Parliamo di caccia, un "nobile sport" per alcuni, per altri una vera e propria guerra in cui nessuno è escluso. Sembrerebbe un eccesso parlare in questi termini, un attacco deliberato di un animalista pazzoide, ma in Italia, e più ampiamente nel bacino del Mediterraneo, non è così. Infatti a parlare sono i dati. Al 31 gennaio si è chiusa la stagione venatoria 2017/2018 con uno strascico di polemiche a non finire. Durante questi 4 mesi di "sparatorie campestri" a cadere non sono stati solo animali ma anche uomini e donne, bambini e anziani. Se andiamo a vedere le vittime della caccia in ambito venatorio (ovvero causate direttamente durante l'attività venatoria) sono 90 i "caduti" di cui 22 sono i morti e 68 i feriti. Ma il dato risulta ancor più grave perché 2 morti e 9 feriti non erano cacciatori ma semplici passanti, raccoglitori di funghi, ciclisti che sono stati colpiti inavvertitamente. Tra questi casi vale la pena ricordare quello avvenuto il 19 Settembre a San Varano, dove una bambina di 12 anni è stata ferita nel giardino di casa da un cacciatore dileguatosi subito dopo aver sparato, o il caso del fungaiolo di 59 anni ucciso davanti alla moglie nell'appennino savonese da un cacciatore di 25 anni in battuta al cinghiale. Molti sono poi i minori che partecipando alle attività connesse con la caccia sono rimasti vittima di incidenti o hanno commesso degli illeciti o sono stati messi in pericolo. Se poi andiamo a guardare gli incidenti e le vittime causate dalle armi dei cacciatori mentre non venivano usate nella caccia, il numero diviene impressionante. Si parla di 17 feriti e 8 morti tra i quali spicca l'episodio di un ragazzo di appena 13 anni che ha ucciso la nonna di 67 anni, giocando con il fucile del padre appena rientrato da una battuta di caccia il 4 Ottobre a Teana, piccolo paese nel Pollino.
Vale la pena fare una considerazione importante. Se in Italia ci fosse uno sport (dato che la caccia è considerata tale) che miete decine di vittime tra morti e feriti ogni anno, quali provvedimenti sarebbero stati presi dalla politica? Sarebbe ancora uno sport di così facile e libero accesso? Le domande sorgono spontanee.
Cambiando argomento, anche i numeri del bracconaggio in Italia sono allarmanti. Molte migliaia di capi abbattuti illegalmente ogni anno tra cui molte specie protette, utilizzo di esche avvelenate, trappole illegali, uso di richiami vietati, caccia in zone protette, uso di armi illegali, smercio di alimenti senza autorizzazione e ancora e ancora...... Basti pensare che, secondo il rapporto Legambiente 2009 – 2015 sono state commesse circa 20 infrazioni al giorno contro la fauna selvatica. Tutto questo accade in una condizione di apparente declino del popolo dei cacciatori, con una continua diminuzione di iscritti alle associazioni venatorie e sempre meno rinnovi di licenze. Un'età media che avanza a rapidi passi e sempre meno giovani che seguono le orme dei padri. Ma ci sono due fatti rilevanti che non vanno sottovalutati. Il primo è che dietro alla questione della caccia si muove un mondo fatto di interessi economici da centinaia di milioni di euro. Ci sono le tasse pagate dagli "sportivi" che rimpinguano le casse di Regioni e Stato. Ci sono i commerci di fucili, cartucce e accessori. C'è un turismo sempre più fiorente che si basa sulle attività di caccia. C'è lo smercio legale e illegale di carne e l'allevamento di razze di cani apposite per la caccia. Insomma un mondo, in parte sotterraneo, che muove montagne di soldi e che rende i sempre meno numerosi cacciatori sempre più scatenati nelle loro attività. Poi c'è una cultura venatoria di rapina alla quale si sono aggiunte una sempre maggiore competizione e una sempre maggiore disponibilità economica. Così, mentre un tempo il cacciatore faceva la sua girata mattutina abbattendo qualche merlo o colombaccio e poi se ne tornava a casa soddisfatto, oggi il cacciatore ha una macchina da almeno 30 mila euro con la quale si arrampica fin sui muri e gira tutto il giorno per i boschi finché nel carniere non ci sono i 15 – 20 tordi che la legge gli consente di abbattere ogni giorno di caccia, e spesso si porta dietro anche il vecchio nonno catarroso e artritico ma con licenza di caccia, così può abbatterne 40. Risultato, nonostante siano diminuiti, la presenza dei cacciatori è sempre più aggressiva e capillare sul territorio, un territorio peraltro sempre più antropizzato e con meno spazi selvaggi, e in cui perciò questa attività diventa di anno in anno più pericolosa.
E così nei primi giorni di febbraio 2018 tocca ancora fare i conti con il solito bollettino di morti e feriti e di reati più o meno gravi che si sono consumati in appena 94 giorni di attività venatoria. Fino a quando? Quanti morti e feriti ancora dovremo piangere per poter vedere una sensata riforma della caccia che rispetti il territorio, la fauna e gli equilibri ecologici? Quanti verbali, denunce, sanzioni e sequestri dovranno essere fatti prima di capire che non è più possibile avallare un certo tipo di pratiche venatorie (come la pericolosissima caccia al cinghiale in battuta) o come il massacro di piccoli uccelli migratori? Quanti articoli, petizioni, lettere e manifestazioni dovranno essere fatte prima che le Regioni con i loro politici e tecnici si decidano a rispettare le leggi nazionali e le indicazioni dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che solo il settembre scorso aveva con forza chiesto lo stop alle giornate di caccia in preapertura per salvaguardare gli animali stremati da caldo e siccità mostruosi, richiesta ignorata da una moltitudine di regioni. Ora per fortuna siamo tutti più tranquilli, con davanti a noi diversi mesi di tregua prima che nuovamente migliaia di doppiette si alzino a sparare al cielo e alla terra.