'Calendario della fine del mondo': il primo libro di Democrazia Km Zero

Appena pubblicato per i tipi di Intra Moenia, Calendario della fine del mondo, a cura di Anna Pacilli, Anna Pizzo e Pierluigi Sullo, con un'introduzione di Serge Latouche, fa il punto sulla crisi ambientale del pianeta, mostrando l'interconnessione tra le diverse aree attualmente minacciate dall'intervento dell'uomo. Uno strumento importante per capire l'origine dei disastri che viviamo quotidianamente e per orientarsi verso nuove strategie.

'Calendario della fine del mondo': il primo libro di Democrazia Km Zero
Tutte le volte che si è chiamati ad esprimere la propria posizione in merito a temi di interesse comune, come la privatizzazione delle reti idriche o l'utilizzo del nucleare, sono in molti a sentirsi spiazzati e a protestare contro l'insufficienza delle conoscenze a disposizione. Ma, allora, invece di aspettare che siano i grandi canali di informazione (o dis-informazione, a seconda dei casi) a diffondere dati e fatti pochi giorni prima di un referendum o in forza di dibattiti scatenati da imprevisti, perché non adoperarsi da sé a rinvenire le conoscenze adeguate? A tale scopo un testo da non lasciarsi sfuggire è certamente Calendario della fine del mondo. Date, previsioni e analisi sull'esaurimento delle risorse del pianeta, a cura di Anna Pacilli, Anna Pizzo e Pierluigi Sullo, con un'introduzione di Serge Latouche (edizioni Intra Moenia 2011). Si tratta di un libro corale, che raccoglie una serie di saggi curati da esperti di tematiche ambientali, sociali e territoriali, e rappresenta il primo frutto del lavoro intrapreso da Democrazia KmZero. Due anni fa, alle Piagge di Firenze, centinaia di soggetti facenti parti di gruppi e non, accolsero l'invito lanciato dalla rivista Carta di ritrovarsi per costruire dei tavoli di lavoro nei quali discutere della situazione socio-economica presente e disegnare delle strategie di cambiamento. Il modello è quello di una democrazia partecipata e decentrata, per l'appunto a KmZero, nella quale nessuno si trovi relegato agli angoli di una periferia senza volto e senza suono. Nell'aprile di quest'anno, sempre alle Piagge, ospitati ancora una volta da Don Alessandro Santoro, Pierluigi Sullo e gli altri autori hanno presentato questo Calendario della fine del mondo, che, come recita la prefazione, “non cercherà di terrorizzarvi gridando, come un profeta invasato, che il giudizio universale è imminente. Molto più pacatamente, e in modo convincente, vi spiegherà – fornendo cifre, dati, circostanze, nomi di protagonisti – come l'Isola di Pasqua, chiamata dai suoi abitanti Rapa Nui, sia in piccolo un esempio per tutto il pianeta”. Perché l'Isola di Pasqua? Lo spiega bene Serge Latouche, quando distingue fra catastrofi puramente ecologiche e disastri dettati dall'antropocene (con questo termine diversi scienziati, come Paul Crutzen, Premio Nobel per la chimica, designano una nuova epoca geologica del pianeta, risalente ai primi dell'Ottocento e provocata dallo sfruttamento delle risorse fossili). L'Isola di Pasqua è emblematica perché rappresenta non tanto il prodotto di una tragedia naturale, quanto la naturale conseguenza di una società della crescita che rifiuta il mondo reale in nome della sua artificializzazione. Da Homo sapiens sapiens ci siamo trasformati in Homo titanus: una forza geologica capace di trasformare a fondo la natura anche a costo di rimanerne vittima. Per verificare la bontà di tale tesi, i saggi che compongono il Calendario prendono in esame i differenti ambiti che più da vicino interessano la crisi del nostro pianeta, e mostrano, con la forza degli argomenti e dei dati a disposizione, che non è più possibile far finta di nulla, poiché si tratta del nostro futuro prossimo. Prendiamo il caso dell'acqua, oggi tanto dibattuta quanto falsificata dall'uso di soli slogan. Tommaso Fattori, fra i fondatori del Forum italiano dei movimenti per l'acqua, ricorda che “la mancanza d'accesso all'acqua potabile per un numero enorme di persone sul nostro pianeta non è dovuto, storicamente, alla diseguale distribuzione 'naturale' della risorsa, né alla sua scarsità locale. Se quasi un miliardo e mezzo di esseri umani non ha accesso all'acqua potabile e 2,2 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie causate dall'insufficienza d'acqua, ciò dipende essenzialmente dalla povertà, e quindi da precise scelte di deresponsabilizzazione da parte dei decisori politici e della comunità internazionale”. Lo dimostra chiaramente l'impronta agricola idrica estera del Regno Unito (fonte: Living Planet Report 2010 del WWF), ovvero la cosiddetta acqua virtuale che comprende la dipendenza di una nazione dalle risorse idriche mondiali. Il 62% dell'impronta idrica del Regno Unito è formato da acqua virtuale contenuta in merci e prodotti agricoli importati da altri paesi dal Sud del Mondo, e solo il 38% delle risorse idriche nazionali viene utilizzato. Riccardo Petrella, fondatore del Gruppo di Lisbona, sottolinea ancora che la cattiva redistribuzione dell'acqua è divenuta, ormai, anche un problema di crisi della qualità della stessa. A furia di prelevare localmente l'acqua ad un tasso di prelievo più elevato della capacità di rinnovo naturale locale, l'acqua si è trasformata, da risorsa rinnovabile, in una risorsa sempre meno disponibile. Infatti, la massiccia azione di inquinamento e contaminazione ha fatto sì che già oggi più del 40% delle acque da falda degli Stati Uniti non sono utilizzabili per usi umani perché inquinate. Inoltre, la quasi totalità dei corsi d'acqua in India e Cina sono contaminati, come anche migliaia di corsi d'acqua del Canada e i grandi fiumi e laghi dell'Africa. Viviamo, insomma, una vera e propria 'crisi dell'acqua' negli stessi anni in cui aumentano le emissioni di gas serra e la distruzione delle foreste ne impedisce il riassorbimento. In Italia siamo passati da 516,3 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 nel 1990 a 552,8 Mt nel 2007. Secondo il Protocollo di Kyoto, nel periodo 2008-2012 il nostro paese avrebbe dovuto tagliare del 6,5% le proprie emissioni rispetto al 1990, attestandosi a 482,8 Mt CO2. Invece nel 2007 le emissioni di gas serra sono risultate di 70 Mt superiori a quelle fissate da Kyoto. Se pensate che la sola Amazzonia assorbiva ogni anno 2 miliardi di tonnellate di carbonio all'anno, come racconta Marinella Correggia, e che il riscaldamento provocato dalle emissioni contribuisce alla siccità, che accelera la devastazione delle foreste, vi accorgerete che i drammi ambientali non sono mai isolati, ma sempre collegati in un circolo vizioso. C'è il rischio che le strategie congegnate dai vertici internazionali siano fin troppo inefficaci a causa di un'inadeguata visione di insieme: Roberto Musacchio, eletto al Parlamento europeo dal 2004 al 2009 come vicepresidente della Commissione clima, osserva che il Trattato di Kyoto “ha in sé le ambiguità tipiche dell'epoca in cui fu realizzato. Contiene cioè l'idea che si possa 'ambientalizzare' il mercato. (…) Questa idea che, in forme varie, è stata promossa sia da settori della cosiddetta 'terza via' clintoniana, sia dalle destre, invece di ambientalizzare il mercato, ha finito con il mercificare l'ambiente”. Il vero problema da affrontare riguarda, allora, il tipo di strategia, e quindi anche di interpretazione, che si sceglie di seguire per agire nel presente. In questione siamo noi, non solo in qualità di vittime dei disastri, ma soprattutto di attori del cambiamento. In tal senso il Calendario della fine del mondo è uno strumento positivo per rileggere gli scenari attuali ed acquistare un atteggiamento più maturo nei confronti degli spazi che abitiamo. Piuttosto che uno spauracchio agitato contro il futuro, questo libro è una guida per trovare il bandolo della matassa delle nostre crisi, per affrontarle con la lucidità e la consapevolezza che derivano solo da un sapere articolato e ben fondato. Sotto questo punto di vista un esempio positivo è senz'altro quello narrato da Alessio Ciacci, assessore all'Ambiente del Comune di Capannori (Lucca), il primo in Italia ad aver aderito alla strategia internazionale 'Rifiuti Zero'. I risultati di Capannori sono eccezionali: nel 2005 il ritiro 'porta a porta' dei rifiuti portò ad un balzo della differenziata dal 30% ad oltre l'80%. Capannori ha una delle tariffe più basse a livello regionale ed un servizio di enorme qualità, che reca, al contempo, enormi benefici ambientali: nel 2009, grazie al riciclaggio della carta, è stato risparmiato l'abbattimento di quasi 100 mila alberi. Storie positive, dunque, che fioriscono proprio laddove la necessità di rimboccarsi le maniche non è disgiunta dalla consapevolezza del giusto fine da perseguire. Le catastrofi ambientali sempre più prossime, le cui cause sono documentate con abbondanza di riferimenti dai numerosi altri saggi del Calendario, dovrebbero allora indurre ad un ripensamento delle strategie in vista di un risanamento globale ed interconnesso. Come ricorda Guido Viale nelle conclusioni del libro, la “cultura del palinsesto”, che un tempo indicava il recupero di un supporto organico, raschiando la pelle di una capra per depositarvi sopra un nuovo testo a spese di quello cancellato, indica ai nostri giorni l'esatto opposto. Lo stesso lemma si riferisce oggi alle variazioni di programmi e di informazioni, le quali mutano ogni giorno senz'altra continuità che quella della puntualità ripetitiva dell'orario. Ad essere perduta “è la tensione alla ricostruzione di un universo cognitivo coerente e unitario”. Ma per riappropriarcene occorre, soprattutto, saper guardare in faccia alla realtà.

Lascia un commento


Per lasciare un commento, registrati o effettua il login.