di
Laura Viviani
19-09-2011
L’Australia propone una carbon tax per avviare un piano di rinnovamento energetico a favore di tecnologie pulite. Le grandi industrie insorgono e, appoggiate dalla campagna di disinformazione promossa dai media di Murdoch, cercano di affossare la proposta del governo laburista di Julia Gillard.
La nuova speranza per il clima viene dall’Australia ed è stata proposta da una donna. Il primo ministro australiano Julia Gillard, membro del partito laburista, ha infatti annunciato a metà luglio scorso l’imposizione di una carbon tax che permetterà di ridurre le emissioni di co2 e potenziare l’utilizzo di energie pulite.
Il piano varato dal governo per contrastare il cambiamento climatico impone ai 'grandi inquinatori' una tassa di 23 dollari australiani (pari a 17 euro circa) per ogni tonnellata di anidride carbonica causata. La Gillard afferma che sarà così possibile ridurre l’inquinamento da carbone di circa 120 milioni di tonnellate entro il 2020. Un risultato importante (che equivale a chiudere al traffico 45 milioni di auto) per il paese che produce il maggior tasso di inquinamento atmosferico pro capite. L’Australia causa l’1,5% di emissioni mondiali, lo stesso livello di paesi con il doppio o il triplo dei suoi abitanti, come la Francia, la Gran Bretagna o la Corea del Sud. L’80% della sua elettricità proviene infatti dal carbone, una delle fonti di energia più inquinanti.
Come Danimarca, Svezia e Costa Rica, l’Australia sceglie una via di tassazione diretta delle emissioni di co2, al contrario dell’Unione Europea che adotta il sistema cap and trade (letteralmente “porre un tetto e negoziare”). Secondo il modello europeo la limitazione dei gas serra si basa su un mercato delle emissioni.
L’emission trading vede un produttore industriale virtuoso, che emette una quantità minore di emissioni rispetto a quanto gli è consentito, vendere le sue quote “di inquinamento” ad un produttore che invece sfora il tetto di livelli di emissione, prestabiliti in base alla direttiva 2003/87/CE. Anche il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha sottolineato l’importanza del provvedimento, affermando che “la decisione dell’Australia di far pagare le emissioni di carbone è a nostro avviso un passo importante tanto per l’ambiente quanto per l’economia”.
Ed è proprio la paura di un duro colpo all’economia australiana che ha suscitato un’ondata di forti polemiche oltreoceano. A puntare il dito contro la proposta di tassazione, che dovrebbe entrare in vigore dal 1 luglio 2012, sono essenzialmente tre soggetti principali. Tutti i grandi gruppi industriali, con l’Australian Coal Association in prima fila, minacciano di dover tagliare circa 14mila posti di lavoro (dati resi noti dalla società di consulenza economica Acil Tasman). Il leader conservatore Tony Abbot da parte sua, non perde occasione per richiamare l’attenzione dei cittadini sul futuro aumento della spesa energetica che implicherà l’introduzione della nuova tassa. Infine, resta da considerare un punto essenziale nella vicenda.
Le argomentazioni contro il provvedimento della carbon tax acquistano una grande eco nell’opinione pubblica grazie all’appoggio dei tre quarti dei media australiani, controllati dal magnate Rupert Murdoch. Un personaggio che ha fatto la sua fortuna anche grazie (soprattutto?) ai suoi legami con la politica. Recentemente travolto dallo scandalo sulle intercettazioni che facevano sfornare scoop al suo quotidiano (ormai chiuso) News of the world, Murdoch non è nuovo a pesanti influenze in ambito politico, e anche questa volta sembra ben intenzionato a imporre ai suoi giornali e alle sue tv una linea d’informazione faziosa imbastita su toni forti e argomentazioni demagogiche.
Come afferma David Donovan, fondatore e direttore editoriale di Indipendent Australia, i media nelle mani di Murdoch (che lui definisce ironicamente “Murdemocracy”) o non presentano affatto le posizioni degli esperti a favore del provvedimento, oppure dopo aver largamente illustrato l’inutilità e i rischi della tassa sul carbone, lasciano il minimo spazio possibile alle argomentazioni a favore.
Sembra dunque che Murdoch abbia lanciato una vera e propria campagna di disinformazione, che omette di proposito le significative misure di tamponamento previste dal primo ministro. Sì, perché quello previsto dalla Gillard è un piano di rinnovamento energetico, non una semplice misura di tassazione. Il 40% degli utili ricavati attraverso la carbon tax verrà investito infatti nella preparazione e attuazione di strumentazioni che permetteranno alle grandi industrie di passare a forme di energia pulita. Inoltre, per controbilanciare l’innalzamento dei costi energetici, il governo ha previsto un abbassamento delle tasse per la famiglie con un reddito medio–basso, un aumento delle pensioni statali e un incremento dei servizi di welfare.
È anche per contrastare la disinformazione imbastita da Murdoch e dai grandi inquinatori che l’organizzazione internazionale Avaaz ha lanciato una petizione per sostenere l’iniziativa a favore di quella che si prospetta come “una battaglia decisiva per il clima”. Connettendosi al sito www.avaaz.org è possibile firmare e alimentare la speranza che vede nel rispetto per la natura, la priorità su cui deve fondarsi la nostra società. L’approvazione della tassa voluta dal governo australiano infatti si tradurrebbe in un forte segnale verso tutti i paesi che ancora non hanno scelto una politica di riduzione delle emissioni di co2, Stati Uniti e Cina in primis.