio, primario di cardiologia all'ospedale di Cuneo e autore de Il malato immaginario è di "incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine - ma non solo - tra gli organizzatori delle giornate c'è certamente chi ha uno scopo speculativo. Anche perché nessuno ha mai verificato con studi scientifici se queste iniziative aiutano i pazienti a curarsi meglio o magari spingono qualcuno che ha scoperto i sintomi di un problema ad accentuare artatamente i suoi disturbi, sottoponendosi a esami inutili".
Un esempio? Tra il 2004 e il 2007 sono state organizzate in Italia le "settimane nazionali per la diagnosi e la cura della stitichezza". Dice Bobbio: "Si voleva sensibilizzare medici e cittadini sulla necessità di curare questo problema in previsione dell'arrivo sul mercato di un farmaco." Questo farmaco era della Pfizer che ovviamente era promotrice della campagna di sensibilizzazione. Nel 2007 dopo la comparsa di alcuni casi di problemi cerebro-vascolari tra coloro che avevano fatto uso del farmaco, la Pfizer lo ha ritirato dal mercato. "L'anno seguente-continua Bobbio - la settimana della stitichezza è scomparsa, dimostrando che il grande interesse 'scientifico' era stato ingigantito per preparare il lancio commerciale del farmaco".
Casi come questo ce ne sono di diversi, è un continuo scoprire nuove malattie, nuovi disturbi, nuovi dolori, o meglio, è un continuo trasformare situazioni e disturbi una volta considerati non gravi, in vere e proprie malattie da curare con esami e farmaci. In questo senso ci aiuta a capire meglio l'importanza economica del fenomeno una ricerca americana pubblicata da Social science&medicine.
Secondo la ricerca negli ultimi anni sono state medicalizzate le seguenti condizioni: ansia, deficit di attenzione, insoddisfazione della propria immagine, disfunzione erettile, calvizie, menopausa, gravidanza senza complicazioni, tristezza, obesità, disordini del sonno. Queste 'patologie' costano ogni anno al governo USA, dice la ricerca, 77 miliardi di dollari. In Italia, questo nuovo mercato vale invece 4 miliardi di dollari, il valore di una manovra finanziaria degli scorsi anni. Una tortina che sicuramente vale qualche gazebo, capirete bene.
Oltre a 'scoprire' nuove malattie, un altro modo consolidato per ampliare il mercato è cominciare a considerare malato chi prima non lo era. Per farlo "Basta abbassare il limite della pressione, della glicemia o del colesterolo considerati pericolosi" dice Roberto Satolli, medico e giornalista dell'agenzia Zadig. "Negli anni Sessanta si era ipertesi con una pressione pari a 160-90, negli anni Ottanta e Novanta con 140-90 e adesso con 120-80. Si sposta un po' la soglia e milioni di persone vengono inserite tra coloro che devono prendere dei farmaci".
Certo le scoperte scientifiche ci ricordano come l'importanza dei diversi fattori come causa scatenante di una malattia venga continuamente rivalutata, ma siamo sicuri che si tratti solo di evidenze derivate dalla ricerca? Sicuri che quei 25 miliardi di euro a cui accennavamo all'inizio non abbiamo alcuna influenza? La sensazione è che spesso i livelli considerati pericolosi vengano fissati un po' come i limiti dell'inquinamento, solo al contrario. Per l'inquinamento più questo aumenta e più si alzano le soglie ritenute accettabili, per le malattie, più la gente sta bene (negli ultimi 15 anni le prospettive medie di vita si sono allungate di ben 3 anni) più si abbassano le soglie per essere considerati malati o a rischio.
Ormai tutti noi siamo considerati malati di qualcosa, o meglio, a rischio di qualcosa. E grande influenza, in questo, la hanno i medici a cui noi affidiamo la nostra salute, la nostra cura e la prescrizione dei medicinali.
Diversamente da quanto accade oggi, sarebbe quindi importante avere medici informati (non solo da qualche depliant recapitato dalla multinazionale di turno) e, soprattutto, una ricerca sui medicinali indipendente dai privati o quanto meno partecipata e controllata dallo Stato in maniera importante. Pensiamo, ad esempio, che in America la ricerca è finanziata per il 50% dal pubblico e per il 50% dal privato, quote che da noi sono impensabili visto che meno del 5% della ricerca italiana è finanziata dallo Stato.
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