Agricoltura e produzione di cibo sono globalmente responsabili del rilascio di più del 25% dei gas ad effetto serra, di un importante inquinamento delle acque dolci, e dell’ utilizzo di circa la metà della superficie terrestre libera dal ghiaccio [1]. Quasi l’80% della produzione di gas serra in questo ambito è legato all'allevamento degli animali [2].
Sebbene il tipo di alimentazione abituale differisca tra i vari paesi per una varietà di ragioni culturali, climatiche e storiche, esso si è modificato complessivamente negli ultimi 50 anni in concomitanza con l’aumento dei redditi medi e della globalizzazione. Nei paesi ad alto reddito ed in quelli emergenti questi cambiamenti hanno comportato un incremento del consumo di carne e di proteine prevalentemente di origine animale, di calorie globali e di calorie “vuote”, come vengono definite le calorie fornite da grassi e zuccheri raffinati, alcool ed oli. Delle stime complessive permettono di affermare che, anche tenendo conto della quantità di alimenti che viene sprecata e non consumata, nelle nazioni ad elevato reddito vi sia un consumo calorico medio che eccede giornalmente di circa 500 calorie pro capite la necessità nutrizionale.
Basandoci sulle proiezioni di incremento del reddito e dell’urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo, si può stimare che nel 2050 si arriverà ad un ulteriore incremento medio del consumo di calorie totali del 15% e di proteine totali dell’11%, con un ulteriore shift della composizione alimentare che porterà all’assunzione del 61% in più di calorie vuote, del 18% in meno di porzioni di frutta e verdura, del 2.7% in meno di proteine vegetali, del 23% in più di carne di maiale e di pollame, del 31% in più di carne di ruminanti, del 58% in più di prodotti lattiero-caseari e uova e dell’82% in più di pesce e frutti di mare [3]. Una modifica di queste diete con riduzione delle calorie assunte in eccesso, una riduzione dell’assunzione di carne ed un aumento di quella di frutta e verdura sarebbe in grado di ridurre significativamente l’ emissione di gas ad effetto serra, e contemporaneamente di migliorare la salute globale, riducendo la mortalità per patologie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e cancro [4].
Diffondere una dieta sostenibile, ovvero, secondo la definizione della FAO, “una dieta a basso impatto ambientale che contribuisce ad assicurare un cibo sicuro ed una vita sana per le generazioni presenti e future” sarà quindi importante oltre che per le implicazioni di salute individuali, anche per contrastare il cambiamento climatico. Attualmente è possibile stimare con buona approssimazione l’emissione di gas serra determinata dal consumo dei vari tipi di cibo.
Le stime si basano su modelli standardizzati e tengono conto delle emissioni che avvengono in tutte la fasi del ciclo vitale degli alimenti, compresa la coltivazione/allevamento, la preparazione, la conservazione ed il trasporto. Le analisi e ettuate da numerosi gruppi di studio a partire dagli anni 2000 su svariati alimenti dimostrano come la composizione delle diete influenza fortemente queste emissioni. Come è noto i cibi di origine animale producono una maggior quantità di gas rispetto a quelli di origine vegetale.
Per esempio i cibi a base di carne di ruminanti (manzo e agnello) causano un’emissione per grammo di proteine pari a circa 250 volte quella dei cibi a base di legumi. Uova, prodotti lattiero-caseari, prodotti della pesca e dell’acquacoltura, pollame e carni di maiale hanno tutti emissioni molto minori di quelle della carne dei ruminanti. Non si deve dimenticare inoltre che anche le modalità della produzione possono influenzare fortemente l’emissione di gas. Ad esempio il pesce catturato attraverso la pesca a strascico ha un’emissione di gas tre volte maggiore rispetto a quello pescato con altre modalità. Anche all’interno dello stesso gruppo alimentare inoltre ci possono essere notevoli differenze. Per esempio all’interno del gruppo dei cereali, il grano emette un quinto dei gas del riso per grammo di proteine.
Per comprendere appieno l’impatto ambientale è altresì importante conoscere le esigenze nutrizionali che un alimento soddisfa in rapporto al suo consumo. Frutta e verdura sono ad esempio importanti fonti di micronutrienti, antiossidanti e fibre. Diversamente dai tuberi e dai legumi, che sono ricchi di proteine o di calorie, la maggior parte delle verdure non è consumata per l'apporto di queste sostanze, e le loro emissioni andrebbero calcolate più correttamente per porzione (e non quindi per grammo di proteine). Per esempio, 20 porzioni di verdura hanno meno emissioni di gas serra di una porzione di carne di manzo. Tuttavia, pesce e carni, che sono ricchi di proteine, sono alimenti nutrizionalmente importanti per la fornitura di acidi grassi, minerali e vitamine e se consumati con moderazione possono avere una emissione di gas serra relativamente bassa.
Sulla base di questi dati si può stimare che la produzione di gas ad effetto serra per la produzione del cibo potrebbe aumentare, tenendo conto del previsto aumento della popolazione dei paesi emergenti, dell’80% da ora al 2050. Vari tipi di diete, sicuramente più salutari di quella comunemente consumata oggi nei paesi ad elevato sviluppo, potrebbero però modificare questi scenari futuri. L’introduzione di una dieta “mediterranea” (ricca di vegetali, frutta e pesce e povera di prodotti animali) o vegetariana potrebbe determinare una riduzione dell’emissione di gas serra che secondo alcune stime arriva al 30 e 55% rispettivamente rispetto alla dieta attuale. E contemporaneamente permetterebbe di evitare 5 e rispettivamente 7 milioni di morti all’anno [5].
Addirittura anche solo ridurre le calorie che mediamente vengono introdotte in eccesso riducendo la quantità di alimenti senza modi carne i tipi potrebbe determinare una riduzione dell’emissione di gas ad effetto serra del 10% [6]. O alternativamente, secondo un recente studio, anche mantenendo inalterata la quantità energetica media assunta, la semplice sostituzione di circa il 40% della carne rossa consumata con altri alimenti come pollo, pesce e cereali potrebbe ridurre dell’8% l’emissione dei gas dell’intera Europa [7].
Oltre al problema legato all’emissione di gas serra si deve anche tenere in considerazione il consumo di suolo e di acqua necessario alla coltivazione/allevamento degli elementi essenziali all’alimentazione. Si stima infatti che mantenere l’attuale dieta sbilanciata, dato l’incremento della popolazione che ne potrà fruire nei prossimi anni, porterà ad un utilizzo mondiale di circa 540 milioni di ettari in più rispetto agli scenari che prevedono una dieta mediterranea o vegetariana [8]. Anche in questo caso il maggior consumo di terra è in gran parte dipendente dalla quantità di carne di ruminanti prodotta e consumata.
Sostituire tutti i prodotti animali con vegetali porterebbe ad una riduzione del fabbisogno di suolo del 60%. Un’ultima osservazione va riservata al consumo di acqua necessario per la produzione del cibo. Anche in questo caso il consumo necessario per la produzione di cibo di origine animale è molto più elevato, a parità di calorie, di quello necessario per altre tipologie di cibo [9].
Anche a questo proposito quindi una dieta più salutare è sinonimo di una dieta più rispettosa delle risorse. Ricordiamo però in conclusione che minimizzare l’impatto ambientale non vuole dire automaticamente ridurre la nocività di una dieta, in quanto molti prodotti apportatori di calorie vuote e ricchi di grassi, carboidrati e zuccheri possono essere a basso impatto ambientale. Promuovere una dieta sana diventa quindi anche un’azione importante per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, e quindi per migliorare anche la salute globale.
1. Edenhofer O. et al. Climate Change 2014: Mitigation of Clima- te Change Technical Summary (Intergovernmental Panel on Climate Change, 2014).
2. Tubiello FN et al. (2014) Agriculture, Forestry and Other Land Use Emissions by Sources and Removals by Sinks: 1990–2011 Analysis (FAO Statistics Division, Rome).
3. Tilman D, Clark M. Global diets link environmental sustainability and human health. Nature, 2014, 515.7528: 518-522.
4. WHO/FAO, 2003. Diet, nutrition and the prevention of chronic di- seases: report of a joint WHO/FAO expert consultation. World Health Organization, Geneva.
5. Springmann M., Godfray HCJ, Rayner M. et al. “Analysis and valua- tion of the health and climate change cobene ts of dietary change.” Pro- ceedings of the National Academy of Sciences 113.15 (2016): 4146-4151. 6. Garnett T., 2011. Where are the best opportunities for reducing gre- enhouse gas
emissions in the food system (including the food chain)? Food Policy 36,
S23eS32.
7. Tukke A., Goldbohm R A., De Koning A. Environmental impacts of changes to healthier diets in Europe. Ecological Economics, 2011, 70.10: 1776-1788.
8. Hallström E., Carlsson-Kanyama A., & Börjesson P. Environmental impact of dietary change: a systematic review. Journal of Cleaner Pro- duction, 2015, 91: 1-11.
9. Roberto Capone, Massimo Iannetta, Hamid El Bilali et al. A Preli- minary Assessment of the Environmental Sustainability of the Current Italian Dietary Pattern: Water Footprint Related to Food Consumption J Food Nutr Res 2013, 1(4), 59-67.
Fonte: Cambiamento climatico: cambiare alimentazione per ridurre il riscaldamento globale - Quaderni ACP - Ambiente e Salute