Dai botanici, che osservano fioriture straordinarie che iniziano a gennaio con tre mesi di anticipo, ai glaciologi che rilevano la perdita consistente delle calotte polari e dei ghiacci perenni ( Luca Mercalli “Che tempo che farà”) , agli ornitologi che osservano la vita e il comportamento degli uccelli, e hanno constatato come questi ultimi stiano cambiando radicalmente le loro abitudini (“Bird migration times, climate change, and changing population sizes” - Global Change Biology). Molti uccelli non migrano più negli storici luoghi segnalati da secoli, ed invece di svernare in Africa subsahariana, passano la “brutta stagione” nel bacino del Mediterraneo. Altre specie di uccelli trovano il cibo di cui sono ghiotti (semi e germogli) a quote molto più elevate rispetto ad un tempo, e così li si può incontrare in montagna sulle Alpi, mentre un tempo non superavano le quote collinari.
Episodi di nidificazione assolutamente anomali sono all’ordine del giorno.
Proprio alcuni giorni fa stavo accompagnando un gruppo in escursione nella Maremma toscana. Si tratta di un periodo molto buono per osservare gli uccelli svernanti ma, con sommo stupore di tutti noi, abbiamo trovato una colonia di aironi (garzaia) che si accingeva a nidificare e, fatto ancor più straordinario, all’interno di alcuni nidi si potevano osservare dei giovanissimi aironi già grandicelli.
Questo significa che la deposizione delle uova era avvenuta a fine novembre, dal punto di vista climatico dunque in piena stagione invernale.
Fatti di questo genere potrebbero sembrare innocui o addirittura positivi, ma in verità testimoniano enormi squilibri in atto a livello biologico. Tali squilibri stanno portando o hanno già portato all’estinzione numerose specie animali e vegetali. In alcuni casi lo scenario può essere apocalittico. Infatti, cambiamento così repentini del clima potrebbero far scomparire interi ecosistemi dai loro luoghi di origine. Per fare degli esempi: la macchia mediterranea in Sardegna potrebbe lasciare il posto a steppe aride o semi aride, le praterie alpine potrebbero scomparire nell’arco di qualche secolo per lasciare il posto ai cespuglietti. Ciò significherebbe la scomparsa pressoché completa di tutte le specie che costituivano quel tipo di ambiente, e gli effetti che ne deriverebbero sarebbero catastrofici tanto per la natura quanto per le popolazioni umane che vivono e lavorano in quei luoghi. Basti pensare alle attività agricole e pastorali legate a questi tipi di ambiente.
Se a questo si aggiunge l’arrivo di nuove specie in ambienti che prima non le ospitavano (vedi il caso di diverse specie di insetti parassiti che insidiano l’agricoltura e le foreste), questo comporterà degli effetti a cascata anche per l’uomo.
Nei prossimi anni assisteremo a grandi mutamenti, ma noi tutti potremmo ancora mitigare e rallentare la catastrofe climatica e biologica; dobbiamo solo impegnarci concretamente e con forza, consapevoli che un cammino per una società diversa è possibile e necessario.