di
Andrea Degl'Innocenti
23-03-2012
Devis Bonanni è un giovane friulano che ha deciso di cambiare vita e dedicarsi all'agricoltura. Ma dopo un'intervista rilasciata al Corriere, impazzano i commenti cattivi sul web. Fra chi lo accusa di essere un figlio di papà, chi un debole, chi un evasore, emerge una invidia diffusa per chi, a fronte di pensieri condivisi da molti, è riuscito a far corrispondere scelte concrete nel proprio stile di vita.
Suscita una certa invidia la storia di Devis Bonanni, ventisettenne friulano che ha scelto di vivere in campagna, del lavoro delle sue braccia. La stessa invidia, immagino, che ha fatto sì che molti lettori del Corriere della Sera commentassero stizziti la sua intervista pubblicata sul giornale, non risparmiandogli critiche.
La storia della sua nuova vita inizia nel 2007, quando a 23 anni Devis, originario di Raveo, un paesino in provincia di Udine, decide di abbandonare il lavoro – faceva il tecnico informatico - e con i soldi messi fin lì da parte comprarsi gli attrezzi necessari a lavorare la terra e andare a vivere nella casetta che la sua famiglia aveva nella campagna friulana.
Da allora Devis ha rinunciato a buona parte degli agi – quelli che almeno siamo abituati a considerare tali – della vita contemporanea. Ha venduto la macchina (adesso usa la bici), si scalda con una stufa a legna, non ha televisione né molti elettrodomestici. Vive dei frutti del proprio orto, e delle piccole eccedenze che vende al mercato (verdura fresca, pomodori, melanzane, le uova delle sue galline) con le quali riesce a tirare su circa 200 euro al mese: persino troppi per chi ha già tutto il poco di cui ha bisogno.
Non ha rinunciato invece al cellulare ed al pc portatile. Grazie a quest'ultimo, fin dal principio, ha deciso di tenere un blog, 'Pecoranera', dal quale adesso è stato tratto un libro omonimo, appena uscito nelle librerie. Così scriveva all'inizio della sua esperienza: “Ho iniziato quest'avventura per verificare se fosse possibile vivere altrimenti. Auto-produrre buona parte del cibo di cui ho bisogno, muovermi con mezzi alternativi all'automobile, riscaldare la casa con la legna e compiere tutte quelle scelte che sono annoverate tra le abitudini del bravo ecologista. In parte sento di esserci riuscito anche se non mancano incoerenze e piccole storture”.
L'articolo pubblicato sul Corriere ha suscitato reazioni contrastanti. Una buona parte dei lettori, come prevedibile, ha appoggiato la scelta di Devis, incitandolo ad andare avanti, a proseguire sulla strada intrapresa. Altri no. Lo accusavano di essere fuggito dai problemi, di essere un “figlio di papà”, persino un evasore – c'era chi auspicava controlli da parte della Guardia di finanza! -, ora un opportunista ora un furbetto.
L'invidia di cui parlavo all'inizio – e chissà forse persino quel filo di rabbia che si percepisce nei commenti dei lettori – nasce forse dal fatto che persone come Devis ti mettono davanti agli occhi la possibilità concreta di un cambiamento. Già, proprio quel cambiamento che tanto ci affascina e al contempo ci terrorizza; quell'abbandono delle certezze, della normalità alla ricerca di qualcosa che sentiamo più giusto, naturale, ma che per pigrizia e paura rimandiamo sempre ad un vago domani.
Ci fa un po' invidia, ammettiamolo, vedere che qualcuno l'ha fatto per davvero. Chi può dirsi in disaccordo con Devis quando afferma: “non mi piaceva della vita che facevo prima che c'era troppo poco tempo per vivere. Mi faceva male soprattutto in primavera vedere la natura che esplodeva ed io che rimanevo chiuso in un ufficio”. Quanti di noi hanno pensato qualcosa di simile per poi continuare a condurre la stessa identica vita, ripromettendosi di cambiarla “prima o poi”?
A me pare che Devis, nel replicare ai lettori in una lettera aperta pubblicata sempre dal Corriere, colga esattamente il punto dell'intera faccenda quando parla dello scollamento fra pensiero ed azione tipico della realtà contemporanea. “La mia scelta inizialmente è partita da un ideale sociale: il contadino è direttamente responsabile della terra che coltiva, se il contadino è avaro la terra poi si impoverisce. In un mondo in cui siamo molto lontani dalle conseguenze delle nostre azioni, questo per me era importante”. Vista in quest'ottica la sua scelta diventa una scelta di coerenza, prima ancora che di vita.
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